sabato 12 dicembre 2020
IO non sono
Scrive IO letterine affettuose, la app del ministero dell’Innovazione che dovrebbe registrare le carte di debito e di credito per il cashback e la lotteria sui pagamenti digitali. Le scrive al modo della Silicon Valley, di google, apple etc., molto lunghe, che dicono tutto e il contrario. Di logica, si direbbe, asiatica - “se non è questo, è quello” - o pre-baconiana. Consolanti – e in italiano, bisogna riconoscerlo, non in inglese. Ma, poi, il fatto è che IO non fa quello che dovrebbe: caricare le carte di credito e di debito che la legge, il governo, l’antiriciclaggio, l’antievasione chiamano a utilizzare, e quasi impongono. Complica lo ghiommero invece di sbrogliarlo.
Cronache dell’altro mondo - chi ha pagato chi (84)
Al voto del 3
novembre il riccastro Trump è arrivato con una campagna elettorale costata poco
più della metà di quella di Biden, 963 milioni di dollari contro 1,4 miliardi.
Doppia anche la “spesa elettorale complessiva” (presidenziale, per i governi
statali e locali, e per il Congresso) del partito Democratico rispetto a quella
del partito Repubblicano, 6,9 miliardi di dollari contro 3,8.
Nelle elezioni
precedenti le spese dei due partiti si sono più o meno equivalse (eccetto la
campagna elettorale presidenziale del 2016, per la quale Hillary Clinton aveva
surclassato Trump).
Hanno soprattutto contribuito alla campagna elettorale Democratica i settori knowledge e entertainment,
in percentuali attorno al 90 per cento a favore di Biden, per un totale di
circa 300 milioni. Dietro i media, Hollywood e Silicon Valley, vengono gli studi
legali, con contributi per 210 milioni di dollari a favore del partito Democratico,
l’84 per cento del totale dal settore. Al terzo posto Wall Street, con 162
milioni, il 63 per cento dei contributi elettorali totali del mondo
finanziario.
Trump ha perso
e ha vinto. Dai 63 milioni di voti ottenuti nel 2016 è passato a 73,1. Biden è
passato dl precedente record (Obama, 2008) di 69,5 milioni a 78.7 milioni di
suffragi. Ma ha vinto alla stessa maniera come Trump aveva vinto nel 2016, per
uno scostamento elettorale minimo in alcuni Stati - bastanti ad assicurare il blocco elettorale presidenziale di questi Stati. Nel 2016 Trump aveva vinto quattro
Stati, Pennsylvania, Florida, Michigan e Wisconsin per pochi voti, meno dell’
per cento. Biden ha vinto il 3 novembre in Pennsylvania e il Wisconsin per lo 0,6
per cento e in Michigan per il 2,6: in
tutto 237 mila voti, l’1,6 per cento dei votanti nei tre Stati.
Malgrado la
sconfitta di Trump, il partito Repubblicano non ha perso in nessuno Stato dove
aveva la maggioranza. Ha anzi guadagnato un governatore, e più deputati alla Camera
dei Rappresentanti. Potrebbe anche mantenere la maggioranza di 52 senatori: ne
ha rieletti 50 e potrebbe avere uno o due sei seggi senatoriali ancora da votare,
in Georgia, il 5 gennaio.
La prima Instapoet
La poesia al tempo di Instagram.
Pensierini, arguzie, consolazioni. Con molto amore, ordinario, sotto forma di
sesso. E alcune notazioni probabilmente etniche, su zii e cugini dalle mani
lunghe. Rupi Kaur, indiana sikh naturalizzata canadese, è celebre, oltre che per
questa raccolta nata su Tumbir e poi
Instagram, con disegni suoi, per un “saggio figurato” sulle mestruazioni, firmato
“kaur, donna del sikhismo”.
Un regalo editoriale ai lettori
teen-ager. Rupi Kaur lo licenziò nel 2014, a ventidue anni. Ed è stato best-seller
mondiale, da milioni di copie, per un anno e mezzo in classifica tra i più
venduti del “New York Times” – negli Stati Uniti il mercato degli adolescenti è
tra i più frequentati, con sceneggiati tv e molti film. “Chi mai potrà misurare il furore e la violenza del
cuore di un poeta in un corpo di donna”, pare minacciasse Virginia Woolf. Kaur
non se ne dà per inteso.
Pensierini saggi - “parole d’amore,
di dolore, di perdita e di rinascita” è il sottotitolo. In quattro sezioni: “il
ferire, l’amare, lo spezzare, il guarire”. Del genere: “L’arte d’esser vuota\ è
semplice”, e “se non basti a te stessa\ non basterai mai\ a nessun altro”. Più
l’amore: “Sto imparando\ ad amarlo\ amandomi”, “sono un museo pieno d’arte\ ma
tu avevi gli occhi chiusi”, o “ero musica\ ma tu avevi le orecchi mozzate”, “non
è cattivo l’amore\ siamo cattivi noi\ l’amore non è un gioco\ siamo noi ad aver
reso\ l’amore un gioco”, e “com’è che l’amore, perfino quando se ne va, non se
ne va”, o “come fa a morire il nostro amore\ se sta scritto\ in queste pagine”.
Ma più di tutto, lei lo sa, “fare l’amore\ alle parole\ è eroticissimo”.
Rupi Kaur, Milk and Honey, Tea, pp. 207, ill. € 5
venerdì 11 dicembre 2020
Problemi di base - 610
spock
Non
potendo contagiarsi in Corea, Kim Ki Duk è andato a morire in Lettonia?
L’Occidente
fa male all’Asia?
L’Asia
fa male all’Occidente?
La
nuova guerra che si voleva batteriologica, è virale?
Fa
differenza?
E
Milano, che vuole togliere alla Cina il primato del contagio?
O è
la Milano infiltrata dalla Cina, dell’Inter, Pirelli, Chinatown?
Il
mercato fa male alla salute?
spock@antiit.eu
Al tempo di “Paolorossi”, un’altra Italia
Un altro linguaggio, un altro
mondo. Dentro e fuori del campo. Non un secolo fa, e nemmeno mezzo secolo. Il
“sognatore che non si arrende” si è ora dovuto arrendere, ma ha lasciato una
formidabile lezione di ottimismo, di bellezza. Nel suo piccolo, anche sociale e
civile.
È – era - un altro calcio. Il gol
famoso di Tardelli al Mundial di Spagna, che il film ripropone, vede in azione Scirea, Bergomi, e lo stesso
Tardelli, mezza difesa e il centrocampo: nulla a che vedere col ticchettio
afono di oggi. E un’altra passione.
Il Mondiale di Spagna prende
naturalmente più spazio, il torneo di “Paolorossi”, come il minuscolo centravanti sarà famoso nel mondo.
Una vittoria meritata, contro i migliori del mondo, Argentina, Brasile,
Germania, e non dimenticando la Polonia di Boniek. Che chiudeva un periodo
durissimo, di terrorismo, inflazione, mafia. Roma il giorno dopo il Mondiale, e
anche una settimana dopo, era ordinata, perfino pulita, nel traffico, nei
rapporti. Il paese si diede un’altra dimensione, arrivando a essere la quinta,
o quarta, economia mondiale più ricca.
Il ritorno della squadra campione
fu festoso e dignitoso - il film non lo documenta, ma lo ricorda: la dignità è
il fattore che più unifica, per il meglio. Una festa, che si compara nella memoria col triste, polemico ritorno dopo il Mondiale di Germania nel 2006: il
calcio era anch’esso avvelenato dai giudici, come tutta l’Italia.
Michela Scolari-Gianluca Fellini, Paolo Rossi – il campione è un sognatore
che non si arrende mai, Rai 2
giovedì 10 dicembre 2020
Cronache dell’altro mondo (83)
Il big
business (“donatori dalle grandi tasche che hanno fatto fortuna a Wall
Street, nella Silicon Valley e in altri potenti settori dell’America finanziaria”,
inclusi gli Emirati Arabi Uniti, per una somma tra 1,5 e 3 milioni di dollari –
“The Wall Street Journal”) ha finanziato la campagna elettorale di Biden. Attraverso
il Cap, Center for Economic Progress. La cui direttrice, Neera Tanden, dirigerà
l’Office of Management and Budget – l’amministrazione - alla Casa Bianca. Il
direttore dell’Office of Public Engagement
nominato da Biden, il deputato Cedric Richmond, ha esordito assicurando i
top manager che essi avranno sempre ascolto alla Casa Bianca, e un rapporto privilegiato.
In vista della proclamazione lunedì a Washington
del vincitore al voto presidenziale, la Procura dello Stato del Texas ha aperto
un procedimento presso la Corte suprema per frode elettorale: quattro stati,
Georgia, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, avrebbero “modificato illegalmente
le procedure elettorali”. Trump sostiene che altri 17 Stati hanno sottoscritto
il ricorso del Texas, e insiste: “Ho ricevuto centinaia di migliaia di voti in
più del mio rivale in tutti gli stati chiave. Tutti i dati raccolti dopo il
voto dicono che per me era impossibile perdere se non in un’elezione truccata”.
Chiuse le elezioni presidenziali, il figlio di
Biden va sotto processo per reati fiscali – il presidente eletto viene solitamente “azzoppato”.
In precedenza gli affari dubbi di Biden
figlio avevano alimentato molti pettegolezzi. E sono costati a Trump un
processo di impeachment al Congresso,
per aver sollecitato dal presidente ucraino, ascoltato dalla Cia, un’indagine
sulla corruzione di Biden figlio in quel Paese – cosa che il presidente ucraino,
un comico come Grillo, trovò sconveniente fare. Altri affari chiacchierati
Biden figlio ha trattato in Cina.
“Freud considerava l’America «un aborto della
civiltà», e Clemenceau «l’unica nazione della storia passata direttamente dalla
barbarie alla decadenza, senza la fase intermedia di viltà»” – Antonio Monda,
“la Repubblica”.
La scoperta di Pompei
La giovane Marcella, figlia di
Arrio Diomede, “invisibile agli occhi grossolani”, è sensibile al minimo segno
di attenzione: lo sguardo del giovane Ottaviano sulla polvere rappresa degli
scavi con le forme del suo giovane seno. “Non si è veramente morti”, gli dice
una notte di luna, “che quando non si è più amati”. E viceversa: “Il tuo
desiderio mi ha reso la vita, la potente evocazione del tuo cure ha soppresso le
distanze che ci separavano”.
Una novella romantica, con molta
storia, e cose viste. Un incantesimo, una notte di luna, passeggiando per gli
scavi dopo avere assistito nel teatro della città sepolta alla commedia
“Casina” di Plauto. Del desiderio, o voglia di vivere, che gli dei non saprebbero
conculcare o cancellare. Ma sì nel caso di Marcella, che il padre Arrio, neofita
cristiano, condanna col peccato alla dissoluzione.
Un racconto modellato sull’esperienza
vissuta da Gautier a Napoli nel 1850 - ne fu espulso per motivi politici - ma
di più sui “Souvenirs de Pompéi”, di Nerval, 1845. E su alcuni temi dello
stesso Nerval, il poeta narratore visionario che sarà un paio d’anni dopo
suicida: la morte delle religioni, l’amore che vince la morte, la conoscenza
attraverso le passioni.
Un racconto del soprannaturale, di
Pompei dal vivo. Ma di un mondo, Napoli, il Vesuvio, gli scavi, oggi e ieri,
tutto declinato al sublime. Che incanta per la malinconia che suscita. Non per
Arria Marcella, ma per il mondo che evoca, compresi i
“ciceroni” che vi s’impongono, apprezzato, ammirato, rispettato, e non
insolentito come ora usa.
Théophile Gautier, Arria Marcella, Flavius, pp. 64, ill. €
12
Livre de Poche, pp.96, ill. € 2
mercoledì 9 dicembre 2020
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (442)
Giuseppe Leuzzi
Dal 2007 al 2020,
calcola “Il Sole 24 Ore”, per i due cicli europei settennali di programmazione
delle politiche di coesione sociale, cioè, in Italia, per il Sud, è stata spesa
la metà del pacchetto di aiuti disponibili, 89 miliardi invece di 178. È una
costante, l’incapacità italiana di avvalersi delle risorse europee – che
l’Italia finanzia. Che si suole imputare alle Regioni del Sud. Mentre esse ne
sono vittime, di “Roma”.
È vero, però, che al Sud non si ribellano.
“Se qui da noi, e in genere al Sud, funzionasse la sanità finirebbero i viaggi
della speranza verso altre regioni, e strutture private del Nord dovrebbero
chiudere”: “Famiglia Cristiana” sintetizza così medici e operatori sentiti
nella sua inchiesta sulla sanità in Calabria. Questo è vero di tutta la sanità,
in tutta l’Italia, disegnata dalla riforma Bindi per la privatizzazione
surrettizia – a spese del servizio sanitario nazionale, ma delle regioni come
la Calabria, certo, in particolare.
Non si capisce altrimenti perché non vengono realizzati gli ospedali da tempo
appaltati – uno, a Vibo Valentia, dal neo commissario alla Sanità in Calabria,
cinque anni fa.
È meridionale prevalentemente, in assoluto e in in rapporto alla popolazione,
il fenomeno degli scomparsi - residenti di cui è stata denunciata la
sparizione. Dal 1 gennaio 1974, da quando se ne tiene il conto, a fine 2019
sono state denunciate 245 mila scomparse. Su base regionale (i dati disponibili
sono di fine 2018, quindi su un totale di circa 230 mila denunce) il fenomeno
interessa in primo luogo la Sicilia: 26.635 denuncia su 230 mila. Seguivano il
Lazio, con 8.023 casi, la Lombardia, 6.103, la Campania, 4.699, la Calabria,
4.659, e la Puglia, 4.080.
Svanisce l’Italia con la memoria
Si gira per Roma come nel vuoto. Un’impressione più forte che in primavera.
Anche se c’è più gente. Romani, presumibilmente, incupiti, curvi sul cellulare. In primavera s’incontravano meno persone in giro, ma
erano turisti, attardati. Visitatori. Perplessi, ma non scontenti, anzi col sorriso di
sempre, della gente che visita Roma – e Firenze, s’immagina, Venezia. È questa
presenza che “fa” le nostre città, le città simbolo dell’Italia?
La lettura in contemporanea della “Cerimonia degli addii”, in cui Simone de
Beauvoir racconta gli ultimi anni di Sartre, corrobora questa impressione.
Nell’orrida serie di decadimenti corporei che colpirono il filosofo, la vacanza
d’agosto a Roma – con Capri, una volta, un’altra Venezia, o Firenze –
rappresenta sempre una pausa e uno svago: quattro, cinque, sei
settimane di felicità.
Non c’è in effetti, a ripensarci, altra immagine dell’Italia che quella del
turista: del bello, dell’antico, del decoro - non un paese senza una piazza,
una piazza senza una fontana, una fontana senza un putto, o un tritone - e
della luce, del colore, perfino della natura – quello che comunemente s’intende
per natura, i pini, i cipressi, le ville padronali, le colline, le montagne, le
spiagge accoglienti. Era ritornante, negli anni Sessanta, Settanta, negli
incontri fra industriali, imprenditori, politici, la messa a fuoco di una
immagine Italia modernizzante, tecnologica, innovativa, per poter competere fra
i giganti del mercato mondiale - era ancora il tempo di una Italia quinta o
quarta potenza economica. Ci resta lo sguardo del turista.
E un incubo ritorna, nel semi-lockdown, dagli anni 1980, che in “Fuori l’Italia
dal Sud” si poteva così esternare già nel 1992: “Sempre meno stranieri vengono
in Italia. Troppo cara. Troppo sporca. Spiacevolmente disordinata. Vengono
sempre meno anche per le città d’arte. E se un giorno non venissero più, perché
alla pittura e all’architettura della Pietà di Michelangelo debbono preferirsi
i grigi gessi del pietismo nordico? È possibile, il gusto cambia Anche l’asse
del mondo sta cambiando, c’è insofferenza verso il Sud e l’Ovest. Del resto, se
ha bisogno di serietà, è al Nord pensoso che il Sud deve rivolgersi. I greci
antichi già lo sapevano: è tra gli iperborei che Atlante accigliato regge sulle
spalle il mondo. La stessa attrattiva della civiltà romana la dobbiamo al culto
che le hanno votato gli inglesi e i tedeschi. Agli inglesi, che non hano più
soldi per farlo, sono subentrati i francesi. Ora la Germania torna a dare, come
già ai tempi di Wagner e di Hitler, segni di disaffezione, tentata dal Nord e
dall’Est, Grecia compresa. Domani potrebbero disinteressarsene anche i
francesi, e Roma resterebbe una delle tante città del mondo. L’età di mezzo,
Comuni e Rinascimento, deve molto a svizzeri, francesi e americani, della
piccola parte d’America che sta a nord di New York. Ma gli svizzeri da tempo
non se ne occupano più, e l’America è sempre meno New England. L’Italia,
insomma, potrebbe scomparire”.
La Sicilia abbandonata
Si girava per la Sicilia, negli anni 1980-1990 in solitario. Niente
traffico, niente file, niente prenotazioni. Da Capo d’Orlando, la villa dei
Piccolo, a Cefalù, a Segesta, a Selinunte, a Tindari, tutto per noi, soli. A
Trapani, a Siracusa, a Catania, perfino a Taormina lo spazio era ampio, e
l’attenzione delle persone.
Cresciuti con le immagini dei treni delle “svedesi” che arrivavano o partivano,
si scopriva un’altra Sicilia. Centinaia di poliziotti, carabinieri, giudici,
politici trucidati, con centinaia, forse migliaia, di mafiosi, avevano
desertificato l’isola.
La liberazione è avvenuta poi per mano di siciliani coraggiosi, giudici,
giurati, polizie, anche mafiosi pentiti, a partire dal maxiprocesso di metà
anni 1980. Ma ancora nel 1998, o 1999, si poteva assistere a Catania alla
premiazione dell’ex capo della Procura di Palermo Caponnetto in
un Palazzo Municipale chiuso, da cui fuoriuscivano applausi sordi,
mentre la piazza era occupata da un centinaio di torve macchine delle autorità
e delle scorte, con nugoli d’inquieti, sospettosi, autisti. Ma questa era già
l’antimafia.
La scoperta della mafia, antipatica
Non ha richiamato grande pubblico il film Rai sul maxiprocesso alla mafia,
1985, che poi stroncò la mafia stessa. Niente al confronto con gli altri film
siciliani della Rai, quelli di Montalbano, o della Piovra. Si direbbe che se la
mafia non è vincente non attira.
Può essere. Il film di Micciché, “Io, un giudice popolare al processo”, oppone
filologicamente un netto “noi e loro”, le tre civilissime giurate donne al
processo, tuttora sensate, giuste, e i barbari in gabbia, assassini vilissimi,
bruti e brutti, stupidi, non si dice bestioni per non vilipendere le bestie.
Con i giudici, Giordano, Grasso, Ayala, come sono i giudici, appassionati di
procedure. Senza trionfalismo, insomma, ma con mano corretta, ferrea.
Il pubblico non è avvezzo alla verità della mafia, solo alla terribilità – che
è spettacolarità. Perfino Camilleri, lo spregiatore forse massimo della mafia
(l’unico scrittore siciliano che non abbia un “suo” mafioso in pregio – la
sindrome Robin Hood), la ipostatizza, inaccessibile.
I momenti di verità del film sono numerosi. Delle donne giurate che non hanno
paura. Del palazzo-tribunale costruito in pochi mesi. Delle gerarchie mafiose
nelle stesse gabbie. Del silenzio che accoglie la testimonianza di Buscetta: è
un capo. Mentre Contorno, altro pentito, è contestato: non è un capo. Ma
nessuno viene impiccato, o fucilato, non c’è neanche una storia d’amore, come
si fa con la mafia?, è quindi non è spettacolare? La mafia non è spettacolare,
è un corpo freddo. Brutto anche, sporco.
Napoli
“Era una di quelle giornate felici così comuni a Napoli, dove per il brillare
del sole e la trasparenza dell’aria gli oggetti prendono colori che sembrano
favolosi al Nord, e sembrano appartenere piuttosto al mondo del sogno che a
quello della realtà” - Théophile Gautier, che non era tenero con i luoghi
visitati, in “Arria Marcella”: “Chiunque ha visto una volta questa luce d’oro e
d’azzurro ne riporta al fondo della sua bruma una incurabile nostalgia”.
“Arria Marcella” è un racconto del 1852 - dopo un viaggio a Napoli del 1850:
non molto prima dell’anatema che si abbatterà sulla città, ormai da
centosessant’anni.
È stata a lungo, Napoli come il Golfo, trademark speciale, del bello e del
ricco. “Kississana” è nel racconto “Rumori” di Nabokov (il racconto di un
infelice amore dell’autore per una cugina, Tatiana Evghenievna
Segelkranz, bella, colta, snob, e sposata), il nome di “un celebre ristorante
frequentato dagli intellettuali”, nei dintorni di San Pietroburgo.
“A Napoli si dice che siano morti ventimila al giorno”. Morti di peste, riporta
Daniel Defoe, che pure è uno accurato, ma qui è distratto, in mezza riga, là
dove esalta l’organizzazione londinese, nel “Diario dell’anno della peste” a
Londra, 1665. Un diario noioso, in versione integrale, tanto è preciso. Ma i si
dice corrono sempre allegri.
“Se vi è un paese dove i furti e gli assassinii siano frequenti, questi è
Napoli.
“Se vi è un paese dove i furti e gli assassinii restino impuniti,
questi è Napoli”, è l’attacco si A . Dumas, “L’assassinio di rue Saint-Roch” –
Dumas raccontava il malaffare di Parigi ma scriveva da Napoli.
“Certo il nome di Spaventa è un bel nome per un prefetto di
polizia, ma un nome non basta per far paura ai ladri”, è il seguito di Dumas.
In effetti. Silvio Spaventa, poi, non era un prefetto di polizia tra i tanti:
futuro ministro e senatore, primo hegeliano d’Italia e protoliberale, prozio di
Croce, fu ministro di Polizia a Napoli nel governo luogotenenziale, fino cioè
all’annessione, nell’inverno 1860-61 – per conto di Cavour, in lite con i
garibaldini. Dumas dice che la storia non ferma i ladri, il crollo del regno
millenario, Garibaldi, l’Italia.
Giletti su “La 7” mette in scena il contagio in Campania con un’immagine del
Vesuvio, su un mare blu che sputa covid. Proteste. Giletti si giustifica: “Il
grafico è un meridionale”. In effetti, non c’è nulla per cui protestare, ma il
“complesso meridionale” non è solo del Sud.
Al referendum istituzionale del 2 giugno 1946 la circoscrizione
Napoli-Caserta votò al 79 per cento per i Savoia. Non male per una dinastia che
aveva “invaso” Napoli ottant’anni prima.
leuzzi@antiit.eu
Quando c’era ancora Natale
Il film di Natale, un anno
fa di Ficarra e Picone. Un aneddoto non
male, svolto col garbo consueto: Ficarra ladro di professione, di oggetti
sacri preferibilmente, e Picone parroco impegnato, con acribia filologica, nel
Presepe vivente, sono trasportati per magia nella Palestina di duemila anni fa.
Dove la storia viene ricostruita così come avvenne e si dimentica. Assisteranno
a molti parti, in cerca del Bambino. E alla rivolta contro Erode Antipa, servo
dei Romani. Per ritornare infine al loro tempo su un barcone, sfuggendo alla
caccia del re di Giudea.
Un film, inconsapevolmente,
della nostalgia.
Valentino Picone-Salvatore
Ficarra, Il primo Natale
martedì 8 dicembre 2020
Ripensare la globalizzazione
Il boom stratosferico delle Borse, nel mezzo
di una crisi, senza precedenti che si ricordino, della produzione e del
reddito, non è certamente sano, ed è il segnale più macroscopico che il mercato
così com’è funziona male. È eccezionalmente selettivo a favore di pochi
fortunati: Ed è distruttivo: di reddito, quindi di produzione e consumo, e
anche di tecnologia.
Un mercato, si direbbe, autodistruttivo. Per
un disegno fallimentare della globalizzazione. Sia per quanto concerne la
produzione e il reddito sia per quanto concerne le aspettative (la finanza). Le
due crisi, del 2000 e del 2007-2008, e una terza ora temuta, con una frequenza
senza precedenti nella storia dei cicli economici, ne sono l’effetto.
La globalizzazione intesa come delocalizazione
verso gli sterminati mercati del lavoro asiatici, del lavoro non protetto, è
suicida. Per le economie che delocalizzano e, in seconda battuta, per gli
stessi mercati che ne beneficiano.
Una forma di imperialismo della merce si è imposta,
a vantaggio di ceti non produttivi - importatori, finanziatori - che la le
stesse debolezze dell’imperialismo politico-militare: l’improduttività. Alla sommatoria,
certo, di passivi e anche di attivi, ma sempre l’imperialismo è tendenzialmente
controproduttivo. Anche ad addobbarlo di disegni di potenza.
La Cina, che sotto la presidenza Xi ha avviato
un progetto imperialista, dichiarato, ne comincia a tirare somme negative, in Africa
e sulla stessa via della Seta. In entrambi i dispiegamenti: nella spesa
ostensiva, e nella borghesia compradora,
affaristica, che ne affianca l’espansione e ora non controlla più l’opinione,
non se ne cura – con ripercussioni negative sulla parte più solida,
tecnologicamente, e più concorrenziale, come la nuovissima telefonia mobile.
Su un mare, minaccioso, di liquidità
Tesla ha superato i 400 dollari di quotazione
a Wall Street, e si fa già l’ipotesi di quota 800. Una valutazione che consentirebbe
a Musk, il patron di Tesla, di comprarsi senza problemi la Mercedes – anche Volkswagen
volendo, non ci fosse la proprietà pubblica. E che dovrebbe essere un richiamo
per la liquidità in cerca di collocazione, e invece fa paura.
Il 25 novembre Wall Street (l’indice Dow
Jones) ha sfondato quota 30 mila punti (oggi è 30.070). Sarà stato l’ultimo trionfo
di Trump, nel 2016 il Dow Jones era poco più della metà, a 18 mila punti.
Non è infatti un boom campato sul nulla, come quello che sfociò nella crisi bancaria
2007-2009, con i mutui spazzatura, alla sesta o alla settima ipoteca. In
parallelo, e di poco meno, il 50 per cento, è cresciuto nei quattro anni anche
il debito pubblico americano, da 18 a 27 mila miliardi – dodici volte il temutissimo debito
italiano.
Quello delle Borse – sulla scia di Wall
Street, anche se con meno euforia, si muovono le Borse europee e asiatiche –
non è un crescita basata sul nulla: ha a fondamento il quantitative easing delle banche centrali, la creazione
illimitata – ha statuito la Federal Reserve americana – di liquidità. Che però
ha un fine, e quindi una fine: stimolare la domanda, rianimare i prezzi al livello
di galleggiamento del sistema, l’inflazione al 2 per cento. Ma è lo steso una
liquidità drogata. Fino a quando?
È anche vero che molte quotazioni sono
spropositate. Google a 1.810 dollari, Amazon a 3.133 - con variazione giornaliere
di 30 e anche di 40 dollari, quanto basta per farsi una fortuna in poche ore,
sapendo o potendo manovrare, ma senza altro senso economico. Sono quotazioni
che non hanno base, e quindi come finirà?
La paura è quella del crack dot.com, vent’anni
fa. Il 10 marzo 2000 il Nasdaq, il listino a Wall Street delle novità, aprì al massimo storico, e chiuse con una perdita
di 84 punti, l’inizio di una valanga. Amazon crollò da 107 a 7 dollari – Bezos è
un mago della capitalizzazione di Borsa, più che della logistica (naturalmente
è uscito dal crollo più ricco). Si sgonfiò in poche settimane, drenando le risorse di molti milioni di risparmiatori, il boom delle dot.com, le mille germinazioni della
nuova era digitale, pompate a livelli stratosferici - Soru quotava con Tiscali più
degli Agnelli - e d’improvviso ridotte a zero o poco più.
Accademia alla Scala
Titolo un po’
dopolavoristico per la non-prima alla Scala alla vigilia dell’Immacolata. Anche
la scelta, di un recital di «arie»,
sapeva di accademia di fine corso. Con poco balletto. Con molti buoni sentimenti
- Michela Murgia l’opera ha voluto vendicatrice dei poveri, i servitori e le
donne... Le scene di Livermore, i suoi filmati evocativi, sono state l’unica
animazione.
Si poteva fare di meglio?
Ma Milano non per caso è stata al centro della pandemia. Una prima del lutto –
singolare la scena dei fili del telefono, sui quali eravamo abituati a vedere
riposare le rondini migranti, sostituite dalle cornacchie.
A risentir le stelle,
Teatro alla Scala, Rai 1
lunedì 7 dicembre 2020
Secondi pensieri - 436
zeulig
Amore
-
Dice bene Lou Salomé, l’amore dura finché ognuno resta se stesso nella coppia,
non si adatta, si piega, si uniforma. Ma ci vorrebbe un giardino per questo, e
almeno un paio di saloni. Nelle tre stanze le differenze urtano. Tanto più che
non c’è più l’osteria al rientro dal lavoro, il biliardo, le chiacchiere con
gli amici al bar, attorno a una birra, ma casa e lavoro, lavoro e casa,
invariabilmente, accumulando i malumori e non disperdendoli.
L’amore finisce con la rendita urbana.
La coabitazione dovrebbe insegnare a
esser senza essere. Un nuovo tipo di umanità. Una sorta di campo di concentramento
senza recinzioni né cani lupo. Riscaldato. In muratura solida. Magari col
telefono, e un letto con la porta, ma per il resto sempre a urtarsi, in cucina,
al gabinetto.
Anima – Non è cambiata dopo l’invenzione di Platone.
Che la inventò senza l’aiuto di Socrate (Socrate ne sarebbe stato contento?),
anche se la fa spiegare a lui, nel “Fedone”: è la memoria del tempo. All’interlocutore
Cebete, il Socrate-Platone risponde: “Tu dici che l’anima è qualcosa di forte e
simile al divino, e che essa esisteva già prima che noi fossimo uomini; ma
tutto questo proverebbe non già che l’anima è immortale ma solamente che essa
ha lunga durata, che è esistita in qualche luogo per un tempo lunghissimo, e
che sapeva e faceva molte cose”.
Citazione
-
Thomas Bernhard, “Perturbamento”, 1967: “Siamo chiusi in un mondo che cita
continuamente tutto, rinchiusi in una citazione continua che è il mondo”. E: “In fondo tutto ciò che
viene detto è citato”. E in “Correzione”, 1975: “Tutto il resto è correzione
della correzione della correzione”.
Parliamo per citazioni, tutto ciò che
diciamo è stato detto, infinite volte. Il miracolo è che si possa dire di nuovo, come se non fosse stato detto.
Complotto - Un Grande Complotto non si installa contro una comunità, contro l’opinione,
neanche come ipotesi o sospetto.
Tanto
vale non elaborarci sopra.
Gesù
Bambino -
La Madonna col Bambino esposto in braccio, che si veda che è un maschio, è già
nelle ceramiche micenee – anche a Cipro. Quindi del secondo millennio a.C..
Ideale – Come antitesi del reale, lo esclude? S’intende
comunemente l’ideale come una meta, un gradus
ad parnassum della condizione umana verso l’ideale originario, totalizzante,
del Bene, il Bello e il Giusto coniugati. Ma è – è anche – l’opposizione del reale,
quello che il reale non è, o non può, non vuole, essere. Una forma, per quanto
compatta (estrema, totale), vuota.
Funziona
come un richiamo per uccelli? Allora falso – un falso reale.
Il cammino
del Bene (Bello, Giusto) sarebbe più arduo o più facile (possibile, agevole) senza
l’ideale? La stessa pedagogia sarebbe più o meno produttiva senza l’ideale,
l’irraggiungibile perfezione? Un metro ci vuole, una misura delle cose.
Io
so –
Quello di Pasolini forse no, se era persona angelica, ma è l’Io inquisitoriale.
Sciascia – che di Pasolini si diceva “fraterno e lontano” – lo ha spiegato: è il
procedimento infernale dell’Inquisitore, quello-che-sa-ma-non-ha-le-prove. E
imponeva, quello storico, la tortura senza magari essere un sadico - alcuni inquisitori
ne soffrivano: per il dovere della verità.
La verità ha molti nemici tra i suoi
sostenitori accesi. Tra gli imbroglioni come tra gli sbirri.
Morte – “Niente muore di ciò che ha colpito
l’intelligenza” è il Faust di Goethe. Che Gautier, leggendo “Faust” nella
traduzione di Nerval, può parafrasare così: “Niente muore, tutto esiste sempre;
nessuna forza può annientare ciò che fu una volta”.
Nerval
introduce la traduzione, su questo puto, così: “Per lui come per Dio, senza
dubbio, niente finisce, o almeno niente si trasforma se non la materia, e i secoli
passati si conservano tutti interi allo
stato d’intelligenze e di ombre”.
“Ciascuno
porta la sua morte in sé, come il frutto il nocciolo”, è Rilke. Una
constatazione.
San Paolo – Un santo, si direbbe, da filosofi – da pensatori,
Pasolini compreso. Da Heidegger a Agamben, con Carl Schmitt, Taubes, Foucault,
Derrida, Badiou, e anche, da ultimo, Vattimo. Da filosofi del Novecento, secolo
marciante ma insoddisfatto, che volle riscoprire il sacro.
Si
direbbe non il
calvo sudaticcio di tanta iconografia, un semita indaffarato, ma il vichingo
rossodorato, barba fluente, ricci in abbondanza, del Prado, il San Paolo di
Rubens, e molta autorevolezza, un Mosè riflessivo.
Parola – Divise invece di unire? Lo scrittore
Houellebecq così la sintonizza nel linguaggio, per esempio, dell’amore: “La parola
non ha per vocazione di creare l’amore, ma la divisione e l’odio, la parola separa
a misura che si produce”. Paradossalmente, ma non del tutto, nella relazione
d’amore: “È male che gli amanti parlino la stessa lingua, è male che possano realmente
capirsi, che possano comunicare con le parole”. Mentre “un informe balbettio
amoroso, semi-linguistico, parlare alla propria donna o al proprio uomo come si
parlerebbe al proprio cane, crea le condizioni di un amore incondizionato e
durevole”.
Peccato - È una condizione
(una colpa) soggettiva. Ci sono leggi e ci sono catechismi, ma è il peccatore
che decide cosa è peccato, nella confessione: l’adultero pubblico e anche
l’assassino potrebbero sfuggire a questa colpa, nel senso del peccato.
Si è discussa la raccomandazione del papa Bergoglio di non
considerare automaticamente peccatori, quindi non ammessi ai sacramenti,
nemmeno ai riti, i divorziati. Tra i quali invece, ha ragione il papa, ci possono
essere dei buonissimi fedeli.
Preliminare è la confessione, in caso di peccato, cioè il riconoscimento
della colpa: è in capo al peccatore decidere se e quando ritenersi in colpa. Il
comandamento non è la legge, l’applicazione autonoma,
automatica, della legge, con aggravanti e attenuanti. Il confessore giudica il
peccato dopo che il peccatore l’ha riconosciuto, in confessione.
Lo stesso che per il divorzio si può arguire della convivenza, anche
dello stesso sesso. Ogni proibizione, anche oggettiva, dello stesso diritto
canonico, è peccato solo in soggettiva. Il confessore non può dichiararlo
autonomamente. Lo stesso il comunicatore – il diacono o il sacerdote che dà l’ostia
consacrata: non può escludere dalla comunione, il sacramento più diffuso insieme
con la confessione, e il più immediatamente correlato al peccato.
zeulig@antiit.com
L’amore melenso – di genere
Il titolo italiano echeggia la
trilogia comica di Ben Stiller e Robert De Niro. Il titolo originale è “The
Happiest Season”, le feste di Natale. Ma non è né una commedia né una satira. È
un incredibile pasticcio di una figlia confusa sessualmente, che torna in famiglia
per le feste di Natale con la fidanzata, quasi moglie, si rimette col suo
vecchio ragazzo, e infine sceglie lei. Scandalo. Liti. Riconciliazioni. Nuova
vita felici e contenti.
Un soggetto da tempo visto in
tanti film italiani, senza drammi e con una buona dose di umorismo. Qui scolastico,
sulla morale del coming out, del dichiararsi.
Tra gli stereotipi delle vecchie storie di amori contrastati. Non saprebbe
essere più melenso.
Clea DuVall, Non ti presento i miei, Sky Cinema
domenica 6 dicembre 2020
Appalti, fisco, abusi (191)
Mustier va via ma
non per Mps, il presidente di Unicredit Padoan sente il bisogno di dire a Fubini sul “Corriere
della sera”: Cioè: l’operazione Mps si fa, Unicredit se la deve comprare. Ma
perché non dirlo? Perché il governo affossa così Unicredit, capitale
(azionisti) e redditività.
Le assicurazioni
aumentano la Rca. Benché abbiano avuto un anno di zero incidenti, o
pressappoco, con la circolazione più che dimezzata - vedi i tanti fallimenti del settore autonoleggio, la Hertz, la più grande, per prima. Possono aumentarla nel nome
della trasparenza e della chiarezza. Che sembra un controsenso, e lo è. Ma non
per l’Ivass, l’Istituto di sorveglianza.
Succede all’Ivass
come con tutte le altre Autorità di controllo del mercato: che non agiscono a
garanzia dell’utente, come dovrebbero, ma delle aziende di settore. Intervengono,
quando lo fanno, nell’interesse di un’azienda, ma non del consumo, dell’utenza in
generale, per assicurare il miglior bene al miglior costo.
La legge sulla
trasparenza e chiarezza delle polizze è del 2012. Si è dovuto attendere otto anni
per avere il regolamento attuativo. Che non ha posto problemi di stesura – è, a
leggerlo, perfino comprensibile. Ma non piaceva alle compagnie assicuratrici.
La assicurazioni sono un settore con una miriade di soggetti. Tanto è remunerativo. Assicurazione a delinquere è vecchio gioco di parole, ma non uno scherzo – capitalizzare sulla fiducia.
La sparizione della libido occidentale
“Ero capace di essere felice nella
solitudine”. Senza più desiderio sessuale – se non l’immagine di una ragazza
castana intravista a Al Alquial. Senza più desiderio. Giusto quello di nascondersi,
anonimo, in città. Un Mattia Pascal aggiornato – se non che pretende di avere
cambiato banca in quindici minuti, e domiciliazioni bancarie in poche mail: in
che paradiso? Ma è vero che internet aiuta, non c’è più necessità di un
domicilio fisico.
La storia di un deragliamento,
minimale, urbano, da pianerottolo. Seguito passo passo, come fosse organizzato,
dalla vittima-soggetto della narrazione. Un filo tenue per un reportage in realtà, della Francia,
dell’Europa, come è oggi, come Houellebecq la vede. Una volta creata con poco, il ricorso a uno degli
antidepressivi oggi in gran spolvero, che inducono l’impotenza, una nicchia, un
posto d’osservazione marginale, esterno, comodo, per l’osservatore-soggetto.
Non un romanzo - o allora uno come ora usa, di narrazione documentaria.
Houellebecq capitalizza sulle
proprie fobie, quelle riconosciute o coltivate, che ne fanno personaggio. Il suo narratore, scorretto per principio, fuma, beve, e procede
tematico, per una serie di catilinarie come da scaletta. Il sesso - unico tema
ricorrente, in tutti i modi (obbligato in Francia il successo vent’anni fa di Catherine Millet, già
direttrice della Biennale d’arte di Parigi, con il racconto illustrato della
sua vita sessuale di gruppo). La fine delle albicocche del Roussillon o dei
formaggi di Normandia. Gli amori, uno a uno, storie di quello che è stato o
avrebbe potuto essere. Il governo nazionale delle cose inesistente, quello
europeo impotente. La “libertà di fumo” anch’essa è ritornante, contro “l’oppressione
legale”. Una lunga serie di arrabbiature le prende da Cioran, dai pensieri di
Cioran, dando loro forma narrativa: sul peccato, il futuro, gli ogm, il porno,
le donne, i nerd. Da “perdente, quarantenne”. Contro Blanchot, la scrittura inedibile,
e contro Laurent Bafie (Binet?), la scrittura facile.
Sempre felicemente scorretto, ma
meno spiritoso. Da femminista antifemminista – qui sa di resa dei conti, anche
cattiva: le uniche donne che salva sono le puttane, per la “generosità”. Da bio
antibio. Da (sartriano) razzista antirazzista – disprezza le “identità”, quelle
degli altri, dall’Olanda al Giappone, dal ministeriale al trafficante, dal
cattolico al buddista, mentre lamenta la sparizione della Francia, dell’Europa.
Da consumatore anticonsumista. Da antifranchista, perfino, franchista: il
deragliamento inizia col genio di Franco, che ha creato i paradores – il restauro e riutilizzo degli edifici storici – per i
turisti di lusso, e gli apiari di Benidorm e Torremolinos come seconde case per
i macellai del Nord Europa. Dopo la Francia governata dal mussulmano, “Sottomissione”,
la Francia - l’Europa - dei formaggi e le albicocche impossibili, come degli
amori, scaduti a youporn. Una lettura che deve avere
stancato i recensori – o Houellebecq è antipatico, essendo scorretto? – poiché
nessuna lettura collima.
L’impotenza come una metafora
della Francia, dell’Europa, dell’Occidente. Lo sguardo critico è di uno che si
è voluto impotente e si è cancellato alla società, se non all’anagrafe. Giusto
un amico torna a incontrare, di gioventù: un nobile che vuole preservare l’allevamento
e l’agricoltura biologici, e per questo viene abbandonato dalla moglie e spogliato
da banche e creditori, da cui il narratore si fa insegnare, sempre depresso ma d’un tratto
volitivo, a sparare. C’è anche questo, una sorta di raptus trumpiano. In
parallelo con un curioso straparlare – curioso per un autore solitamente controllato,
misurato. E molto alcol, oltre che sesso, in ogni piega, fino al vecchio
pastis. Un racconto forse da disappetente, più che da depresso.
Il tema non è semplice: è “la sparizione della libido occidentale”. Sotto il “catenaccio ideologico” della mondializzazione. E il personaggio non è antipatico,
benché ci ripensi per quattrocento pagine. È contro le “dittature legali” – niente
fumo, limiti di velocità “ridicoli”, 120 km\h, che sull’autostrada piatta e
diritta inducono il sonno. Per il “turismo di charme”, con frigorifero fornito.
Contro Daikichi Amano, il fotografo lutulento. Ma coltiva la bravura. Per
liberarsi dalla compagna giapponese, che ha invitato da Parigi sulla Costa
Brava in una colonia naturistica, scrive una frase di tre pagine. Bissata, a
seguire, da due pagine per Franco, l’inno alla gloria – ironico ma non del
tutto.
Un Houellebecq sempre più
identitario. Che annienta alla fine Proust e Thomas Mann, i giganti del secolo
– il suo, il Novecento. Solo salvando Conan Doyle…: il più leggibile – page turner - “senza dubbio il migliore
della storia letteraria mondiale”, ma “soprattuyto un animo nobile, di cuore
sincero e buono”.
Michel Houellebecq,
Michel Houellebecq, Serotonina, La Nave di Teseo, p. 332 €
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