sabato 5 dicembre 2020
Letture - 141
Casinò –
Figlio del caos? L’etimologia è incerta, anche perché ritorna, per questo
accentato, dal francese. Ma la più probabile lo collega a “Casina”, una delle
commedie riconosciute di Plauto, della ragazza “figlia del caso” – una commedia
che sarebbe stata ispirata dal greco Difilo, da una commedia che aveva a
protagonista Casina e si intitolava “L’estrazione a sorte”.
Glaciazioni –
Storia vecchia, non sole geologicamente – e immodificabile: “Tutta la storia umana
s’è svolta nell’intervallo tra due glaciazioni che ora sta per finire”,
scriveva Calvino nel 1975 come promozione per una ditta giapponese di whisky
(poi pubblicata sul “Corriere della sera” come “La glaciazione”, e ripreso in
volume in “Prima che tu dica «Pronto»”), prima del “buco nell’ozono”.
Feste tristi per Montalbano
Due Capodanni di Montalbano,
naturalmente solo, in lite con le feste – tratti da “Un mese con Montalbano” e
“Gli arancini di Montalbano”. Due prove che senza la Sicilia non c’è “Montalbano”,
non c’è Camilleri.
Il whodunnit alla Poirot di “Capodanno”, chi è stato, è poca cosa - poco
lussureggiante nella ambientazione, cervellotico nello schema assassino. Lo “sfunnapedi” di “Gli
arancini di Montalbano”, il tranello, che il commissario si inventa, per potersi mangiare indisturbato gli arancini di Adelina, la “cammarera”, è perfino
irritante.
Entrambi i racconti, recuperati in
due dei film tratti dai Montalbano, invece funzionano: “Gli arancini di Montalbano”,
il secondo o terzo film di Sironi, l’inventore del Montalbano al cinema, e
dieci anni dopo il secondo della serie “il Giovane Montalbano” di Tavarelli –
che ricalca, in economia, quello di Sironi. E allora? C’è, anche, un Montalbano
al cinema, di Sironi?
Andrea Camilleri, Capodanno, la Repubblica, pp. 47,
gratuito col quotidiano
venerdì 4 dicembre 2020
Ombre - 540
Parte
il “cashback” a dicembre? Quando? Sarebbe semplice dirlo, ma non si sa - forse
per l’Immacolata. Come ci si iscrive al programma “cashback”? Che non è semplice – nemmeno per i “nativi
digitali”. Sono tutti i caffè, i commerci, i siti online (i siti online, dove i
pagamenti si fanno solo per carte di credito, non possono concorrere) pronti a
gestire un sistema di pagamenti radicalmente nuovo? Il fatto più rilevante per
le abitudini nazionali prende poco o niente spazio, rispetto a Conte e Di Maio, e Salvini.
L’informazione non vuol essere informazione.
Azionisti
Unicredit da tanto a niente: dai dividendi solidi, con buy back di rinforzo al
titolo, all’acquisizione forzosa del Monte dei Paschi. Tutto in pochi minuti,
nella disattenzione. Come
se niente fosse, l’avvelenamento della prima o seconda più grande banca
italiana con l’iniezione di Mps.
Si liquida Unicredit con la regia del Tesoro. Solidamente in mano
al Pd, a Gualtieri con l’impavido Padoan. Non si può dire nemmeno un maleficio
del malefico Grillo. Ma nemmeno del fu partito dell’“abbiamo una banca”. No, è
il solido vecchio partito del potere, del comandare è meglio che godere. Dei
vecchi, confessionali, Dc tournés Democrat: un altro Andreotti, vicepresidente,
con le fondazioni ex casse di risparmio venete e torinese – e con la Banca d’Italia?
S’innesca una crisi di proporzioni incalcolabili. Ma come non detto.
“Siamo
nell’unica regione al mondo che destina il 70 per cento del suo bilancio alla Sanità,
con risultati fallimentari”. E: “Quando ho visto che girava la candidatura di
Rosy Bindi (a commissario alla Sanità in Calabria, n.d.r.) mi sono messo le
mani nei capelli: da lei è iniziato lo slittamento verso il privato”. La
tragedia – della Calabria da un quindicennio e dell’Italia nel contagio - è tutta
qui. Ci volevano un senza patria come Gino Strada e un cronista non corretto come
Smorto per dire queste semplice verità, su “la Repubblica”.
La
privatizzazione della sanità, opera della sinistra Dc, a favore delle assicurazioni,
e dei “compagnucci della parrocchietta” delle cliniche, ha portato alla
catastrofe, che Strada sintetizza efficace: “Il pubblico ha perso, i servizi
sanitari sono stati depauperati, chiusi gli ospedali, tagliato l’organico. E
gli stessi medici si sono trasformati in imprenditori di se stessi, all’interno
degli ospedali”.
Le
ricchezze dei ricchi si moltiplicano da qualche tempo per effetto del basso
costo del denaro, che alimenta i boom di Borsa, e di conseguenza gli attivi
finanziari. Non è questo il problema della disuguaglianza, spiega Alberto
Mingardi, il direttore dell’Istituto Bruno Leoni, su “L’Economia”: il problema è la “distruzione
di competenze, socialità e formazione” per effetto del lockdown – che ormai, si può aggiungere, prenderà un ano, almeno uno.
Gli effetti sono pesanti sull’apprendimento, e sul lavoro: “Il Covid ha aperto
una voragine fra coloro che hanno un reddito garantito, in larga misura perché lavorano
per lo Stato, e tutti gli altri”. Come tra chi ha una famiglia che supplisce alla
scuola, e chi non ce l’ha. Che ha perso un anno, e gli stimoli. Ma di questo
non si parla.
“Non
abbiamo mai fatto tagli al personale”, spiega a “L’Economia” il ceo di Crédit Agricole
in Italia, Giampiero Maioli. Che vanta: “Sì, dopo 15 acquisizioni siamo
italiani”. Quindici acquisizioni senza licenziare nessuno – anzi con
“assunzioni giovanili, skill digitali e tecnologiche”. Forse i francesi governano
in Italia perché ci sanno – le banche in Italia sopravvivono eliminando
personale.
La scoperta della mafia
Finalmente un film vero sulla mafia.
Sulla barbarie, la stupidità, la bassezza della mafia in Sicilia negli ultimi
trent’anni del Novecento. Un film documentario, con pochi fronzoli sulle
sceneggiate di contorno, ma potente, per montaggio, e immagini e audio d’epoca.
Con le testimonianze dal vivo delle giudici popolari che Angela Finocchiaro
riassume nel docufilm: Teresa Cerniglia, Maddalena Cucchiara, Francesca Vitale –
più Mario Lombardo, uno dei giurati. E i giudici del processo, Giordano, Grasso
e Ayala.
Un film vero perché centrato finalmente
sul “noi e loro”, com’è giusto, di siciliani che giudicano e condannano,
inorriditi, altri siciliani. Per il diritto, e per rendere giustizia alle centinaia
di servitori dello Stato trucidati, alle migliaia di mafiosi (e non mafiosi)
vittime della mafia. Dei terribili anni 1970-1980.
Un capolavoro. Che pochi hanno
visto. Poco promosso, è vero, ma le cifre della audience sono misere: 3,4 milioni di spettatori– che si penserebbero
molti ma non per Rai 1: sono un terzo degli spettatori di un Montalbano sulla
stessa rete. Non piace la mafia così com’è, trucida – è la colpa dell’antimafia,
che l’ha magnificata.
Francesco Micciché, Io, un giudice popolare al maxiprocesso,
Rai 1
giovedì 3 dicembre 2020
Il mondo com'è (416)
astolfo
Disgelo – Non fu sempre guerra,
seppure fredda, nella guerra fredda. Alla morte di Stalin a Mosca, il 5 marzo
del 1953, seguì un periodo detto in russo del “disgelo” – da titolo di una
romanzo di Ilya Ehrenrburg, del 1954. L’ala dura del partito Comunista sovietico,
capitanata dal capo dei servizi segreti Beria, fu presto sconfitta: a luglio
Beria è in disgrazia, la polizia segreta sottomessa al partito, e il capo del
governo, Malenkov, e del partito, Krusciov, annunciano un nuovo indirizzo: più
beni di consumo, prezzi remunerativi ai produttori agricoli, soppressione dei
campi di lavoro forzato, amnistia
politica. Un gruppo di riforme che sarà ribattezzato col titolo del romanzo di Ilya
Ehrenburg allora in uscita, “Il disgelo”. Mentre si fanno contestare nella
stampa di partito gli abusi di potere autoritario e le spese di prestigio. E si
lasciano circolare voci sull’impreparazione sovietica a fronte della minaccia
hitleriana, ridimensionando Stalin nel suo titolo di maggior gloria, la sconfitta
di Hitler. Si riaprirono i contatti con gli Stati Uniti e i primi colloqui
furono avviati a Ginevra in vista di accordi di disarmo bilaterale. Si conclude
con un armistizio la guerra di Corea. Mosca partecipa alla conferenze internazionali
sulla Germania e sull’Indocina. Abbandona le pretese su Porkkala (Finlandia) e
Port Arthur (Cina). Smobilita un milione 200 mila soldati.
Il XXmo congresso del Pcus, quello della denuncia
dello stalinismo, lancia la strategia della coesistenza pacifica: competizione
economica con l’Occidente e sostengo sempre alle guerre di liberazione, ma la
guerra mondiale non è più in agenda.
Un periodo breve, che verrà alimentato dalle
voci sul rapporto di Krusciov al Pcus contro lo stalinismo, e porterà nel 1964
all’accordo per il bando degli esperimenti nucleari. Ma si è già chiuso politicamente
nel 1956, con la repressione in Polonia, dopo i fatti di Poznan a giugno
(l’insurrezione operaia è repressa dalle truppe sovietiche), e con l’invasione a
ottobre dell’Ungheria, contro la rivolta popolare.
Italo Calvino lo ricorda, ma in chiave si
direbbe contemporanea, di un dissidio con l’egemonismo cinese - nella “Nota
1979” al racconto che aveva scritto nel 1957, “La gran bonaccia delle Antille”,
sullo stallo in Italia tra Democrazia Cristiana e partito Comunista. Crede di
ricordare “la prospettiva di una guerra atomica che proprio allora divideva i
sovietici, che la presentavano come la fine della civiltà, dai cinesi che
tendevano a minimizzare i pericoli”.
Scomparsi
- Gli
scomparsi sono tanti, in ogni paese, persone di cui all’improvviso non si sa
più nulla. Sono stati 245 mila in Italia negli anni dal 1974, da quando se ne
tiene il conto, fino al 31 dicembre 2019. Rintracciate solo per due terzi. E
vanno ad aumentare, per effetto dell’immigrazione ma non solo. Nel 2018 sono stati
quasi 5 mila, con un aumento del 16 percento – in Francia 13 mila. Nel 2019
oltre quindicimila - 15.044 (di queste ne sono state ritrovate i due terzi,
9.846 – di cui 227 prive di vita).
Per classi di età, il maggior
numero sono minori. Soprattutto dei centri di accoglienza per immigrati. Nel
2019 le denunce di scomparsa di minori sono state 8.331, il doppio del 2018. In 2.955 casi i
minori scomparsi sono stati italiani, per 5.376 stranieri. Dall’1 gennaio 1974
al 31 marzo 2019 il numero dei minori scomparsi censito dal ministero dell’Interno
era di 122.208, per un terzo ancora da ricercare, 42.044. Un caso a settimana,
in media, in Italia riguarda bambini sottratti per liti familiari e finiti in Stati
esteri. Ma questo aspetto del fenomeno è legato soprattutto allo sfruttamento
dei minori, per lavoro illegale, accattonaggio, prostituzione. Il numero dei
bambini che ogni anno scompaiono nel mondo è attorno al milione
In Italia il fenomeno si è accresciuto
soprattutto con l’immigrazione. Dei 61.036 residenti in Italia che al 31 dicembre 2019 risultavano ancora da
rintracciare, erano italiani poco meno di un sesto, 9.959. I cinque sesti erano
stranieri, esattamente 51.077. È su questa quota di sparizioni che è molto
forte l’incidenza dei minori: erano 41.848 a fine 2019, i quattro quinti del
totale degli immigrati mancanti all’appello.
Dei 15.044 residenti di cui è stata denunciata
nel 2019 la scomparsa, più delle metà erano italiani, 7.905 (gli stranieri sono
stati di meno, 7.109) Le donne scomparse sono state 4.776. I minori molto più
della metà del totale, 8.331.
Su base regionale (i dati disponibili sono di
fine 2018) il fenomeno interessa in primo luogo la Sicilia: 26.635 denunce - sul
totale (1974-2018) di 229.687. Seguivano il Lazio, con 8.023 casi, la
Lombardia, 6.103, la Campania, 4.699, la Calabria, 4.659, e la Puglia (4.080.
Tedeschi-ebrei – In quarantamila
sono tornati a Berlino. Da Israele, non da un qualsiasi ghetto orientale.
Qualcuno a titolo di risarcimento, o così dice, “ci riprendiamo un po’ di
quello che ci hanno tolto”, in realtà perché in Germania si ritrovano, non
hanno mai smesso di essere tedeschi. A lungo in Israele, a Tel Aviv ma anche a
Gerusalemme, la lingua franca è stata il tedesco, puro o nella forma yiddish.
È più di un paradosso, che degli ebrei
si vogliano tedeschi. E ancora di più il viceversa, dei tedeschi ebrei, in petto, seppure recalcitranti e
maneschi. È ebrea la cosa più simpatica della Germania, il Maggiolino
Volkswagen. Era di Josef Ganz la Standard Superior del 1933, pubblicizzata come
“deutsche Volkswagen”, e come tale spiegata a Hitler al Salone dell’Auto di
Berlino in primavera, macchina popolare. Nel nome in codice, Maikäfer,
maggiolino, e in alcune componenti poi decisive per il successo: telaio a tubo
centrale, motore posteriore orizzontale, assali oscillanti, sospensioni
indipendenti. Ganz era ebreo. Volkswagen riconoscerà il debito nel 1961, quando
era incalzata in tribunale in una causa plurimiliardaria dal vecchio
costruttore Tatra, per dodici brevetti rubati alla Tatra 11, la prima
utilitaria tedesca. Cercò Ganz, lo trovò in Australia malato di cuore, effetto
di una cronica sindrome maniaco-depressiva, e gli chiese di certificare il suo
contributo originale al Maggiolino. Ganz testimoniò, gratis, ebbe solo una
decorazione di Prima classe per servizi resi alla Repubblica tedesca, il
Bundesverdienstkreuz I. Klasse des Verdiestordes der Bundesrepublik
Deutschland, e morì contento.
Il Novembre Rosso, col licenziamento del
kaiser e la proclamazione della repubblica, delle repubbliche, alla fine della
Grande Guerra, furono opera di ebrei. L’agitazione e la lega di Spartaco ebbero
in primo piano Rosa Luxemburg, Leo Logisches, Paul Levi. Preminente la presenza ebraica nella
repubblica socialista presieduta da Kurt Esiner, che il 7 novembre 1918 a Monaco
aveva liquidato i regnanti di Baviera – prodromo alla cacciata del kaiser. E
quando, il 6 aprile 1919, dopo l’assassinio di Eisner, fu proclama la
Repubblica dei Consigli, erano ebrei i membri più influenti: Erich Mühsam,
Ernst Toller, Frida Rubiner, Tobias Akselrod, Gustav Landauer, Ernst Niekisch. Così
pure Eugen Levine-Nissen, il capo degli spartachisti che subentrarono agli
anarchici.
astolfo@antiit.eu
Un paese attorno al Gianicolo
Un album di foto dei residenti,
dei padri, i nonni, del quartiere come cominciò a formarsi, dalle ville fuori
porta, che furono la scena, attorno al Gianicolo, della fine della Repubblica Romana,
nel 1849. Il secondo di una serie, iniziata, sempre a Roma, col Salario, per riacquistare alla città la dimensione paese, nell’ambito del quartiere –
siamo alla nuova questione identitaria, ma Roma è sempre stata una città di
quartieri, ognuno con una propria fisionoma. Una dimensione urbana fatta di
conoscenze, punti di riferimento comuni, valori condivisi. Illustrata dai nomi
importanti ”. Qui soprattutto scrittori, Gadda, Pasolini, Caproni, Elsa Morante
– dimenticati stranamente i Bertolucci – e da Escher (trascurati i musicisti,
Morricone, Piovani). E dai personaggi comuni, negozianti, artigiani,
professionisti, che per un qualche motivo si ricordano, l’anzianità, la
cordialità.
Le immagini familiari sono mescolate
con quelle tratte dagli archivi pubblici. Con pochi contributi scritti, ma
bastanti a delineare una fisonomia. Di Paolo Masini, ex assessore alla Cultura
in circoscrizione e in Campidoglio, che attivò l’archivio storico culturale del
Municipio, e presiede il Rome Best Practices Award. Di Simona Marchini con le
memorie familiari. Dello scrittore Emanuele De Luca, che per molti anni editò il
mensile di quartiere “Quattro passi”. E una serie di aneddoti e figure evocati
da Sara Fabrizi e Martina Gatti. Carlo Picozza ricostruisce la “ferita aperta”
del Forlanini, il grande ospedale, venti ettari, da venti anni abbandonato – e
questa è la storia di Roma città – Roma capitale?
Una realizzazione Typimedia, la
società di Luigi Carletti e Edoardo Fedele, che ha avviato a Roma il progetto
“Community”; custodire, e in fondo creare, una pratica di vita d’insieme, di quartiere,
Com’eravamo:
Monteverde 1849-1950,
Communitybook, pp. 213, il. € 14,90
mercoledì 2 dicembre 2020
Il salto nel buio - lo strano caso di Unicredit
Si dice che i grandi azionisti Unicredit erano scontenti
del pay-back, non sufficientemente remunerativo, a partire dalla quotazione in
Borsa. Perché, la quotazione dopo Mustier è migliorata – ha perso il 5 per
cento il primo giorno, l’8 il secondo? Non volevano, si dice, fanno dire, una
presenza più marcata in Germania. Che è la ragion per le quale, spiega
Mediobanca, le banche francesi guardano a Unicredit come preda, per entrare nel
mercato tedesco. Volevano, si dice
anche, dividendi più sostanziosi, e ora non avranno nulla, nemmeno uno di
consolazione. Mentre erano al sicuro dalle rischiose avventure M&A, fusioni
e acquisizioni, tipo il Monte dei Paschi di Siena, e ora vi saranno
costretti.
La
vicenda sembra insensata, ma evidentemente non lo è. Gli azionisti passano da
una banca prospera, con l’annuncio di dividendi, e di un solido buy-back, al nulla
– all’ipotesi che Unicredit sia vittima di una banca francese. Qual è la ratio di questo “imbroglio”? L’unica spiegazione è
politica, la “vecchia politica” che non si peritava di distruggere pur di
comandare. Qui rappresentata dal dominus dell’operazione, il vice-presidente Lamberto
Andreotti, il figlio, per conto delle fondazioni ex casse di risparmio che lo
hanno nominato, il quale ha portato dentro Padoan, l’ex ministro del Tesoro di
Renzi. Non è bastata, si vede, la rovina di Mps, quella delle banche venete,
quella di banca Etruria, Marche, Chieti e Ferrara.
Appalti, fisco, abusi (190)
A Roma lo straordinario notturno dei Vigili
Urbani scatta alle 16.
A Roma è giorno dalle 8 alle
16, poi è notte fonda?
Due crolli e mezzo di
Unicredit in Borsa per l’allontanamento dell’ad Mustier domenica, senza una
discussione preliminare e senza un sostituto. Difficile non vederci una
speculazione al ribasso sul titolo. E già si parla di un “cavaliere bianco” che
verrebbe dalla Francia a salvare Unicredit. Ma Unicredit non è – era – la
migliore banca in Italia, insomma la seconda migliore?
Si è proceduto all’allontanamento
di Mustier dopo l’ingresso in banca di Padoan, l’ex ministro del Tesoro.
Portato dal responsabile nomine per conto del consiglio d’amministrazione, il
vice-presidente Lamberto Andreotti (figlio, sì). Per conto delle fondazioni delle
ex casse di risparmio torinese e venete. Il vecchio mondo Dc ora Pd. Che ha guastato
le banche venete, al fallimento, il Monte dei Paschi di Siena, e le banche
tosco-umbro-marchigiane minori. Ora ci prova con Unicredit? Senza difese?
Enel fattura 450 kWh mensili
per 100 euro – tutto compreso: abbonamento Rai, oneri di sistema, trasporto,
accise e iva. Ora propone 200 kWh mensili per 50 euro, come promozione
speciale, eccezionale, solo per un anno. L’offerta, cioè, costa più del
servizio ordinario.
Il signor Nessuno
“Era il rovescio di ogni cosa che
m’incuriosiva, il rovescio delle case, il rovescio dei giardini, il rovescio
delle strade, il rovescio delle città, il rovescio dei televisori, il rovescio
delle lavastoviglie, il rovescio del mare, il rovescio della luna”. Ancora nel
1978, mentre cogitava questo “Palomar”, forse
lo stava scrivendo, Calvino immaginava un “Fulgenzio” che la sua giovinezza
vede così (“Lo specchio, il bersaglio”,
sul “Corriere della sera” 14 dicembre 1978, ora in “Prima che tu dica
«Pronto»”). Insoddisfatto: “Ma quando riuscivo a raggiungere il rovescio,
capivo che quello che cercavo io era il rovescio del rovescio, anzi il rovescio
del rovescio del rovescio, no; il rovescio del rovescio del rovescio….”.
Questo è quello che fa il signor
Palomar. In spiaggia d’estate guarda e indaga le onde e il topless, fa la
“nuotata serale”, perplesso, forse stanco, trova nel giardino di casa lo
strombazzare degli uccelli, specie il “fischio del merlo”, con qualche fastidio
(“ma i dialoghi umani sono qualcosa di diverso?”), strappa le erbacce,
osserva i tre “pianeti esterni” per una notte visibili tutt’e tre insieme,
Marte, Saturno e Giove. Poi si sposta in città. A Roma combatte i piccioni,
“lumen-pennuti”, “progenie degenerata e sozza e infetta, né domestica né
selvatica ma integrata nelle istituzioni pubbliche, e come tale
inestinguibile”. E osserva gli storni, perplesso – sull’intelligenza animale, o
delle trasmigrazioni. Indeciso la sera se guardare la tv o il geco. A
Parigi va dal formaggiaio, dal macellaio, allo zoo di Vincennes, che gli richiama
lo zoo di Barcellona, e al Jardin des Plantes. Ogni capitoletto segnando con
tre cifre, 1, 2, 3, ma non nello stesso ordine, spiega infine in nota, le cifre
si spostano col racconto. Perché ognuna di essere corrisponde a un particolare
senso tematico della zona del capitoletto che designa: “Gli 1 corrispondono
generalmente a un’esperienza visiva” (“un’immagine”), “nei 2 sono presenti
elementi antropologici, culturali in senso lato”, “i 3 rendono conto di
esperienze di tipi più speculativo”, cosmo, tempo, infinito, io, mondo –
passando così “dall’ambito della descrizione e del racconto a quello della
meditazione”. A Parigi seguono “i viaggi di Palomar”. Che iniziano con “I
silenzi di Palomar” – i silenzi per cui Calvino era famoso. Combattuto tra “il
parlare in certa misura e il non parlare mai”. Prova ad occuparsi della diatriba
tra i giovani e i vecchi. Ma non si appassiona che a modelli, fisici,
matematici, logici. Prova a farne forme di vita, non ci riesce. E allora guarda
il mondo, come se non fosse mondo. Insomma, ha “difficoltà di rapporti con il
prossimo”, ci “soffre molto”, e finisce per pensare al mondo senza di lui.
Una parabola della vita – di
Calvino. Un exploit notevole, ma niente più di questo, niente di appassionante
o memorabile. Poco empatico, come si dice oggi, e un pizzino anzi misantropo.
Scorre in fretta, come il fischio
del merlo, si chiude con disappunto, per il signor Palomar a disagio, e per sé.
Il racconto di un’inappetenza.
Italo Calvino, Palomar, Sorrisi e Canzoni tv + la
Repubblica, pp. 132 € 8,90
martedì 1 dicembre 2020
Armi spuntate a Teheran
L’uccisione dell’ing.Fakhrizadeh è un “avvertimento”
di Nethanyahu a Biden? È la sola conclusione, seppure in forma interrogativa, cui
è arrivata la Farnesina, di concerto con le altre cancellerie europee. Pochi o
nulli i timori per la minacciata rappresaglia iraniana. La rappresaglia non si
è avuta per l’uccisione del generale Suleimani, ben più drammatica, non la si
aspetta per il direttore del programma nucleare di Teheran, di cui gli ayatollah
non sanno nemmeno spiegare le modalità dell’uccisione, malgrado le minacce
solenni di vendetta.
In Libano l’organizzazione sciita filoiraniana
degli Hezbollah, in altri tempi una spina nel fianco di Israele, è sulla
difensiva, per i disastri provocati dai suoi governi, su iniziativa delle forze
sunnite e cristiane. In Europa, la rete dei killer iraniani è ovunque
sotto processo dopo le tante morti tra le fila dell’opposizione agli ayatollah.
L’uccisione dell’ing. Fakhrizadeh,
indubbiamente per mano israeliana, anche se non rivendicata, viene spiegata
come un altolà all’amministrazione entrante Biden in America. In particolare al
nuovo segretario di Stato Blinken. A Blinken Nethanyahu imputa la politica di appeasement verso l’Iran del secondo
mandato Obama, nella posizione, allora, di vice-segretario di Stato.
Una nave traghetto è l’ammiraglia iraniana
La “scoperta” che l’ammiraglia della flotta
iraniana è una nave traghetto costruita trent’anni fa in Italia, la Galaxy F
(riadattando un vecchio cargo, Altinia), non turba la Farnesina. La scoperta è
stata fatta dal sito russo Sputnik, con dovizia di particolari.
Galaxy F sembra un nome a effetto, essendo al
sigla dell’ultima linea di cellulari Samsung. Una traghetto ro-ro (roll on-roll off, per il trasporto di
automezzi) con questo nome c’è stata, varata nel 1992 dai cantieri Visentini
sul mare di Rovigo, ma non battente bandiera italiana né armata da italiani.
Del fatto interessa di più la sorgente dell’informativa-denuncia.
Che cioè essa sia arrivata da Mosca. Un segno forse che il rapporto già stretto
fra Russia e Iran, sul nucleare, e sulla
guerra in Siria, si è incrinato. In parallelo, la Russia ha avviato una
concertazione col reame saudita, l’arcinemico degli ayatollah, sulla politica
petrolifera e su quella degli armamenti.
La foto del ponte della nave iraniana, diffusa
da Sputnik, è sembrata peraltro una sorta di fiera degli armamenti disponibili per la
Marina dei pasdaran, razzi e droni. Cioè
un segno di debolezza. Analogamente per l’ipotesi fatta circolare che la Shahid
Rudaki, come l’ex cargo è stato ribattezzato, abbia abbattuto il drone stealth americano Global Hawk nello
stretto di Hormuz il 20 giugno 2019, e\o abbia lanciato i droni che colpirono i
siti petroliferi sauditi (senza peraltro danneggiarli) il 14 settembre dello
stesso anno.
L’horror dell’horror
Un affastellamento di identità,
storie, orrori, attorno agli scomparsi, tanti i bambini – nel 2018 oltre
quindicimila, solo in Italia. Un fenomeno reale, che Carrisi drammatizza sul lato
perversioni.
Si va alla follia, e oltre. Attorno
a due mostri sacri, Dustin Hoffman e Toni Servillo, ma il filo scappa sempre, per
due ore d’immagini tetre, tra personaggi inconcludenti, in luoghi non luoghi, dai
nomi vagamente americani – come il dottor Green, ambigua “specie di dottore”. E
non finisce mai, il contorcimento di budella dura due ore e passa.
Ci sarà un zoscar dei film di serie B, cui Carrisi avrà voluto concorrere. Ma perché farsi pagare per mostrarlo?
Donato Carrisi, L’uomo del labirinto, Sky Cinema
lunedì 30 novembre 2020
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (441)
Giuseppe Leuzzi
È al Sud la
percentuale più alta di non fumatori: il 70 per cento in Basilicata, il 66 in
Calabria, il 63 in Puglia, il 61 in Campania, il 59 in Sicilia. In fatto di prevenzione,
della salute, il meridionale è vigile.
“È la
democrazia”, dice il senatore Nicola Morra a proposito dei calabresi che hanno
votato Jole Santelli, colpevole di essere poi morta: “Ognuno deve essere
responsabile delle proprie scelte: hai sbagliato, nessuno ti deve aiutare, sei
grande e grosso”. Ma anche lui è eletto in Calabria, benché genovese. Che non
abbia tutti i torti.
A “Non è la
D’Urso” su Canale 5 domenica l’ altra Sansonetti, ora direttore del
“Riformista”, un tempo impegnato in Calabria con un paio di giornali sul fronte
della legalità, continua a contestare, come soleva, il giudice antimafia Gratteri,
che accusa di carrierismo e di troppi processi andati a vuoto. Gli contesta
l’arresto del presidente del consiglio regionale Calabria, senza nessuna colpa
specifica o addebito agli atti della sua indagine. Salvini, anche lui in studio da remoto, ne approfitta per fare lo statista e si
proclama difensore di chi combatte le mafie a rischio della vita. Ma si
professa “buon amico” del giudice Gratteri: terminologia equivoca, non lo sa?
Gratteri va da
Fazio e ci scherza sopra. Non si querela mai, e quindi non sta a contestare i
giornalisti. Salottiero, benché sotto scorta da decenni. Gratteri è
autore di best-seller, in tandem con Nicasio, per la Mondadori – il filone
aperto dall’indimenticabile “Gomorra”, prodotto editoriale da due milioni di
copie, solo in Italia (la mafia rende).
Buccini sul
“Corriere della sera”, dovendo ritinteggiare la farsa del commissario alla
Sanità in Calabria, ripesca lo storico De Cesare, che a Ferdinando II,
penultimo re di Napoli, fa trovare “le sue Calabrie”, con sgomento, “divise dal
mondo, separate fra loro da distanze assurde” e, come oggi per la sanità,
“senza alcun conforto della vita civile”. Ma si dimentica che Ferdinando II era
pur sempre il re, anche di quelle Calabrie, di un regno ereditato da molte
generazioni.
Sudismi\sadismi
Klaus Davi si è
trovata la mafia a letto. Non propriamente, forse un semplice carcerato – uno
che aveva abbordato in chat, col quale aveva avuto “molti incontri in albergo”,
a Reggio Calabria, nella piana di Gioia Tauro, sulla Sila, finché a un certo
punto il giovanotto si era cancellato, scomparso. Aveva un tatuaggio, piccolo, un quadrato
coi puntini, ricorda Davi. Che ha poi scoperto essere comune tra i carcerati, ma lui preferisce
dirlo di ‘ndrangheta - tipo i santini del giudice Gratteri. La mafia è componente necessaria anche all’orgasmo? C’era
un dubbio, se tanti non riescono a farne a meno.
Davi dice anche
- da sociologo di massa, non più di massmedia: “L’omosessualità è molto diffusa
nella mafia. Ogni grande famiglia di ‘ndrangheta ha almeno un omosessuale o una
lesbica in casa”. Finalmente una parola chiara, ma a pro della mafia o non
contro? Davi rischia il politicamente scorretto.
Forse,
indirettamente, nel subconscio - nel subconscio dell’analista Davi? - c’è la
nobilitazione della mafia. Le “grandi famiglie”, certo, sono ingorde, di tutto
– una volta si sarebbe detto che si permettono tutti i vizi, ma la gloria è
quella.
Calabria gaudiosa
Eugenio
Gaudio, anatomopatologo di fama, con un impact factor elevatissimo, 75, e
amministratore capace, all’Aquila e alla
Sapienza, che ha retto egregiamente per sei anni, è finito nel ludibrio per
avere detto che rinunciava all’incarico di commissario alla Sanità in Calabria
perché sua moglie non vuole “andare a Catanzaro”. Magari è una battuta, Gaudio non aveva nessuna
voglia di fare il medico dei poveri – aveva avuto una richiesta, non aveva
detto sì. Un understatement naturale
per lui, che è british di educazione
e di modi. Ma siccome lui e la moglie sono calabresi la cosa è stata messa in
ridicolo: tutti hanno riso della moglie, come di una cretina – e di Gaudio
zimbello della moglie, come nelle vecchie vignette di Manzi su “Tempo” illustrato.
Come se Ida Cavalcanti, nata e cresciuta a Cosenza, come il marito, non
esistesse. Non potesse dire: “Non voglio trasferirmi a Catanzaro”. Nemmeno una donna, in epoca di femminismo,
solitamente ciarliero sul ruolo della donna, si è sentita di dover protestare:
perché un marito non dovrebbe considerare la volontà della moglie? La “donna
del Sud”, poi, figurarsi.
La
questione in sé è diversa e semplice, e Gaudio, alla calabrese, l’ha detta: la
Calabria è considerata, dai commissari valtellinesi, campani, emiliani, zona di
confine o coloniale, dove si va qualche giorno l’anno, giusto per scaldare la
poltrona. Anche per 200 mila euro, l’anno, ma questo naturalmente non è elegante
dirlo.
La scoperta di Siracusa
Lunga intervista
in punta di penna di Francesco Merlo sul “Venerdì di Repubblica” dieci giorni
fa con Lucia Azzolina, l’insegnante siracusana ministra delI’Istruzione, la
sola che si batte nel governo, con intelligenza, per tenere aperte le scuole. Cosa
che lo stesso Cts, il comitato tecnico-scientifico da cui il governo si fa
assistere nella pandemia, raccomanda: “Le scuole vanno aperte. O per i ragazzi
sarà un massacro”, va dicendo il presidente del Comitato, Agostino Miozzo. Ma a
vuoto: il governo chiude le scuole per evitare di dover limitare o chiudere la
produzione, il commercio – è la
posizione anche del giornale di Merlo. E questo si capisce, della sorpresa di
Merlo: fa colpo incontrare qualcuno intelligente contrario alle posizioni che
uno deve sostenere. Un po’ insegnante, un po’ Teresa Mannino.
Ma non è solo questo.
Di più c’è il fatto – Merlo lo ripete più volte, segno della sua sorpresa – che
la ministra è di Siracusa. Come dire di origine bassa, “babba” in siciliano –
vuota, insipida, muta. Anche se la città si è fatta in pochi anni uno dei posti
più civili, in Italia e in Europa. Merlo, di Catania (i giorni in cui non è di Parigi),
si vede che da parecchio non ci va, se mai c’è stato. Il più restio a scoprire
il Sud è il meridionale. A scoprirlo al di sotto della patina greve di abomini
e insulti.
È tanto sorpreso,
Merlo, che si dimentica di dire al lettore che la ministra è sostenuta dal Cts.
Il quale ha spiegato più volte che, contro il contagio, basta scaglionare gli
ingressi a scuola, e predisporre mezzi di trasporto aggiuntivi per l’ora di
ingresso e quella di uscita dalle scuole. Bastava, sarebbe bastato. Perché le
scuole, con Azzolina, si sono organizzate, i trasporti no. Cioè i sindaci e il
governo, la politica.
Oicofobia
“Dopo il caso Calabria
esplode il caso Sicilia”. Il ministro della Sanità Speranza manda gli
ispettori a monitorare la sanità in
Sicilia. Non l’ha fatto per Vò né per Lodi, o Alzano, dove il contagio era
diffuso dagli ospedali, lo ha fatto quando finalmente ha potuto farlo in due
regioni del Sud, che invece riescono a contenere disagi e morti. Per consentire
i titoli infamanti? Un finto ingenuo, di Potenza, che si conquista i media col
tasto leghista? È l’oicofobia di Roger Scruton, l’odio dei luoghi d’origine.
Lo stesso è di
Annunziata? Faceva rabbia, fino alla pena, l’intervista sdraiata a “Mezz’ora in
più” su Rai 3 ieri con l’impresentabile Morra, quello dei calabresi bastardi perché hanno votato Jole Santelli. Dopo avergli letto, ammiccando complice, “una
letterina per lei da parte dei vertici…, del vertice aziendale” – una lettera
di scuse per avere escluso lo stesso Morra da una precedente trasmissione di
Rai 3. Si può cercare lo scandalo – si fa per dire: questo Morra chi è, a chi interessa? – ma
non a costo di un minimo di dignità. Anche soltanto di solidarietà femminile.
Per una irpina di De Mita la Calabria sarà terra incognita, l’“Affrica”, il
deserto.
leuzzi@antiit.eu
Dopo il matrimonio c'è un domani
Un formidabile exploit. Di Annette Benning soprattutto,
e del regista-autore William Nicholson, sceneggiatore di film di successo,
drammaturgo, che filma in proprio un suo dramma di vent’anni fa, “Hope Gap”.
Della donna che il matrimonio vive scontato, finché il marito non la lascia, al
trentesimo anno di vita coniugale.
Un dramma senza drammi: niente
Ibsen, un dramma borghese, comune, ovvio, nell’inciampo, nello svolgimento,
nella conclusione. Fra persone ordinarie, seppure con le loro peculiarità, come
è di ognuno. In una relazione di cui niente lasciava presagire la crisi. Ma la
stanchezza è un motivo. Sul presupposto ovvio che “il matrimonio funziona se
entrambi i coniugi vogliono che funzioni”. E tuttavia un dramma speciale. Come
lo è ogni anche minima o consueta o scontata vicenda umana. Ma qui con arte,
con pochi “attrezzi” cinematografici: pochi personaggi, poche scene, poche
ambientazioni, pochi esterni, e sempre gli stessi, le stesse luci e inquadrature.
Sul viso, i tagli, le parole di Benning, eterna giovane amante della poesia,
con la quale si esprime.
Un film parlato, di parole, come
si diceva il teatro di parola, ma in realtà calcolato finemente, nelle immagini,
il taglio, la successione.
La crisi del matrimonio non è un
dramma. O meglio, lo è ma non una dannazione. E può aprire una nuova vita – cambiare
fa bene.
William Nicholson, Le cose che non ti ho detto, Sky Cinema
domenica 29 novembre 2020
Problemi di base - 609
spock
Non sono morali le azioni per amore di sé, p.es. fare l’elemosina – I. Kant?
Solo
il rispetto merita rispetto – I. Kant?
“Solo
abbattendo ogni pretesa dell’amore di sé si conferisce autorità alla legge
morale” – I. Kant?
Meglio
della “morale delle intenzioni” è la morale della “responsabilità”, delle
conseguenze delle nostre azioni - Max Weber?
La
morale dell’uguaglianza non implica la disuguaglianza – sia pure nella forma
della diversità?
Si
tollera se si comprende, o si comprende se si tollera?
Si
comprende anche se non si capisce?
spock@antiit.eu
Nabokov ironico, malinconico, e il fascino della Russia
Un’immersione nel fantastico,
anche quando è realistico, storico, scientifico, entomologico. Per la scrittura
rarefatta che snoda i racconti, eterea, umbratile. Di persone, situazioni,
storie come avvolte o dissolte in una nebbia, di certezze, di sentimenti. Nella
bizzarria – la bizzarria è il segno di Nabokov, il sorprendente, ma con il
coinvolgimento dell’autore, come trasognato. Racconti di sogni, come sogni. Irenici.
Anche nei disastri: “La parola”, il racconto di un esiliato cui una schiera di
angeli mostra un mondo idilliaco sopra una realtà barbarica, è stato scritto
dopo l’assassinio del padre di Nabokov, a Berlino dove i due abitavano - per
mano di due emigrati estremisti che non gli perdonavano di essere stato
segretario alla presidenza del governo Kerensky, del governo provvisorio dopo
la prima rivoluzione, di febbraio (figlio a sua volta di un ministro della
Giustizia dello zar Alessandro II, un ministro riformista).
Molti i racconti di figure
femminili, che più spesso sono la ragazza piena di felicità. Con Berlino e
Parigi, i luoghi dell’emigrazione, e il ricordo costante di Pietroburgo. La
Russia – molta Russia d’antan -
sempre con malinconia, ma vista indefettibilmente con lente ironica. In
“Rumori” l’evocazione nostalgica dell’amore impossibile per la cugina Tatiana
Evghenievna Segelkranz, sposata, tra fughe di Bach, abiti vaporosi, gite in
bici, chiacchiere perse con l’amico artistoide, nel mezzo reca la domanda: “Ma
dov’è questa Sarajevo?” Il racconto del titolo è il matrimonio a trent’anni,
dopo molti rifiuti, di una donna affascinante, naturalmente russa, con uno
sconosciuto incontrato in casa di amici che le chiede di sposarlo.
È la summa dei racconti di
Nabokov, scritti a partire dal 1921, dapprima a Berlino e poi a Parigi, alcuni
ripescati e tradotti dal russo da Dmitri, il figlio dello scrittore, gli altri ritradotti
dall’inglese, come li aveva riscritti lo stesso autore, che li ripubblicò in
quattro raccolte, tra il 1958, dopo il successo di “Lolita”, e il 1976, un anno
prima della morte. Questa, curata da Dmitri, cantante lirico e italianista, li
comprende tutti, una cinquantina, eccetto i tredici pubblicati a parte col
titolo “La Veneziana”. Compreso un inedito, “Natascia”, datato Berlino 1921 e
firmato Vl. Sirine, che compendia Nabokov: le realtà rarefatte, l’emigrazione,
la povertà dignitosa, la solitudine, la morte – ma la morte non turba
l’innocenza.
Molto avviene in treno. A segnare
le distanze, che per un russo sono un fatto, e la casualità, degli incontri,
delle conversazioni, delle considerazioni, delle conoscenze. “In balia del
caso” inscena un russo emigrato che serve come cameriere nel vagone ristorante
di un treno sul quale viaggia la moglie amata, che lui crede dispersa in Unione
Sovietica. Il treno è il mezzo dell’avvicinamento e, di più,
dell’allontanamento. Il luogo di un mondo sradicato: il successo di Nabokv, non
vittimista, e anzi bonario ironista della storia, copre un mondo di fatiche e
sacrifici, anche nei casi, pochi, di riuscita, di rinascita.
Con la percezione acuta della violenza nella Germania di Hitler già
nel 1933: “Il Leonardo”, slang della mala americana per falsario, traduce il
russo “reuccio”, titolo originale del racconto, che mette in scena la violenza
insensata tra coinquilini a Berlino. Con le note dello stesso autore. Altri
racconti, a volte, nei racconti. Di “Favola”, che non rileggeva, dice, dal
1930, traducendolo in inglese scopre che anticipava Lolita: “Lavorando alla
traduzione, ho trasalito incontrando un Humbert un po’ decrepito ma
inconfondibile, che già scortava la sua ninfetta”. In nota a “Terrore” ironizza
su Sartre: “Precedette di almeno una dozzina d’anni ‘La Nausée’ di Sartre, con
cui condivide certe sfumature di pensiero, ma nessuno dei difetti fatali di
quel romanzo”.
L’edizione è arricchita da Dmitri
di una informata prefazione e di altre note esplicative, con ricordi personali
e paterni. Le traduzioni italiane sono dello stesso Dmitri, e di France Pece,
Anna Raffetto, Ugo Tessitore.
Vladimir Nabokov, Una bellezza russa e altri racconti,
Adelphi, pp. 768 € 22
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