sabato 7 novembre 2020

Letture - 438

letterautore

Calvino-Eco – Duellanti, a distanza? La lettura di “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Calvino, 1979, si propone inesorabile  come un corpo a corpo con Umberto Eco. Col romanzesco, col romanzo. In varie pieghe del calviniano “romanzo dei non romanzi”. È l’unica lettura che se ne può fare, a  meno di non derubricare la letteraria corvée a un momento di malumore, un momento lungo. Si legge invece difilato il romanzo-non-romanzo come una canzonatura di Umberto Eco, che aveva  appena celebrato il romanzesco nel “Superuomo di massa”, 1976 - per la Cooperativa Scrittori, ultimo residuato del Gruppo 63. E si apprestava a praticarlo in proprio, con “Il nome della rosa”, 1980.

La satira emerge in vari punti della narrazione. E chiaramente, per ironia raddoppiata, nella presentazione che il capo dei servizi segreti dell’Ircania – che era la Persia caspica, una giungla umida, ma Calvino intende la Russia, un posto di “tundre ghiacciate” – fa di una cacciatrice di libri e di un falsario di libri: “Per questa donna”, dice il direttore Arkadian Porphyritch, “leggere vuol dire spogliarsi d’ogni intenzione e d’ogni partito preso, per essere pronta a cogliere una voce che si fa sentire quando meno ci s’aspetta, una voce che viene non si sa da dove, da qualche parte al di là del libro, al di là dell’autore, al di là delle convenzioni della scrittura: dal non detto, da quello che il mondo non ha ancora detto di sé e non ha ancora le parole per dire. Quanto a lui, invece”, il traduttore mentitore, “voleva dimostrarle che dietro la pagina scritta c’è il nulla; il mondo esiste solo come artificio, finzione, malinteso, menzogna. Se non che questo, noi potevamo ben dargli i mezzi per dimostrare quel che lui voleva”. “Noi”, Roba nostra, dice il direttore generale (generale direttore) Arkadian, dei servizi segreti.
Si può anche dire che Eco prese Calvino in parola nei romanzi successivi. Il romanzesco adattando alle ipotesi stralunate di Calvino - il romanzo di “linee che si allacciano”, “linee che si intersecano”, o della “fossa vuota”… . In “L’isola del giorno prima”, “La regina Loana”, e anche in “Baudolino” e nello stesso “Cimitero di Praga”, come racconto a tre livelli.
Di fatto, Eco contrattaccò subito con un elogio sperticato del “Conte di Montecristo” e della letteratura (romanzi) di consumo - a puntate, di colportage, di massa, popolare - nell’introduzione al “Conte di Montecristo” della Bur, tuttora in commercio. Perfidamente dicendo il bestseller di Dumas “uno dei romanzi più mal scritti i tutti i tempi e di tutte le letterature”, stiracchiato, perché pagato un tanto a riga, di uno scrittore che invece sapeva “scrivere” - “I tre moschettieri” “fila via che è un piacere”, “secco, rapido”…
Un duello a distanza, senza sfide e senza padrini, ma cattivo. Quindici anni dopo Eco metteva Calvino, nelle “Sei passeggiate nei boschi narrativi”, accanto a Campanile, Carolina Invernizio e Ian Fleming. Sotto un titolo che rifà esplicito le “Lezioni americane” - da Calvino intitolate “Sei proposte per il prossimo millennio”. Per un pubblico sempre americano – un duello in campo neutro, o forse perché in Italia con la Seconda Repubblica della letteratura non interessava più nulla a nessuno.
Un duello con ottimi argomenti da parte di entrambi, entrambi partendo dal Gruppo 63, dall’ipotesi di rinnovare l’italiano letterario e la letteratura, entrambi convincenti, ma l’uno opposto all’altro, senza mai nominarsi. Marciando su terreni diversi, Calvino esploratore, Eco storico - ma queste cose nei duelli non contano.
 
Dante
– “È la grande «scoperta» del Novecento” – risvolto editoriale di Bologna-Fabiani (a cura di), “Ezra Pound. Dante”: “A capirlo, ripensarlo, perfino riscriverlo, furono anzitutto i grandi poeti: Pound, Eliot, Mandel’stam, Borges”.
Corrado Bologna, id., p. XI: “Pound deve molto a Dante. Ma qualcosa anche Dante, il Dante del Novecento, deve a Pound, proprio perché lui, insieme a Eliot,  all’inizio del secolo lo aveva riportato alla luce da un plurisecolare oblio e nuovamente immesso con tutta la sua forza nella modernità, nello stesso momento in cui (in Italia, n.d.r.) la critica crociana, negando il valore poetico della «struttura» della ‘Commedia’, cancellava il senso di quell’immenso esercizio di passione e d’intelligenza istruttiva”.
E ancora Bologna, id. p. XVIII: “La funzione Pound  nel recupero di un Dante d’avanguardia, maestro vivo e scandaloso di lingua e di scrittura non sarà mai abbastanza sottolineata”.
 
Dostoevski
j – Si professa aristocratico, scrivendo al fratello dalla fortezza di Omsk in Siberia, dove è rinchiuso da fine 1849,  ai lavori forzati per sedizione, la condanna a morte essendogli stata commutata dallo zar con il carcere alla vigilia di Natale (la grazia gli fu comunicata sul patibolo): “Noi aristocratici”. E per questo odiato dal “popolo”, il paio di centinaia di codetenuti, per delitti comuni,  che non faranno che disprezzare, ingiuriare, percuotere ogni giorni di tutt’e quattro gli anni della pena Dostoevskij e gli altri “politici” (intellettuali, quindi nobili) suoi compagni di pena. La lettera,  nella voluminosa corrispondenza che Alice Farina cura per Il Saggiatore, è anticipata da “la Repubblica” ieri.
Le biografie lo dicono di famiglia commerciante per parte di madre, e per il ramo maschile figlio di un medico militare, alcolista, morto per le bastonature dei contadini che angariava, figlio a sua volta di un arciprete – il quale, è vero, vantava ascendenze nobili in Lituania.
 
Giornalisti – “Cuochi della realtà”, Ennio Flaiano, “Aethiopia, appunti per una canzonetta”, 1935-1936.
 
Intellettuale – Anti-manicheo, lo sintetizza-definisce Malraux ne “La speranza”, e quindi anti-politico.
 
Psicoanalista – “Che cos’è uno psi- se non un prete che monetizza i suoi servizi senza accordare l’assoluzione?” – Yasmina Khadra, “L’outrage fait à Sarah Ikker”.
 
Pound - È stato l’innovatore della metrica, rispetto agli stantii canoni miltoniani in lingua inglese, e petrarcheschi nel continente. È la sintesi perentoria che del Pound d’avanguardia, studioso del Due-Trecento, provenzale e toscano, dà Corrado Bologna introducendo l’antologia di scritti danteschi di Pound –“Ezra Pound. Dante”, p. XVII: “Difficilmente si potrebbe sottovalutare la portata della sua influenza sulle ricerche metriche condotte nella seconda metà del Novecento” – in Italia il “Dante dal vivo” e “la forma del verso” tardano a penetrare. Bologna attesta l’influenza riconosciuta ampiamente da Alfredo Giuliani e Edoardo Sanguineti
 
Spagna – Unamuno così la spiega al generale Millan Astray all’inizio delle guerra civile - secondo la testimonianza di un personaggio dal vero di Malraux, “La Speranza”, il dottor Neubourg: “Una Spagna senza Biscaglia e senza Catalogna sarebbe un paese simile a voi, mio generale, guercio e monco”.
Unamuno “detesta Azaña”, e non si aspetta nulla di buono da Franco. Azaña, capo del Fronte Popolare che aveva contribuito a creare, era il presidente della Repubblica, che da capo del governo cinque anni prima aveva promosso le leggi repubblicane contro l’esercito e la chiesa, e per la forte autonomia della Catalogna, portando il re all’abbandono, e l’elettorato a destra – nella successiva legislatura di destra la rivolta delle Asturie si era risolta nel massacro di religiosi e fedeli, e in un primo  intervento militare di Franco, quale capo del Tercio, la Legione Straniera spagnola, i “Mori”. Unamuno, si fa raccontare Malraux, “vede ancora nella Repubblica, e in essa sola, il mezzo dell’unità federale della Spagna,: è contro un federalismo assoluto, ma anche contro la centralizzazione con la forza: e vede ora nel fascismo questa centralizzazione”.
 
Tacchi-Venturi – Il fascistissimo gesuita celebrò le nozze di Moravia con Elsa Morante nella chiesa di Anacapri nel 1941, testimoni Longanesi, Pannunzio, due massoni professi, con Capogrossi e Morra.
Un gesuita d’azione, poco gesuitico. Segretario generale uscente dei gesuiti, accoltellato nel 1928 per un’oscura lite patrimoniale tra gesuiti e paolini, fece valere l’incidente nella stampa di regime come un attentato della massoneria, per il suo fervido sostengo alla guerra antimassonica di Mussolini. L’anno successivo si presentò mediatore fra Mussolini e la Santa Sede per il concordato.
Siciliano, era antimeridionalista, e razzista – dovrà per questo vivere appartato nel dopoguerra, fino alla morte nel 1956. Ea chiamato il “gesuita di Mussolini”, di cui faceva capire di essere il confessore, benché Mussolini  fosse ateo professo.

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Roma brutta, sporca e cattiva

Un serial d’azione. Cattivo, anche nelle parti buone, nervoso, inquietante. Roma che non è ancora Roma, nell’VIII secolo, ma Alba Longa e Velia, tra il colle Palatino  l’Oppio, terra dei trenta re – tutti re, la tribù non è di molto tempo fa. Popoli della selva, selvaggi. Poco dopo Neanderthal - non sono pelosi. Che non fanno che maciullarsi. Con prestezza, il ritmo deve correre.
Rovere ha immagini anche eccezionali, tutte riprese con la luce naturale, coadiuvato dal direttore della fotografia Vladan Radovic. Ma cupo e, benché all’aperto, claustrofobico. Un racconto della forza, si direbbe, sulla traccia di S.Weil che l’“Iliade” spiega come il poema della forza.
Il seguito del “Primo re”, la storia di Remo. Compiuto il fratricidio Romolo continua la stesa saga di corpaccioni maschi, fango, ossa spezzate, colpi squarciati, con le mani, l’accetta, i bastoni, i sassi. Qui con qualche donna di complemento, almeno così la serie promette, una vendicatrice, sporca e cattiva anche lei.
Pare che il genere sia apprezzato, salutato come la resurrezione dei “peplum”, i kolossal in costume romano che usarono dagli albori del cinema fino ai primi anni 1960, da “Cabiria” alla “Clopatra” di Liz Taylor e Richard Burton, 1964, che infiammò il mondo. Misti con la cattiveria dei flm d’azione, la fantasia dei giochi di ruolo, e la velocità dei videogiochi. Per i millennial, quelli che passano la giornata al cellulare. Presentato come un grande sforzo produttivo, e per un largo pubblico, se Sky ci ha investito dieci episodi, e un anno di lavorazione, con masse, a Cinecittà. Presentato anche e recepito con giubilo paracritico. Ma difficile a entrarci.  
Curioso, in “Romulus” come nel “Primo re”, il distinto flair antiromano, antitaliano. La forza  è senz’altro la componente romana della civilizzazione. Ma qui senza mai una scintilla, un lampo, un cielo aperto? Senza un briciolo di umanità – di giudizio. Più che di uomini, la lotta continua sembra di montoni, seppure senza pelo. Poco fatici anche, dato che parlano, poco, in “protolatino”, che non si sa cosa sia, ma è un un insieme di suoni poco articolati, simili a quelli dei fumetti e dei giochi. Non c’è romano, non c’è italiano che non si odii?
Matteo Rovere,
Romulus

venerdì 6 novembre 2020

Ombre - 536

“Il tradimento dei latinos. Ora ballano con Trump” - che pure ha eretto il muro alla frontiera. E perché? “Il presidente incarna il loro lìder  ideale: è un «macho»” – Gabriele Romagnoli, “la Repubblica”. Tutti gay questi latinos? O cialtroni.

Settanta milioni di voti per Trump non sono male. Forse c’è qualcosa di nuovo o di diverso in questi Stati Uniti post-crisi 2009 e da globalizzazione. Ma ai corrispondenti italiani a New York non interessa farcelo sapere. Trump è un sociopatico e tanto basta. Con settanta milioni di followers?
 
È sconsiderato, prima che scandaloso, il blocco delle regioni governate dal centro-destra – con la minima eccezione della Valle d’Aosta. Anche di quelle cioè che secondo tutti gli indici (rapporto contagi-tamponi, occupazione letti, occupazione terapie intensive) sono al di sotto dell’emergenza, Calabria e Sicilia. Riducendo al lastrico i fornitori di servizi, e i lavoratori del comparto. Mentre si escludono le regioni a rischio ma governate dal Pd: Campania, Puglia, Toscana, Lazio. Una selezione grave anche per la salute. Senza obiezioni, a partire dalla presidenza della Repubblica.
Il Dcpm è una furbata avvocatesca, non andando al vaglio del capo dello Stato, ma a che scopo?
 
Sembra insensibile l’avvocato Conte che monopolizza ogni paio di giorni le tv, mentre censisce e presagisce sciagure. Uno sciocco, si direbbe, con la faccia uguale e inalterabile, per nozze e funerali. È invece stella di prima grandezza della politica italiana. Il più popolare, dicono i (suoi) sondaggi.
Potenza di un governo animato da Rocco Casalino, reduce illustre dal “Grande Fratello”. Con concorso di media beanti.
 
 “La sfida più difficile, con questo virus, è provare a prevederne l’andamento - chiosa semplice l’epidemiologo Vespignani da Boston. E sensato: “Se ci si ritrova a inseguire, tutto diventa più difficile”. Si capisce al differenza con la Germania, tra Merkel che previene, e Conte-D i Maio-Zingaretti che ci capiscono poco, a parte le ragioni di partito.
 
La Cassazione boccia la Procura Generale che ne chiede l’assoluzione, e condanna Verdini. Dice che la Cassazione non entra nel merito, ma guarda la forma. Dunque Verdini è in carcere non perché bancarottiere ma per la forma.
Bisognerà ricordare questa Cassazione, così veterodemocristiana, del potere degli amici.
 
La Cassazione boccia totalmente la Procura di Firenze che aveva perquisito gli uffici e l’abitazione, e requisito il computer di Davide Serra, uomo di finanza a Londra, amico di Renzi. Non aveva motivo per la perquisizione, e per il sequestro. Detto per una volta con chiarezza: “Non sono definiti in alcun modo i contorni essenziali della vicenda” criminosa. Anzi, la Procura ha perquisito e sequestrato per cercare “un appiglio criminoso” contro Serra.
Non si può dire che il procuratore Creazzo – che è di destra – sia di destra, e quindi anti-Renzi: il procuratore della Repubblica non è uno sbirro, è uno incaricato di proteggere i diritti del cittadino. Ma se Serra non fosse stato amico dell’amico Renzi?
 
Nel giudizio della Cassazione sull’attività della Procura di Firenze nell’inchiesta contro Serra (contro Renzi) ci sono almeno un paio di reati a carico della Procura stessa. Ma come non detto, giudice non morde giudice.
 
Tito Boeri, presidente moralista dell’Inps per cinque anni, 2024-2019, gli anni di Matteo Renzi, che non ha migliorato in nulla l’Inps e in qualche punto l’ha indebolito (le famigerate buste arancione per convincere gli assicurati Inps che avranno pensioni da fame – senza le pensioni integrative, private…..), si fa lustro vantando meriti di moralizzatore. È molto “Milano”: vorrebbe un qualche scandalo, per lanciare il suo libro “Riprendiamoci lo Stato”. Ma è anche molto “sinistra”, una certa sinistra, quella che viene da – e va a – destra.
 
Il giovane Toti prova a scaricare i settantenni avendo in mente Berlusconi, suo padre putativo. Ma esisterebbe Toti, eterno giovincello, senza Berlusconi che lo portò in vita?

Ma Toti non presiede la regione Liguria, la regione italiana, e probabilmente europea, col più alto numero di ultrasettantenni, per la bassissima natalità, e per il buon tenore di vita? Certo, non è tenuto a saperlo, non essendo nemmeno ligure - è lì perché ce lo ha messo Berlusconi.

Della giustizia dei governi Conte-Bonafede Giovanni Maria Flick può dire a Vecchi sul “Venerdì di Repubblica”: “Ha una visione tutta carcerocentrica che non mi piace. In due anni cosa ha fatto? Lo Spazzacorrotti. Non una riforma ma un semplice inasprimento delle pene. E poi la proposta del trojan, come mezzo di ricerca della prova, di cui i pm fanno un uso disinvolto, che va contro l’art. 15 della Costituzione”. Il governo di un avvocato e di un giudice: la giustizia è malata nel midollo. 




L’oltraggio fatto all’amore

Un apologo della bellezza e la vita facile che degrada nella violenza. Una scena di stupro, di una moglie bella e fedele, apre un quadro inquietante e avvincente di una società e un modo di essere. Oltre che della coppia: il racconto degli effetti dell’aggressione, su di lei e su di lui,  è quanto di più verosimile, e conturbante, si sia letto in materia. Un noir svolto con la tecnica della detective story, quindi con catarsi – una sorta di - finale, tra buoni e cattivi.
Il fatto – il dramma – è intimo, e tale lo vuole il racconto. Malgrado l’aggressione, la scena del crimine, l’intrusione. Anche in questa epoca di socialità invadente e finta: “Ci sono delle star internazionali che non esitano a parlare degli stupri di cui sono state oggetto davanti a milioni di telespettatori, delle celebrità che dettagliano l’incesto di cui sono state vittime”. O più tragico che intimo: l’oltraggio è fatto all’amore, a se stessi nell’amore.
Un ritorno al “Khadra” degli esordi. Dopo avere esplorato, da laico, tutto il mondo mussulmano, dall’Afghanistan all’Africa sub-sahariana, e fatto i conti, a Cuba, con quanto resta della sinistra politica – dedito, dice di sé nella nota editoriale, “a un mondo migliore, malgrado il naufragio delle coscienze e lo scontro delle mentalità”. Qui ritorna al suo mondo, il Maghreb, il Nord Africa occidentale. Nelle specie di Tangeri, del Marocco bello, opulento e corrotto, che si legge come parte di noi. Minareti e campanili sono sullo sfondo, parte del paesaggio urbano e del linguaggio comune, le passioni e gli interessi non hanno colori, non sono esotismo – ma forse è parte di noi anche il mondo più lontano, più diverso e anche esotico, purché ben raccontato.
Il romanzo che più prende, del dopo Algeri di “Khadra”, l’ex colonnello algerino Mohammed Moulessehoul, che però è l’unico che non si traduce. Col ricorso,  anche qui come nei precedenti nordafricani, di parole italiane nella parlata quotidiana: porcherie, ponte, omertà, etc. Una sorta di nuova lingua franca, mediterranea – mediterraneo è riferimento ricorrente dello scrittore franco-algerino.
Yasmina Khadra, L’outrage fait à Sarah Ikker, Pocket, pp. 238 € 7

giovedì 5 novembre 2020

Secondi pensieri - 433

zeulig

Fascismo – È una causa o un effetto? Causa di razzismo, xenofobia, sessismo. Effetto di incultura, frustrazione, impoverimento. È un effetto con una causa, un rapporto perfino ovvio che Eco no considera nell’“ Ur-fscismo”.
Eco sa – lo sanno tutti, lui comunque lo ha appena detto – che il fascismo s’innesta – forse nasce, ma sicuramente vi s’innesta – sulla depressione economica e sula frustrazione dei ceti medio-bassi. Sull’impoverimento. In un quadro (un futuro) di paura. Nasce cioè come movimento di difesa. Ma poi se ne dimentica – lo dimentica Eco, non il fascismo - deliziandosi con la trovata dell’Ur-fascismo, che da Noè in poi,  o da Adamo?, da Caino?, nasce e cresce nell’uomo con “la naturale paura della differenza”. Che perciò si fa “naturalmente” razzista, xenofobo, sessista. Una deriva che però tanto naturale – umana – non è, umana essendo al contrario la curiosità, cioè la ricerca del nuovo, e quindi del diverso, che  ciò che ha assicurato la sopravvivenza e la “formazione” dell’umanità.  
Si prenda il maschilismo. Che è del fascismo storico, ma assente oggi – minoritario, muto. O
ggi che i capi dei movimento neo fascisti, in Italia, Francia, Germania (e la Birmania? e la Liberia? per dire dei Nobel per la pace) sono donne. O la Neolingua, la lingua di legno, il quattordicesimo componente del fascismo di Eco  – di origine orwelliana, ma Orwell la diceva del sovietismo. Oggi la Novella Lingua non è il politicamente corretto, l’insostenibile conformismo di una borghesia che si pretende progressista e aperta mentre è guerrafondaia, imperialista, monopolista, speculatrice. Tutto vero, ma anche tutto falso, si può dire di Eco alla Eco – dire quasi la stessa cosa. Ottima la sua conclusione : “L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti”. Vero anche questo. Ma bisogna vigilare con occhi liberi, senza paraocchi.
Di “eterno” il fascismo non ha nulla, è un movimento politico europeo, del Novecento, tra le due guerre, teorizzato e diffuso dal fascismo italiano. Il franchismo postbellico, o Salazar in Portogallo, che nella guerra fascista fu un pilastro alleato, sono già un’altra cosa. Il fascismo per antonomasia, mussoliniano, italiano, quello che è durato di più, anche se solo un ventennio, e che è stato il più vociferante e presenzialista, era il meno definito e anzi contraddittorio: anticlericale e clericale, innovatore e tradizionalista, rivoluzionario e reazionario, dei ricchi e dei poveri, e fu bellicista dopo essere stato pacifista.
Di “eterno” il fascismo non ha nulla, è un movimento politico europeo, del Novecento, tra le due guerre, teorizzato e diffuso dal fascismo italiano. Il franchismo postbellico, o Salazar in Portogallo, che nella guerra fascista fu un pilastro alleato, sono già un’altra cosa. Il fascismo per antonomasia, mussoliniano, italiano, quello che è durato di più, anche se solo un ventennio, e che è stato il più vociferante e presenzialista, era il meno definito e anzi contraddittorio: anticlericale e clericale, innovatore e tradizionalista, rivoluzionario e reazionario, dei ricchi e dei poveri, e fu bellicista dopo essere stato pacifista.
Fascismo è violenza. Di gruppi specifici o isolati, come fu lo squadrismo fascista, essenzialmente toscano ed emiliano. Che oggi si reincarnerebbe nell’hooliganismo, bullismo, di periferia, immigrato. La sindrome francese, senza sapere o riflettere che la periferia francese non è quella italiana – e nemmeno quella britannica: senza sapere o riflettere sulle realtà reali.
Ma la distinzione fra causa ed effetto è necessaria per capire il populismo oggi. Che sicuramente è vaccinato contro il fascismo, sia pure non razzista né sessista – contro un governo non democratico. Ma altrettanto sicuramente s’innesta su un impoverimento ormai trentennale, che ha colpito le generazioni del millennio e ora anche il ceto medio protetto – dal lavoro, l’occupazione, la previdenza, l’assistenza.
 
Guerra giusta – “Ci sono guerre giuste, non ci sono eserciti giusti”, A. Malraux, “La speranza”, 468
 
Intolleranza - È poco tollerata – discussa, analizzata. Resta in subordine nel vagamente inteso – opinione comune, sentimento generalizzato. Mentre è concetto sensibile, di difficile equilibrio o armonizzazione. Trascendendo i concetti politici cardine: totalità, maggioranza e la minoranza, destra e la sinistra, democrazia e dittatura. E le dialettiche entro cui il suo opposto, la tolleranza, si configura. Intolleranza è del singolo, che vi esercita la dissidenza. Che è un diritto, ma talvolta opprimente, fino al terrorismo. O, nell’opinione pubblica, la minoranza che diventa schiacciante, e per essere minoranza  non ritiene di doversi un equilibrio – rispetto dell’altro, anche se è maggioranza (o a maggior ragione se lo è, si direbbe). Si arroga la pagella, la promozione, e fin la censura. Coltiva e impone la legge del sospetto. Ha superiore concetto di sé, personale non so anche sociale e politico.
L’intolleranza della tolleranza è concezione ardua. Ma censibile di fatto.  
 
Intellettuale – Anti-manicheo, lo sintetizza-definisce Malraux ne “La speranza”, e quindi anti-politico.
La verità si vuole indecisa, e frammentata. Se è l’obiettivo o il terreno di esercitazione dell’intellettuale, come riduzione “politica” (ideologica) del filosofo. Anche se – di fatto, operativamente, socialmente –  è o opera come “gregge di menti indipendenti”, poteva dire sarcastico Harold Rosenberg, il critico d’arte coniatore dell’action painting.
 
Italia – Esisteva prima di essere costituita istituzionalmente. In Virgilio e altrove – “Italiam non sponte sequor”, obietta Enea a Didone che vorrebbe trattenerlo, debbo andare in Italia anche se non vorrei. Chi scrive da sempre si indirizza all’Italia - alle singole città o ai principati me nel complesso all’Italia. Lo stesso i commercianti, banchieri, viaggiatori: fanno riferimento all’Italia – a questa o quella città, questo o quell’ambiente, ma in Italia, dicendolo o sottintendendolo. Come in qualcosa geograficamente definita, visibile, poiché è al di là delle Alpi, il “limes” è incontestabile. E di lingua comune, già quando non era ancora toscana. 
Non si pone bene in mente questo tratto. Che è costitutivo del modo di essere italiano: una comunità di lingua e di cultura, di usi e modo di vivere (edilizia, agricoltura, ambiente, urbanistica, architettura…), invece che di leggi e dominio (potere, governo), di un sistema politico e istituzionale unificato – agito, imposto.

È del resto vero che l’Italia non ha ancora forgiato lo Stato.
Il ritardo è comune anche alla Germania, dove la nazione ha preceduto lo Stato. E, come in Italia, ha preso forme improduttive e dissolventi: autoritarismo, corruttela. Un non-essere che si definisce al confronto in Europa con lo Stato massimo (Francia, Spagna) e minimo (Gran Bretagna).   
 
Libri sacri - “Il libro sacro di cui si sconoscono meglio le condizioni in cui è stato scritto è il Corano”, nota Calvino nel  romanzo anti-romanzo “Se una notte d’inverno un viaggiatore”. Questo fa una differenza? Non si direbbe – anzi, il “Corano” è tra i libri profetici il più dispersivo in aneddotica non afferente, non al sacro, nemmeno nella forma allegorica  metafor
ica.
I libri sacri vivono della fede, non della lettura critica. Lo stesso Calvino riporta della sterminata aneddotica maomettana la storia dello scrivano che, scandalizzato che il Profeta non corregga un suo errore di scrittura, abbandona la scrittura e perde la fede.
I libri sacri e profetici possono con tenere di tutto. Anche bestemmie? La Bibbia in abbondanza.  
 
Tradizione – Può essere innovativa – se è fertile, non morta. La “tradizione del nuovo”, che Harold Rosenberg individuava per l’arte contemporanea: il modo come la storia procede, per tentativi ed errori, condizionati da ciò che si è stati e si è.

zeulig@antiit.eu

La casa della buona morte

L’autore meno prolifico del secondo Novecento (ma è morto di soli 32 anni, nel 1952, tre o quattro avendoli dispersi coscritto in guerra, in Africa Orientale, e prigioniero degli inglesi in India) è quello più editato. Questione di diritti d’autore che vengono a cessare, ma anche di sapienza narrativa. D’inventiva. Non su soggetti e trame di altri mondi ma sulla realtà modesta, dei tempi e dei luoghi, l’Appennino tosco-emiliano anni 1940, povero.
La nuovissima edizione Bompiani è praticamente l’opera omnia di “D’Arzo”, Ezio Comparoni. Roberto Carnero, subentrato nella cura alla precedente edizione della stessa Bompiani di Silvio Perrella, ha fatto una scelta diversa dei racconti e li introduce con un lungo saggio critico e biografico – restano fuori altri romanzi brevi: “All’insegna del buon corsiero”, “L’osteria”, “Penny Wirton e sua madre”.
“Casa d’altri”, il “racconto perfetto” di Montale, tanto gli era piaciuto, resta ottimo anche alla rilettura. È la storia di un vecchio parroco di un paese remoto dell’Appennino e una vecchia che lava i panni al fiume. La vecchia ha bisogno di una deroga al catechismo, a una regola della chiesa a cui il buon prete non può derogare. Un plot d’attualità – la deroga e la regola – nel dibattito sulla “buona morte”.
Il racconto del titolo fu pubblicato postumo, nello stesso anno della morte di Comparoni-D’Arzo, 1952, da Giorgio Bassani sulla rivista “Botteghe Oscure”, che curava per la principessa Caetani, e l’anno dopo in volume da Sansoni. È stato poi ripreso in edizioni diverse, per lunghezza, se non per toni. Anche per le riscritture operate dallo stesso D’Arzo. In un prima versione era uscito nel 1945 sulla “Illustrazione Italiana”, dimezzato rispetto all’edizione corrente, col titolo “Il prete e la vecchia Zelinda”, a firma “Sandro Nedi”.
L’edizione Consulta, a cura di Paolo e Andrea Briganti, esemplata su un manoscritto autografo, la allunga ancora leggermente rispetto a quella canonica (la Bassani-Sansoni, quella giudicata da montale), in diciotto capitoletti invece di quindici, raggruppati in quattro parti. La sostanza non cambia, ma è solo qui che compare la battura del vecchio prete, di cui viene accentuato il distacco ironico dalle cose della vita, da cui è stato tratto il titolo postumo: “Perché questa non è casa mia. Questa è casa d’altri, io lo so”.
Gli stessi Briganti avevano già realizzato vent’anni fa una sorta di edizione critica del racconto, per Diabasis, con vari apparati, filologici e critici.
Silvio D’Arzo, Casa d’altri e altri racconti, Bompiani, pp. LXXIV + 224 € 13
Silvio D’Arzo, Casa d’altri e altri racconti, Einaudi, 141 € 13
Sivio D’Arzo, Casa d’altri, Marietti, pp. 112 € 10 €
Diabasis, pp. 144 € 15
Consulta, pp. 116 € 15

mercoledì 4 novembre 2020

Problemi di base tricologici - 605

spock

Chiudono i barbieri ma non i parrucchieri, roba da Corte Costituzionale?
 
O il capello non è protetto dalla Costituzione?
 
E farsi baffi e basette, e spuntare la barba dal parrucchiere, è vietato o permesso?
 
O gli uomini sono più infettivi?
 
Perché ci sono barbieri per uomini e parrucchieri per donne, come ai bagni?
 
E i bagni pubblici, saranno aperti per le donne e chiusi per gli uomini?
 
Dobbiamo piangere oppure ridere?

spock@antiit.eu

Il mondo com'è (413)

astolfo

Aigues-Mortes – Il borgo medievale in rosa, al limite occidentale della Camargue in Occitania (Linguadoca-Rossiglione), la più grande salina del Mediterraneo in un mare rosa, grazie all’Artemia Salina, il gamberettto rosa che lo popola, e dà il colore anche ai fenicotteri, che abitano la laguna, fu teatro il 17 agosto 1893 di un massacro di italiani, in gran parte piemontesi. Immigrati stagionali che lavoravano nelle saline. A opera dei lavoratori locali che rimproveravano agli italiani l’abbassamento dei salari.
Il massacro si svolse mentre gli immigrati italiani, in seguito alle proteste dei lavoratori francesi, venivano scortati dalla polizia alla stazione ferroviaria per essere rimpatriati.
Il numero dei morti e dei feriti non è stato accertato. Quello recepito dal  sito del Comune è di 17 morti e 150 feriti.  Altre fonti, quasi tutte giornalistiche (non si è fatta la storia della vicenda, né dei suoi contorni, non in Francia e nemmeno in Italia), ne danno di più, o di meno. Il processo, che si svolse prontamente, a dicembre, e rapidamente, non lo chiari: il Tribunale non si curò di accertarlo, il dibattimento fu breve, un paio di sedute, gli imputati furono assolti.
A fine Ottocento la Francia era così: razzista, antisemita, e xenofoba - anche con la Gran Bretagna, malgrado l’Intesa diplomatica e militare, le cose non andavano bene: i due apesi si facevano la guerra in Africa.
 
Cretinismo parlamentare
– Marx coniò la formula nel 1852, sanzionando la rivoluzione del 1848 per avere tradito appunto la rivoluzione per un comodo e ineffettuale costituzionalismo. Il “cretinismo parlamentare” disse, in “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte”, “una malattia che a partire dal 1848 ha infierito su tutto il continente”. Così definendola: “Riduce quelli che ne sono affetti a un mondo immaginario, toglie loro ogni giudizio, ogni ricordo, ogni comprensione del rozzo mondo esteriore”. Il Parlamento, che allora si cominciava ad adottare costìtuzionalmente, in costituzioni parlamentari, Marx vedeva nel continente come una sorta di purgatorio, luogo fuori del tempo.
 
Ebrei del papa - Quando Napoleone in odio alla chiesa volle la restaurazione del Gran Sinedrio, il 31 gennaio 1807 nella chiesa sconsacrata di San Giovanni a Parigi, il primo dopo la distruzione del tempo a Gerusalemme nel 70, il consesso di 71 tra rabbini e laici israeliti votò una mozione di gratitudine alla Chiesa. Il 5 febbraio, chiese e prese la parola il rabbino di Nizza, Avigdor, uno dei delegati di maggior prestigio. François Piètri, il politico e storico corso – esordì nel 1906 con “La question des vins de l'Italie. L’antagonisme du Nord et du Sud”, tesi di dottorato - ha ricostruito così la vicenda: “Rabbi Avigdor pronuncia un discorso che costituisce un autentico colpo di scena ma che, dopo un primo movimento di sorpresa, provocherà l'entusiasmo di tutto il Sinedrio”. “Appoggiandosi su un ricco e preciso apparato di citazioni storiche”, continua Piétri, “la sua allocuzione rende grazie alla Chiesa cattolica per la protezione che non ha mai cessato di accordare agli ebrei perseguitati.
Avigdor dà un lungo elenco di Padri e di Papi che hanno trattato con umanità e ospitato gli israeliti espulsi e tormentati dal potere civile in quasi tutti gli Stati d'Europa. Ricorda che il solo luogo da cui il popolo eletto non fu mai cacciato è quello su cui i Pontefici hanno esercitato il loro potere temporale. In Francia, le migliori condizioni in assoluto per gli ebrei furono quelle di Avignone e del Contado Venassino, territori soggetti all’autorità papale. Alla fine del suo excursus storico, il rabbino di Nizza ‑ tra gli applausi dei colleghi che lo ascoltano in piedi ‑ domanda al Sinedrio di deliberare “un voto di gratitudine alla Chiesa di Roma per i benefici del clero cattolico verso gli ebrei” .
 
Macaronesia – È il nome geografico collettivo per gli  arcipelaghi altrimenti noti come isole Fortunate: Azzorre, Madeira, Canarie e isole del Capo Verde. Dell’Atlantico, ma della costa africana, benché di nazionalità spagnola e portoghese. Attorno alle Canarie, da cui partì Colombo per il salto nell’ignoto, e poi al centro delle rotte euroamericane, del Nord e del Sud - specie nella tratta degli schiavi.
 
Mussolini - Emerse all’improvviso a statura nazionale, fuori dall’anonimato dei funzionari di partito locali, grazie a Salvemini. Nel 1912 era una delle tante “teste calde” del partito Socialista, dell’ala “massimalista”. Segretario della sezione di Imola, che l’anno precedente, per protesta contro l’ambiguità del partito nella guerra di  Libia, ne aveva provocato la fuoriuscita. Aveva piccola reputazione, e più per l’oratoria barricadiera e facile, di slogan a effetto, popolari. Che sembrerebbe oggi una dote politica, ma non allora, il partito Socialista era e si voleva pensoso – la politica in generale si prendeva sul serio.
Al congresso del luglio 1912, il tredicesimo del Psi, la sinistra massimalista risultò vincitrice. In reazione all’occupazione della Libia, che aveva avuto il sostegno del gruppo dirigente socialista ora perdente. E su ordine del giorno redatto e proposto da Mussolini, che così si segnalava, espulse la vecchia dirigenza filogiolittiana, Bissolati, Bonomi, Cabrini. Fu esonerato di conseguenza il direttore riformista dell’“Avanti!”, il giornale del partito, Claudio Treves. Il nuovo segretario eletto, Costantino Lazzari, propose la direzione a un altro riformista, Gaetano Salvemini. Per mantenere qualche filo unitario, e anche per coinvolgere lo scrittore già illustre nuovamente nel partito, da cui si era allontanato. Salvemini non se la sentì, e Lazzari propose allora Mussolini, che a 29 anni, con baffi e capelli ancorché già stempiato, ne divenne il direttore. Ne fece subito una rampa politica di lancio ed ebbe successo. Ne raddoppiò in pochi mesi la diffusione, oltre 50 mila copie, col linguaggio aggressivo e irriverente che lo caratterizzerà, da piazza più che da ufficio studi. E cercò o accolse collaboratori di prestigio, anche fuori del partito o in contrasto col gruppo dirigente massimalista, ma in sintonia per questa o quella battaglia che decideva di combattere: nazionalisti, sindacalisti rivoluzionari, giovani di ogni orientamento. Salvemini stesso e altri meridionalisti, Arturo Labriola per la parte estera, Sergio Panunzio, il filosofo del diritto sindacalista rivoluzionario (sarà miglior teorico del fascismo), Umberto Boccioni come illustratore, etc..  

astolfo@antiit.eu

Dc a 5 Stelle a Rai 1

Rai1 sceglie di celebrare Gigi Proietti con il film meno proiettiano, benché lui vi appaia impegnato - c’è solo lui nel film. Un’agiografia dei vecchissimi tempi, benché girata appena ieri, nel 2010, tanto è sempliciotta e scalcagnata. Che di un santo imaginifico e pedagogo innovativo fa un frescone - uno giuggiolone in fiorentino, Filippo Neri ha esercitato a Roma ma era fiorentino. Secondo l’aneddoto che lo vuole giocare col berretto cardinalizio. 
La scelta è determinata dalla produzione? Che è dei Bernabei, e tanto basta a Rai 1? Che i 5 Stelle che gestiscono la rete siano dei vecchi Dc, vecchissimi – nipoti, pronipoti?   
Giacomo Campiotti, Preferisco il Paradiso

martedì 3 novembre 2020

Ecobusiness

Le sneakers, scarpe di plastica obbligate, un  must, irreparabili, irriciclabili, un paio a ogni stagione, quest’anno bianche, in allegria, costosissime pretendendosi cheap.
La macchina king size il suv, o che gli somigli - gonfia. Una moltiplicazione di acciaio e plastiche per singola unità. Senza utilità ma di bella figura. Che i garage e le strade rimpicciolisce. Pesante il doppio del necessario, che i consumi raddoppia.
La macchina. Una per ogni adulto con patente. A Roma, per dire, 1,8 milioni di auto circolanti per 2,9 milioni di residenti.
Mandare le lavatrici domestiche in continuo. Per una migliore igiene. Due, tre e quattro volte al giorno. Con consumi iper di elettricità. Con detersivi biodegradabili che intasano gli scarichi – immaginarsi le fogne.
Il business delle pale eoliche. Strutture di acciaio ingombranti, e irrecuperabili, sia le pale che le turbine. Massimo inquinatore visivo e acustico. Di bassissima produttività. Per la velocità costante del vento in Italia collocabili solo nelle isole e nelle zone costiere – o su displuvi. Ma il business è redditizio degli “oneri di sistema” che gli utenti pagano in bolletta per le fonti di energia non-oil – l’affare più redditizio e meno impegnativo, dal punto di vista finanziario e della manutenzione, un cash-dispenser per i profittatori del regime eco (con qualche aderenza a Terna e\o ai governi regionali che hanno la privativa delle licenze: l’utile grasso basta per dividere con chiunque).

Problemi di base femministi - 604

spock

Perché le donne parlano sempre al cellulare, per strada, senza la mascherina?
 
E perché saltano la fila alla Posta esibendo finti codici qr di prenotazione?
 
Alla Posta e anche alla banca, gestiscono i patrimoni?
 
Perché le donne vogliono passare prima nella fila, alla posta, alla banca, al mercato e al supermercato?
 
Per cavalleria?
 
E perché le fanno passare?

spock@antiit.eu


Fu epurato solo Bontempelli

Il 2 febbraio 1950 il Senato votò a maggioranza l’espulsione di Massimo Bontempelli, per il reato di propaganda fascista. Lo scrittore, eletto nelle liste del Fonte Popolare, socialcomuniste, rappresentava il Pci, che lo aveva candidato nel collegio blindato di Siena. E lo aveva difeso in Senato al massimo livello dall’accusa di propaganda fascista, con una complessa arringa di Umberto Terracini. Dopo il voto contrario dell’assemblea, per l’espulsione, fece un lungo discorso reprobatorio per il Pci il senatore Emilio Sereni.
Bontempelli non si era illustrato in Senato. Aquilanti ricorda e riproduce un suo unico intervento, ottobre 1949, sulla legge di bilancio. Ed era stato fascista “appassionato”, scriveva di lui il “Popolo d’Italia”, il giornale di Mussolini, nel 1926. Nello stesso anno si era sfidato a duello con Ungaretti, altro marciante della prima ora, nella villa di Pirandello, a Ferragosto, per una diatriba letteraria tra collaboratori del “Tevere”, il quotidiano filoregime di Telesio Interlandi. Segretario del sindacato fascista degli scrittori, accademico d’Italia, autore di più prose di sincera adesione. E dell’antologia per le scuole, nel 1935, che gli costerà il seggio - per “farvi sentire”, far sentire ai ragazzi, “quanto è bella la vita dell’Italia nostra che Mussolini e la sua generazione consegneranno a voi ragazzi”. Ma era scrittore riconosciuto fra i maggiori del primo Novecento, e il Pci lo cooptò a guerra finita. Come scrittore frondista - lo stesso percorso di Malaparte. Nel 1938 aveva rifiutato la cattedra Italianistica a Firenze sottratta dal regime a Attilio Momigliano con le leggi razziali, e Starace, il gerarca del Pnf, il partito nazionale fascista, con cui non era in buoni rapporti, lo fece sospendere dal partito (non dall’Accademia, con relativo stipendio) e mandare al confino con divieto di pubblicazione, per un  anno – al confino con Paola Masino, la compagna giovanissima, trent’anni la differenza di età, nella villa del barone Franchini.
Ma il libriccino – è un volumetto della collana verde – non divaga. “Una storia italiana” la dice Aquilanti, consigliere di Stato, già grand commis in varie istituzioni pubbliche, Senato, commissioni parlamentari, palazzo Chigi (segretario generale con Renzi e Gentiloni). Di una fine regime che invece ebbe molte reviviscenze. Avendo voluto la Repubblica “nata dalla Resistenza” escludere l’epurazione – a meno di delitti da codice penale. Questa generosità, se non fu quietismo, Aquilanti sembra disapprovare. Ma, da questo punto di vista, italiana la storia si direbbe nel senso più ampio. Da un lato la politica togliattiana della cooptazione, generosa e cinica – dei “compagni di strada”, o “utili idioti”. Dall’altro l’opportunismo della Democrazia Cristiana, che volle la decadenza di Bontempelli dal Senato, ma è quella che ha conglobato nella Repubblica, invece che gli intellettuali isolati, la struttura dirigente fascista.
Paolo Aquilanti,
Il caso Bontempelli, Sellerio, pp. 188 € 12

lunedì 2 novembre 2020

Cronache dell’altro mondo - ottuagenario (76)

“Se vogliamo riprenderci dal trumpismo, dobbiamo negare ogni pietà agli accoliti di Trump”. Chi si prepara con il noi alla vendetta è Masha Gessen sul “New Yorker”, già attivista Lgbt a Mosca, incaricato-a da Putin di molte funzioni rappresentative, fino al 2013, quando emigrò negli Usa (ma aveva già la cittadinanza americana, i genitori avendo potuto emigrare negli Stati Uniti nei primi anni 1980, grazie al programma di espatri per gli ebrei messo a punto da Kissinger, salvo poi ritornare a Mosca). Il noi sembra qui un appello agli americani anti-trumpiani, ma è normalmente usato da Gessen per indicare se stesso-a: scrive col noi.
Nata Maria Alexandrovna, “Masha”, Gessen veste maschile, ha una moglie (la seconda, dalla prima ha divorziato, russe entrambe), e si classifica non-binary trans, personalità multipla.
“Perché Trump non può permettersi di perdere le elezioni”, spiega il “New Yorker” . Perché è sfuggito a un impeachment, a ventisei accuse di sexual misconduct, e a circa quattromila cause. Tanti colpi di fortuna che potrebbero finire brutalmente se perde contro Biden”. Essere assolti in 4.027 cause non assolve in America. Dove avvocati a percentuale fanno qualunque causa: se perdono hanno perso il tempo e la carta bollata - ma sono tutti ricchi, il ricatto paga: i contingency lawyer, avvocati senza scrupoli per definizione, solitamente contro le assicurazioni e il big business, che col #metoo si sono eretti a moralizzatori.
Il presidente americano che si elegge oggi avrà 78 anni a fine mandato se vince Trump, 82 se vince Biden - che li dimostra tutti (è in politica dal 1970).
Kamala Harris, che Biden ha scelto per la vice-presidenza, nella campagna per la candidatura democratica era specialmente feroce con Biden, che accusava di razzismo.

L’America di Trump è anche di Obama e Clinton

Un libro su Trump alla vigilia del voto presidenziale sa di bilancio. E questo avevano probabilmente in mente Del Pero, storico, e Magri, direttore dell’Ispi, l’istituto milanese di politica internazionale, commissionando i contributi di questa collettanea. Un bilancio non facile, essendo ancora aperto, ma non catastrofico - come l’antitrumpismo di maniera della stampa europea prospetterebbe. E soprattutto in continuità, per quanto concerne gli affari internazionali e l’economia globale, il punto di vista dei due coeditori (“The US and the World” è il sottotitolo), con la politica di Obama e di Clinton.
C’è continuità nella politica economica, espansiva. Nella globalizzazione, anche se con una correzione, già giudicata necessaria, nella condiscendenza verso la Cina. E nella marginalizzazione progressiva dell’Europa, nel rapporto economico e in quello della difesa, della Nato. È il deep state, l’America si muove secondo linee di tendenza nazionali, al di sotto delle caratterizzazioni della singola presidenza. La presidenza trumpiana si connota sul piano interno: l’abbandono della benevolenza verso l’immigrazione clandestina, e la riabilitazione morale e sociale dei ceti rurali, fin qui inesistenti di fatto in America, ininfluenti.
Trump, è ovvio, non c’è stato per niente in questi quattro anni, anche se noi non lo sappiamo, noi in Italia. Questo libro dà molte delle informazioni che ci mancano - ma, anch’esso, scritto in inglese…  
Mario Del Pero-Paolo Magri (a cura di),
Four years of Trump, Ispi, pp. 184 € 12

domenica 1 novembre 2020

La sindrome B.

B. sorride con tutti i denti, come la natura di affarista gli comanda. Bucato di freccette. L’occhio destro tagliato, le guance a bozzi, il mento e la bocca inferiore di un giallo sospetto. Tanti B., variamente calpestati o accartocciati, strappati, rosi dall’umido, coprono il selciato dell’ex Mattatoio a Roma il giorno dopo la festa dell’Unione. Agli alberi resta qua e là affisso l’inno in morte di B. del grande scrittore di cui il B. editore ha decretato la fortuna, il grasso siciliano che fu fascistissimo in origine e poi comunistissimo, quando il comunismo tanti anni fa scomparve, popolare ora pure nella cucina inglese, pare, con le ricette “pappanozza” e “pirciati bollenti”. La guardiana, fumata, gattara, guarda e chiude le imposte, ha freddo, e “sempre ‘sti lazzaroni che so’ compagni lasciano ‘a monnezza”.

Vita triste del cabarettista

Vian è stato un personaggio della Parigi dopoguerra, protagonisa della Rive gauche intellettuale. Da musicista – trombettista jazz – e chansonnier, cabarettista animatore di Saint-Germain des Prés, del Tabou, la cantina più in voga del dopoguerra poeta, scrittore di molteplici racconti, sul filo dell’ironia, anche di gialli col nome di Vernon Sullivan, attore, regista di film. Un intellettuale solido, “con 85 kg. di carcassa”, e 1.85 di altezza, autore di 500, sic!, canzoni, di più di 500, animatore. Noto in tutta la Francia in quanto bestia nera dei benpensanti, per l’antimilitarismo: determinato, perfino cattivo – la canzonetta “Il disertore” fece eseguire il 27 maggio 1954, il giorno di Dien  Bien Phu, la fine a lungo attesa dell’assedio nazionalista al colonialismo francese nell’allora Indocina (Vietnam, Laos, Cambogia).
Vian è autore énaurme, direbbe il père Ubu, di poesia, romanzi, trattati, canzoni. Patafisico senza cattiveria, tra Jarry e Queneau. Di attività prodigiosa, quantitativamente e anche qualitativamente, in una vita breve, ma non accettato (situato, sistemato) dalla critica: è stato e resta soprattutto un personaggio. Di famiglia ricca rovinata dal crac del 1929, costretta ad affittare la villa con parco di proprietà, Boris  crebbe con Yehuda Menuhin, il cui padre fu il primo affittuario. A Ville d’Avray, che darà il titolo al primo film francese premio Oscar, “Les dimanches de Ville d’Avray” (“L’uomo senza passato”). Dai dodici anni handicappato da un reumatismo cardiaco, che lo consumerà ad appena 39 anni. Alle cronache pure per essere stato abbandonato dalla moglie Michelle nel 1950, dopo dieci anni di matrimonio, per Sartre (Michelle lo lasciò per fare qualche viaggio con Sartre - il più documentato fu a Roma e Napoli, dove Sartre la presentò agli amici, Moravia, Carlo Levi - ma presto fu anche lei abbandonata, senza mai essere stata ammessa alla confraternita de Beauvoir-Sartre). Morirà nel cinema Marbeuf, mentre assisteva all’anteprima del film tratto dal suo romanzo “Sputerò sulle vostre tombe”, un film che lo aveva fortemente contrariato, soffocato da edema polmonare.
Ma è curiosamente personaggio e scrittore malinconico, malgrado l’esprit, e benché di nomea trasgressiva. La lettura degli estratti, invece dei testi a seguire, ne fa anzi un uomo triste. E non per la scelta del curatore, Florian Madisclaire, avendo qualche dimestichezza con gli scritti di Vian. La copertina è allegra, una foto ridente di Vian in posa da mister Muscolo in spiaggia con la seconda moglie Ursula Klüber piegata scherzosamente ad arco. Una vita energetica, che si vuole felice, malgrado tutto. Una sorta di antitesi di Ennio Flaiano, persona infelice ma di taglio corrosivo, e autore di opere che vivono per sé, senza il personaggio autore, al cinema e nella scrittura. Vian è prodigo piuttosto di infelicità.
La storia personale forse ha pesato, l’abbandono della moglie per Sartre. Boris si rifece pronto con Ursula Klüber, più giovane, bella  e atletica, ballerina della compagnia di Maurice Béjart e Roland Petit, attrice svizzera, che per cinquant’anni ne curerà tenace la memoria. Coinquilino con lei di Prevert, col quale la coppia condivideva il terrazzo. Ma negli ultimi anni, a partire dal 1950, prima o in conseguenza dell’abbandono coniugale, deluso dallo steso mito di Saint-Germanin che aveva creato. Studia molto, riflette, lavora a lungo a un “Trattato di civismo”, contro la guerra, contro la “schiavitù del lavoro”, i partiti, le istituzioni. Più utopico che anarchico.
Molto amato ancora oggi in Francia, con numerose opere in catalogo. Paradossale. “La storia è interamente vera perché l’ho immaginata da un capo all’altro”. Ma più svitato, saggiamente. Un po’ aspro, e non per i dispiaceri (la malattia, l’abbandono, la marginalità), per filosofia: “L’humour è la buona educazione della disperazione” – “si trovano sempre scuse per vivere”. Ma non poi tanto, non c’è molta scelta in questa scelta, non di aforismi o detti memorabili. “Dopotutto essere bianco è una mancanza di pigmento più che una qualità speciale”. “Gli articoli di fondo non risalgono in superficie”. “I profeti hanno sempre il torto di avere ragione”. “Il denaro non fa la felicità di quelli che non ne hanno”. Più impegnato che caustico. Per il jazz, per la pace, contro ogni forma di militarismo.
Boris Vian, Ça m’apprendra à dire des conneries, 1001Nuits, pp. 118 € 4,50