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sabato 19 dicembre 2020

Il mondo com'è (417)

astolfo

Bach – Quando morì non se ne fece l’annuncio. Solo quattro anni dopo, breve, col titolo “Suonatore d’organo di fama mondiale”, che non voleva dire nulla, giusto un “echo” pubblicitario di qualche editore. Con le qualifiche di “compositore di corte” e “maestro di musica”. Senza un cenno alle opere. È per questo che non ci sono autografi: se ne scrive molto, da qualche tempo moltissimo, ma sono congetture. S’era dovuto arrangiare. Accettare un incarico alla corte sassone di Dresda, quasi straniera, snobbato dagli ottimi fabbricanti di organi di quella città, come già a Lipsia, intrattenersi soprattutto con nobili slavi, copiare montagne di musica non tedesca, andare fino a Potsdam a suonare il piano a Federico il Grande, che non si degnò di ascoltarlo, nonché elogiarlo e remunerarlo. Il suo solo viaggio all’estero fu a Carlsbad, a passare le acque, che si trovava in Boemia, terra asburgica. Si capisce che il suo figliolo più giovane abbia presto cercato fortuna in Italia, con Mozart che incrocerà a Milano e Bologna e poi a Londra.
 
Eugenetica - A Mosca il comunismo sperimentò nel 1932 l’accoppiamento di una donna con un orango. Per migliorare la razza dell’orango? Per provare Darwin.
Questo precedente è mancato a Nolte, nel suo sistema della “colpa è sempre degli altri”: qui la colpa è senz’altro degli altri. Ma bisogna dire che in fatto di Aktion T 4 (eliminazione delle “vite indegne di essere vissute”, portatori di handicap mentali o malattie genetiche inguaribili) ed eugenetica Nolte tace su tutti i fronti - l’eugenetica adorna i petti migliori.
 
Freud  - Ebbe una figlia bellissima, Anna, e la tenne chiusa in casa. La figlia amava le donne, e Freud non lo seppe mai. Anna si portò in casa l’amica del cuore, che era la casa di Freud. Una vita a tre di cui Freud non si accorgeva, a Vienna e a Londra. Anna tenne in terapia il figlio dell’amica per 45 anni.
 
Anna era il nome di una sorella di Freud, la prima delle cinque, e fu la sola a sfuggire alla furia hitleriana, essendo emigrata in America giovanissima nel 1889. Le altre sorelle, Rosa, Marie, Adolfine e Pauline, Freud inspiegabilmente lasciò inaccudite a Vienna quando, dopo l’Anschluss, si decise a emigrare, e finiranno in campo di concentramento, tra il 1942 e il 1943. Del loro destino nessuno si è mai occupato, i biografi di Freud tutti sorvolano. Giusto Jones le ricorda, per dire, a proposito della loro fine, che «Freud, per fortuna, non avrebbe mai saputo nulla di ciò che sarebbe accaduto loro», essendo premorto, a Londra, onorato, in una bella residenza, nel 1939. D' altra parte Freud, commenta lo stesso Jones,  “non aveva alcun motivo di preoccuparsi delle sorelle, visto che all’epoca del suo trasferimento a Londra la persecuzione degli ebrei era appena cominciata”. Ma questo non è vero: Norimberga era legge da qualche anno, Freud fu subito importunato dalle SS, Anna fu rinchiusa in camera di sicurezza. Il 13 marzo l’Anschluss fu dichiarato, il 15 marzo Freud  subì una prima irruzione in casa, di attivisti nazisti in divisa, che pretesero una taglia, il 22 marzo la Gestapo fermava Anna.
L’emigrazione si prospettò subito. Si dice che Freud nicchiasse, perché si sentiva vecchio, e non abbastanza ricco per traslocare. Ma non nella corrispondenza: subito con i corrispondenti registra la minaccia. E avvia la pratica per l’emigrazione. Paga le due tasse imposte dal nuovo regime agli ebrei che emigrano, la Reichsfluchtsteuer, per il diritto all’emigrazione, e la Juva, Judenvermögensabgabe (patrimoniale speciale per gli ebrei), conclude rapidamente la complessa burocrazia per l’espatrio, e il 4 giugno parte per Londra, dove abiterà il comodo Maresfeld Garden. Può portare con sé tutto quello che vuole, compresa la collezione di statuette antiche, e i familiari che vuole. Compilò una lista di 17 individui: la moglie, i figli e i nipoti, le due cameriere, il medico personale con la famiglia, e il cane.  Ma non le sorelle.
 
Vittorio Mussolini dirà che la partenza fu facilitata dall’intervento del padre, ammiratore di Freud. Il quale gli aveva mandato copia con dedica del libro sulla guerra, in originale tedesco, “Warum Krieg?”, perché la guerra. La dedica è impegnativa: “A Benito Mussolini coi rispettosi saluti di un vecchio che nel detentore del potere riconosce l’eroe della civiltà” – il libro con la dedica si conserva tra i resti della biblioteca di Mussolini all’Archivio Centrale. Se non che, due mesi dopo aver ricevuto il libro, Mussolini firmava sul “Popolo d’Italia” un articolo di condanna della psicoanalisi come impostura.
La vicenda è analizzata in un libro di Roberto Zapperi, “Freud e Mussolini”. E molto ridimensionata. Il 25 aprile 1933 Freud ricevette per un consulto lo psicoanalista triestino Edoardo Weiss, col suo paziente Gioacchino Forzano, il drammaturgo. Forzano portava in regalo a Freud un volume con i drammi scritti in collaborazione con Mussolini, tradotti in tedesco. Freud contraccambiò col libro sulla guerra e la dedica.
 
Hitler – Se ne può dire molto, fuori dell’anatema. Poi indiscutibilmente la “belva”, fu fino alla Cecoslovacchia onorato più che temuto. Per aver risollevato la Germania, anche se con qualche eccesso manesco. Gli accordi di Monaco trovarono entusiasti i pacifisti, non soltanto l’opportunista Chamberlain - tra essi Simone Weil, politologa per ogni altro verso acuta.
In tutto copia-succube di Mussolini, ne adotta pure il marmo, il travertino, invidiosissimo dell’architettura Novecento colossale, di Speer tentando di fare un Piacentini.
Invade la Russia come a una scampagnata, scrivevano gli inviati di guerra Malaparte e Lino Pellegrini, nelle giornate tiepide dell’Ucraina a giugno.
 
Si rappresentano Hitler e il nazismo come una barbarie soprammessa alla Germania, mentre furono popolarissimi. Brutti ma abili: bambini e ragazzi vissero privilegiati e accuditi, d’inverno e d’estate, in città e nei campeggi, i film luce erano fantastici di luci e avventura, il nemico considerato sempre vinto. Fu una galoppata di cavalli, non di asini.
 
Sartre-Simone de Beauvoir – Furono, fin dagli inizi, una coppia aperta, ma anche adescatori, cioè reprensibili, secondo l’etica odierna. Lei in particolare, essendo bisessuale, ha portato nella coppia giovani che poi hanno lamentato la relazione come un trauma. Tre in particolare, Olga Kosakiewicz, Bianca Bienenfeld (poi Lamblin) e Natalie Sorokin, che il ménage à trois con Sartre e De Beauvoir quando erano al liceo avrebbe danneggiato psicologicamente.
Nel 1939 Simone de Beauvoir è sospesa un prima volta dall’insegnamento per il rapporto con Bianca Bienenfeld, una sedicenne, figlia di un ebreo polacco rifugiato in Francia per sfuggire ai pogrom. Ripreso l’insegnamento, ne sarà definitivamente sospesa il 17 giugno 1943, alla fine dell’anno scolastico, a seguito di un denuncia per “eccitazione di un minore alla dissolutezza” – una denuncia depositata a dicembre del 1941 dalla madre di Natalie Sorokine: il processo si era concluso con un “non luogo a procedere”, ma il ministero dell’Istruzione tenne conto della denuncia. La relazione insegnante-allievo non è infrequente né illegale in Francia – il presidente Macron è uno, che a sedici anni è stato innamorato dall’insegnante di Lettere Brigitte Trogneux, poi sua moglie, allora quarantenne, sposata e madre di tre figli. Ma nel 1943 il ministero tenne conto del precedente. Simone de Beauvoir non contestò il licenziamento. Sarà reintegrata nell’insegnamento alla liberazione, il 30 luglio 1945, ma non insegnò più.
Bianca Lamblin, una cugina di Georges Perec, ebbe anch’essa come insegnante a sedici anni SdB, con la quale intrecciò una relazione. Di cui fu parte presto anche Sartre. Di lei ci sono molte tracce nella corrispondenza tra Sartre e SdB, sotto lo pseudonimo Louise Védrine - nelle “Lettere al Castoro e alcune altre” di Sartre, pubblicate nel 1990. Lamblin reagì polemicamente nel 1993, con i “Mémoires d’une jeune fille dérangée”, mimando un celebre titolo di SdB, “Mémoires d’une jeune fille rangée”.
 
Olga e la sorella Wanda, anch’essa amante di Sartre, e forse di De Beauvoir, erano attrici. Olga sposerà nel 1946 Jacques-Laurent Bost, un vecchio amante di de Beauvoir. La coppia Bost resterà una delle amicizie più consolidate di Sartre e de Beauvoir. Olga e Wanda accudiranno Sartre saltuariamente, accompagnandolo nei viaggi o di notte a casa sua, negli anni 1970. Due delle tanti  amanti che se ne occuparono, nel decennio di decadimento fisico che Sartre visse fino alla morte (morirà il 15 aprile 1980), insieme con altre vecchie relazioni, anche di molti anni: Michèle Vian, ex moglie di Boris Vian, Liliane Siegel. Con l’aggiunta di amiche giovani. E delle figlie adottive della coppia: Sylvie Le Bon, di SdB, e Arlette Elkaïm, di Sartre. Ancora nel 1978, nota Simone de Beauvoir in “La cerimonia degli addii”, benché afflitto da amnesie, incontinenza, frequenti cadute, solitario in casa o per strada, tra gli eccessi di alcol e di fumo, “frequentava sempre molte giovani”: Melina, “la giovane greca” che l’anno prima aveva licenziato, con una piccola somma per le sue spese a Parigi, “e numerose altre”. E di questo si vantava: “Non sono mai piaciuto di più alle donne”. Non senza ragione, commenta SdB, “è a molte di esse che doveva il piacere di vivere”, malgrado le menomazioni fisiche. Donne, giovani e non, che anche manteneva: ancora nel 1978, nota SdB, “versava regolarmente ogni mese somme abbastanza grosse a diverse persone”. Al punto da indebitarsi e non poter spendere per sé nemmeno per la cose minute. 
 
Simone de Beauvoir, oltre che col “giovane Bost”, allievo di Sartre, ha avuto una relazione lunga con Nelson Algren, romanzata nei “Mandarini”, poi testimoniata dalla pubblicazione della corrispondenza.  E, da luglio 1952 al 1958 con Claude Lanzmann, che ritroverà nei sei anni che sopravvisse alla morte di Sartre, fino al 1986. Con Sartre ha continuato a darsi del voi, come usava un tempo, tra vecchi coniugi, non più amanti.

astolfo@antiit.eu



Cnr, centro niente ricerca

Ha trovato il Cnr nel 2014 con 70 milioni di buco, e lo lascia con 70 milioni di buco. Cioè, non lo lascia: la presidenza Inguscio al Cnr è come se non ci fosse stata in questi sette anni, ma il governo la proroga con ogni decreto per l’emergenza covid, fino a fine luglio, poi al 15 ottobre, poi…
Dopo il 15 ottobre non si sa, ma il presidente del Cnr è stato messo lì da Renzi e quindi non si tocca. La presidenza Inguscio è scaduta a febbraio, ma tra le tante pietre d’inciampo che Renzi solleva ogni due giorni al governo, il Mes, la gestione del  Recovery Fund, la direzione Rai, che pure non è scaduta, il Cnr si segnala per la sua assenza. La ricerca è, come l’energia, ancora campo chiuso per la vecchia gestione democristiana del potere, cioè delle università, e il Pd ne perpetua l’infeudamento.
Non è un buon segno per la ricerca scientifica, si direbbe. Ma il Cnr non fa ricerca: è un organismo burocratico che si limita a gestire le spese del personale – la Cgil Ricerca, la direzione Personale e il presidente Inguscio stanno anche fisicamente insieme, nel palazzo a piazzale Aldo Moro. Gestisce i 70 milioni che ogni anno gli mancano, da quando il governo Monti gliene ha sottratto la dotazione.
Lo Stato non fa ricerca. L’Istat dice che l’Italia spende in ricerca lo 0,5 per cento del prodotto interno lordo. E ha 5,6 ricercatori ogni mille abitanti – cifra assurda, saremmo un popolo di scienziati. Mentre la verità è che lo Stato non spende niente nella ricerca pura, necessariamente pubblica. E la capacità italiana di attirare risorse dall’European Research Council, che finanzia la ricerca in Europa, con un forte contributo italiano, è tra le più basse. Anche se gli italiani sono i primi, o  secondi, per numero di progetti vinti in sede europea. Ma sono italiani che lavorano oltralpe. Il Cnr, che dovrebbe coordinare e promuovere, non sa farlo – non lo ha fatto specialmente in questa lunga gestione “renziana”.
La ricerca si finanzia autonomamente, concorrendo ai vari bandi regionali (le Regioni finanziano la ricerca) e internazionali. Quello che lo Stato spende secondo l’Istat, lo 0,5 del pil o quel che sia, che è comunque la metà della Germania, lo spende per l’industria collegata alla ricerca: lo spaziale soprattutto, i poli tecnologici di Genova e Miano, l’Infn, con i suoi costosi impianti a caccia di particelle.

Silenzio stampa

L’app Immuni, che dieci milioni avrebbero scaricato, ha segnalato in nove mesi solo 600 casi di positività. Niente. L’app IO, a dieci giorni dall’avvio del programma Cashback , non funziona. Non registra i pagamenti bancomat. Non carica alcune carte di credito, per esempio le American Express. Non dialoga in nessuno modo, se non attraverso farraginose risposte preconfezionate – prima dell’avvio del Cashback. Non riesce  a darsi un minimo di efficienza.
La rivoluzione tecnologica del nuovo al governo è zero. Anzi è negativa, comportando perdite di tempo ed energie. Alle app zero bisognerebbe aggiungere la fibra che funziona a capriccio, e i fumosi percorsi delle identità digitali, spid e pec, che sembrano disegnati per smarrire le identità.
Non è meraviglia, è parte della burocrazia, incapace di adeguarsi in qualche modo, se non di  innovare. Meraviglia sarebbe se le app funzionassero.
La novità è il silenzio stampa. Rumorosissimo. E sì che i media hanno bisogno di notizie, se per ore e paginate non fanno che riciclare le chiacchiere su Conte. I media di destra evidentemente sono incapaci di capire. Quelli di sinistra, ora che il Pd è al governo, mostrano la vecchia sindrome Pci, non disturbare il manovratore, stiamo lavorando per voi.

Napoli in giallo, umoristico

Un gioco di parole per una giornata ordinaria, la solita GdM, “Giornata di Merda”, benché sia la vigilia del santo Natale, che fila come un frecciarossa. Irreale, inverosimile e tutto, ma l’orchestrazione si prende l’attenzione – rima permettendo. De Giovanni dirà che a Napoli tutto è possibile, e invece no – altrimenti perché scriverne, in giallo poi? Mentre sono realistiche, finalmente, le “dimensioni” fisiche delle sue donne, la modestia del consultorio pubblico, la cattiveria della mamma con la figlia (non solo napoletana, per la verità: un  mistero, sfuggito anche a Freud).  
Una Giornata di Merda di Gelsomina Settembre detta Mina, assistente sociale di questa e di molte altre avventure (il racconto, il primo di Mina Settembre, è estratto dall’antologia Sellerio 2013, “Regalo di Natale”). Che invece ritrova il marito ripudiato in funzione per una volta utile, forse un nuovo flirt, il rispetto del portiere voyeur, e una camorra distratta e perdente.
Un titolo goliardico per un racconto spartiacque, di quando De Giovanni ha iniziato a propendere verso il giallo umoristico-satirico. L’unico metro possibile, si direbbe, da maestro di taglio napoletano che altrimenti non può venire a capo del suo mondo.  Con un cappottino rosso reminiscenza della “Felicie” di Simenon – al cui fascino cede il freddo Maigret?
Maurizio De Giovanni, Un giorno di Settembre a Natale, la Repubblica, pp. 47, gratuito col quotidiano

venerdì 18 dicembre 2020

Letture - 442

letterautore


Guido Cavalcanti – Nel 1284 o 1285, consigliere al Comune di Firenze, in compagnia di Brunetto Latini e dello storico Dino Compagni, fece il pellegrinaggio di Santiago de Compostela: Compagnai lo ha annotato nella sua “Cronica”. La notizia più sicura della vita di Cavalcanti è trascurata da suoi maggiori studiosi – ultimi, nel primo Novecento, Ezra Pound, Contini e Praz – che lo vogliono invece, trasgressivo e anche bestemmiatore, ateo. Ateo nella Firenze di Dante?
Allo stesso modo, forse di una filologia che si vuole astratta dalla storia, si trascura l’esilio inflitto a Cavalcanti nel 1300 (dal quale ritornò a Firenze dopo meno di due mesi morente, di soli 42 anni)  nel tentativo di pacificazione tra le famiglie Cerchi e Donati, ossia tra i Bianchi e i Neri. Quindi a opera anche di Compagni e Dante, entrambi impegnati nella pacificazione – Dante per di più in quanto uno dei “priori” della città..
 
Corazzata Potëmkin –Il film di Ejzenštejn, 1925, fu proibito in Francia, oltre che in Italia, fino a dopo la  guerra.
 
Dante – Giuliano Vigini conta su “La Lettura” per il settecentenario di Dante la disponibilità “in commercio” di 136 edizioni della “Commedia”, “tra i 7 e i 10 euro”. Più le “già annunziare edizioni d’arte e di pregio, dai 200 euro in su, per studiosi, amatori e collezionisti”. Sono anche disponibili “80 saggi, biografie, indagini, agende letterarie” – “senza contare quello che uscirà in edicola, come allegati a giornali e riviste”.
 
Heidegger – Sartre o ha letto tardi, durante la guerra, nel campo di prigionia, come regalo dei carcerieri. Così egli stesso lo racconta a Simone de Beauvoir nelle lunghe - occupazione delle vacanze di agosto a Roma -  “Conversazioni con Jean-Paul Sartre”: “”Non so perché nel campo di prigionia i Tedeschi mi hanno regalato Heidegger; resta un mistero per me”. “Come ha fatto?” chiede Simone de Beauvoir. “Durante la prigionia ho risposto a un ufficiale tedesco, che mi chiedeva cosa mi mancava: Heidegger”. “Forse perché Heidegger era ben visto dal regime…”, opina SdB. “Forse. In ogni caso me l’hanno dato. Un grosso volume, che costa caro. È strano, perché non eravamo trattati con i guanti”. “Sì, certo”, dice SdB, “la cosa resta un po’ misteriosa. Comunque, avete letto allora Heidegger”. “Ho letto Heidegger mentre ero in campo di prigionia. L’ho capito d’altronde attraverso Husserl molto più che in sé stesso. L’avevo letto anche un po’ nel ‘36”, quando Sartre passò un anno a Berlino, per studiarvi la filosofia, mentre scriveva “La nausea”.
 
Ivan il Terribile - Ce ne sono due: il primo fu negativo, il secondo positivo, il tiranno è illuminato. Tutt’e due dello stesso regista, Ejzenštejn. La verità può essere doppia.
 
Montalbano  È uno sceriffo, da film western: Alberto Sironi “fu lui a volere Zingaretti”, spiega a Valerio Cappelli Carlo Sironi, figlio di Alberto, il creatore di Montalbano al cinema: “Riusciva a creare un’atmosfera da film western, Montalbano è lo sceriffo”.
 
Polentoni – Erano i Cartaginesi per i Romani. Che così li chiamavano (p.es. nel “Poenulus”, la commedia di Plauto sul ragazzo cartaginese rapito): “Pultiphagonides”, mangiatori di polenta.
Lo stesso termine, pultiphagonides, o pultiphagus, che traduce “mangiapolenta”, il Mariotti registra come “scherzoso per romano”, sull’autorità di Pl., cioè di Plauto – non ha letto bene la commedia?
 
Salò-Sade – Il film di Pasolini è parlato come Baudelaire, tra una violenza e l’altra. Un omaggio? Un oltraggio? Baudelaire scoperto a cinquant’anni invece che a quindici?
 
Sogno – Nerval ha “i sogni venuti dalla porta d’avorio”. Che sono i sogni “vani” dell’“Odissea”, al canto XIC, 562-567: i sogni passano da due porte, le porte d’avorio quando sono ingannatori, le porte di corno quando “la verità li incorona”, ma entrambe “inconsistenti”, come sono i sogni . Nella versione di Rosa Calzecchi Onesti: “Due son le porte dei sogni inconsistenti,\ una ha battenti di corso, l’altra d’avorio:\ quelli che vengono fuori dal candido avorio\  avvolgon d’inganni la mente, parole vane portando;\ quelli invece che escon fuori dal lucido corno,\ verità li incorona, se un mortale li vede”.
 
È un rebus secondo Calvino, “Le città invisibili”: “Il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura”.
 
Storia – “L’io non soggiorna più nella storia, è la storia, oggi, a soggiornare nell’io”, Ingeborg Bachmann? In un senso è vero, dell’io che si scrive nel romanzo del Ventesimo Secolo.
 
Teatro – Come uno “stato d’emergenza” lo vuole Sartre – Simone de Beauvor, “Colloqui con Jean-Paul Sartre”: “È una specie di stato d’emergenza, di tutti i giorni”, per l’autore, per gli interpreti, per gli spettatori”. Sartre lo dice, nei suoi tardi lunghi colloqui con Simone de Beauvoir nel corso della loro consueta vacanza estiva a Roma, nell’agosto-settembre del 1974,  a proposito della vena teatrale, da lui preferita come scrittore, ma presto inaridita: “C’è un’età in cui ci si distacca dal teatro. Le opere migliori non sono scritte da vecchi. C’è qualcosa di eccezionale in un’opera di teatro. Dei personaggi arrivano, e dicono: «Buongiorno, come stai», e si sa che, in due o tre scene, saranno coinvolti in un affare d’eccezione da cui usciranno probabilmente molto male. Questa è una cosa che, nella vita, è rara. Non si vive nell’emergenza; si può essere sotto una minaccia anche grave, ma non si è nell’emergenza. Mentre non si può scrivere un’opera teatrale senza che ci si sia un’emergenza”. Lo stesso per gli spettatori: “Vivranno nell’immaginario un momento d’emergenza”.
 
Trionfo della morte – I suoi artisti anticiparono il fatto, spiega Klaus Bergdoltd, il medico umanista che ha studiato “La grande pandemia”: “Il tema artistico del «Trionfo della morte» compare già prima del 1348”, della grande peste del 1348-1351, “a Pisa, Firenze e Bolzano; come se la grande catastrofe fosse stata in qualche modo prevista”. La peste decimò l’Europa: “Tra il 1347 e il 1351 più di un terzo degli europei fu vittima della peste”.  
 
Vesuvio – L’eruzione del 79 a.C. che seppellì Stabia, Ercolano, Pompei fu inattesa. Non si sapeva che la montagna fosse un vulcano.
 
Viaggio – È un’acquisizione “a perdere”, marginale? Così lo vuole Calvino annotando il suo Marco Polo alla scoperta delle “Città invisibili”: “L’altrove è un specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà”.


letterautore@antiit.eu


Ecobusiness

Toyota, che per prima e molto più di tutti ha capitalizzato su ibdirde e eletriche, ora che il gioco si fa serio - la produzione di massa - scopre il bluff: convertire il parco circolante, spiega il signor Toyoda, “costerebbe centinaia di miliardi e renderebbe i costi delle auto insostenibili”. Centinaia o non migliaia di miliardi alle utilities elettriche e alle reti? Un business per ricchi, e più un capriccio, una spesa suntuaria, mettendo a frutto l’ipervalore ecologia.
“Le pale eoliche son le nuove cattedrali”, Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. Della Lega per la distruzione dell’ambiente?
Privilegiano i mercati rionali, evidentemente richiesti dai consumatori,  frutti di Spagna, o del Sud America, che anticipano le stagioni e le ritardano, le nespole, le albicocche, le pesche, le arance sempre, e le clementine. Frutti che sono anche più grossi, calibro 8, calibro 10, sempre più grossi, più tondi e più cari, anche se meno saporiti – è il loro pregio, essere più grandi, e tondi perfetti, anche se insipidi, e qer questo più cari. È anche una filiera, evidentemente, in cui grossi ricarichi sono consentiti, agli importatori-distributori, e al dettaglio. Ma in Spagna, o in Argentina, in Cile, non è libero, diffuso e raccomandato l’uso degli Ogm  – che l’ecologia depreca e l’Italia proibisce?

Osanna per gli acquisti online: il paese è maturo, il consumatore avvertito, si risparmia- davvero? E si movimentano quantità industriali di rifiuti, cartoni e plastiche, per ogni invio, anche minimo. Gli imballaggi sono diventati una grande industria.

Napoli fa violento il mite Eduardo

La commedia di Eduardo tal quale, ma senza più l’effetto grottesco, anche comico, che la recitazione bonaria di Eduardo, il ritmo, le pause, la mimica, e il testo stesso, imprimevano alla rappresentazione sulla scena. Gli interpreti sono bravissimi, Franceso Di Leva (Antonio Barracano, il “sindaco” aggiustaguai) e Massimiliano Gallo (Santaniello), ma indirizzati sul filone “Gomorra”. È violento anche il linguaggio, in Eduardo ironico.
Per questo Martone sarà stato apprezzato all’ultima Mostra del cinema di Venezia. Ma Gallo-Santaniello terribilista contro il figlio, buonannulla, anzi depravato, anzi degenere, perché a lui piace il baccalà e il figlio non glielo ha messo ammollo?
Due ore e mezza di violenza verbale, anche fisica. Sarà la Napoli di ora, probabilmente, che evoca solo violenza.
Mario Martone, Il sindaco del rione Sanità, Rai 3

giovedì 17 dicembre 2020

La Bce contro le banche

È fragoroso il silenzio della Bce sulle banche, nel blocco ormai quasi annuale dell’attività economica. Se non per raccomandare l’aumento della liquidità, con limitazioni ai dividendi e l’esclusione del buy-back a sostegno delle quotazioni. In una situazione in cui le banche galleggiano sulla liquidità – stimata in Italia di ammontare attualmente superiore al pil nazionale.
I problemi della banche sono due. L’inattività, con costi generali che comunque corrono - Intesa, Unicredit e ogni altro istituto, grande e piccolo, hanno soprattutto un problema di inappetenza. E i crediti incagliati o insoluti che tornano a riemergere per l’inattività del sistema produttivo, i famigerati minacciosissimi npl, non performing loans. 
Negli Stati Uniti la Federal Reserve ha alleggerito questo fardello. Dal lato consumo, facendosi carico dei mutui sui debiti degli studenti, sui ratei automobile e sulle carte di credito. Dal lato produzione acquistando obbligazioni aziendali, seppure di emittenti di rating elevato. In Europa solo minacciosi avvertimenti.
La Bce, orientata da Draghi sulla politica monetaria, un fronte sul quale è finora vincente, è impacciata e quasi indispettita a fronte dei problemi bancari. Anche se è, istituzionalmente, la banca delle banche.
È facile dirsi o porsi contro le banche, e la Bce, bizzarramente, sembra collocarsi su questo fronte.
Nella patrimonializzazione su cui insiste, altra bizzarria, la Bce non cessa di raccomandare alle banche aumenti di capitale. Pagati da chi, dagli investitori che la Bce raccomanda di non remunerare?

Il giovane Beethoven

Beethoven, sordo, bisbetico, rivive in casa del fratello a Gneixendorf, dopo il tentato suicidio del nipote Karl di cui è affidatario e a suo modo carnefice, la sua propria infanzia e giovinezza a Bonn. Enfant prodige, del pianoforte e della composizione, coltivato dal maestro di corte Neefe, protetto dal conte Waldstein, e prima ancora dalla signora von Breuning, la cui figlia Leonore sarà il suo unico amore, appassionato, condiviso infelice per differenza di classe – nonché protagonista del “Fidelio”, l’unica sua opera, originariamente a lei intitolata. Una stagione felice, malgrado le intemperanze del padre, tenore di corte e ubriacone. E il regime paternalistico assolutista dei principati tedeschi, che Beethoven contesta dalla più tenera età, libertario e repubblicano convinto, dal suo primo mentore musicale, Tobias Pfeiffer - che Niki Stein fa giovane repubblicano di grandi ideali, al punto da sfidare l’Elettore di Colonia e andarsene, forse in America.
Il giovane cresce nel mito di Mozart, che è anche quello del conte Waldstein. Che ai suoi diciassette anni gli avrebbe procurato un incontro a Vienna col loro idolo, presso il quale lo vedeva a scuola. Questo aneddoto forse non è vero, ma consente agli sceneggiatori di presentare un altro Mozart: giovane maturo, aitante, scapestrato. E una diversa Constanze, la giovane moglie che Mozart trascura. 
La rimemorazione si ferma al 1792, quando il conte Waldstein manda il ventiduenne compositore a Vienna, raccomandandolo a Haydn, e prefigurandogli, con una lettera poi celebre, la successione dell’idolatrato Mozart. Beethoven vecchio e sordo ha intanto rifinito il suo ultimo quartetto, e lascia con Karl la casa di campagna per consegnarlo all’editore a Vienna, ma s’infredda nel carrozzino scoperto sotto la tormenta e muore.
La rimemorazione si ferma al 1792, quando il conte Waldstein manda il ventiduenne compositore a Vienna, raccomandandolo a Haydn, e prefigurandogli, con una lettera poi celebre, la successione dell’idolatrato Mozart. Beethoven vecchio e sordo ha intanto rifinito il suo ultimo quartetto, e lascia con Karl la casa di campagna per consegnarlo all’editore a Vienna, ma s’infredda nel carrozzino scoperto sotto la tormenta e muore.
Un film diverso, fra i tanti su Beethoven. Il compositore sordo e bisbetico è Tobias Moretti, il Richard Moser del “Commissario Rex”. E Stein è soprattutto regista di moltissimi episodi della serie gialla “Tatort”, che nel mercato tedescofono va in onda da cinquant’anni (d a un paio danni alcuni episofi si programmano sul canale Giallo. Ma questo è un film soprattutto musicale, anche se ben drammatizzato, in oggi singolo episodio.
Un giovane Beethoven soprattutto libertario, repubblicano. Per i 250 anni della nascita, uno dei pochi esiti possibili dell’intenso programma di celebrazioni, in questa stagione sfortunata.
Niki Stein, Louis van Beethoven, Sky Cinema

mercoledì 16 dicembre 2020

Germania militante, ma deve arruolare immigrati

La Germania si è fatta più militante, in senso proprio. D’accordo con Macron e l’esercito europeo, e con gli Usa per una maggiore partecipazione nella Nato, alle spese e all’operatività. I Verdi, il nuovo partito della sinistra, già pacifisti, propongono più spese militari e più impegni, specie per l’esercito europeo. Il presidente Steinmeier, socialista, è categorico sulla “Frankfurter Allgemeine Zeitung”:“Solo un’Europa che è in grado di difendersi in modo credibile potrà mantenere gli Stati Uniti nell’alleanza”. E l’ex cancelliere socialista Schröder prospetta su “Handelsblatt” “un futuro per l’Europa” solo come “attore sovrano e sicuro di sé nella politica mondiale”.
La destra invece è cauta – conoscendo i suoi polli? Annegret Kramp-Kerrenbauer, ministra della Difesa, taglia corto su “Politico”: “Le illusioni di autonomia strategica europea devono cessare, gli europei non potranno rimpiazzare il ruolo cruciale dell’America in quanto fornitrice di sicurezza”.
La prudenza è d’obbligo perché in Germania la professione militare non è apprezzata, e anzi è disprezzata. Trent’anni fa, per riuscire ad arruolare i futuri sottufficiali e ufficiali, le forse armate dovettero promettere lauree (corsi di laurea). Condizionandole a soli sei anni di ferma. Ora la Bundeswehr studia come sopravanzare il limite costituzionale della nazionalità e della fedeltà istituzionale arruolando immigrati. Anche come ufficiali se diplomati o laureati, per almeno cinque anni di ferma. A cambio della nazionalità subito.

L’euroatlantismo – meglio gli Usa che la Cina

Da sinistra (Spd) e da destra (la destra Cdu), la Germania discute di rilanciare l’atlantismo, in chiave europea: più Europa non per affrancarsi dagli Stati Uniti ma per convincere gli Stati Uniti a procedere ancora affiancati. Va Bruxelles in direzione opposta, che per prima cosa mette ora la museruola ai big del web – che sono anche i grandi finanziatori del neo presidente Biden?
La natura e l’estensione dei controlli annunciati su Google, Facebook, Apple, restano da valutare, nell’applicazione. Il programma politico è per un euroatlantismo, un atlantismo a iniziativa europea. Svanita è comunque è l’illusione di fare da soli, col lungo ponte in Cina. Già il programma di Ursula von der Leyen un anno fa, appena eletta a Bruxelles, indicava la rotta: la sfida alla Cina – non agli Usa – sul digitale e l’ambiente, 5 G e batterie elettriche incluse.
Il presidente Steinmeier sulla “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, e l’ex cancelliere Schröder su “Handelsblatt”, entrambi socialisti che scrivono su giornali conservatori, e i Cdu di destra, Schaüble e Annegret Kram-Karrenbaueer, l’ex ministro delle Finanze e la ministra della Difesa, candidata alla successione di Angela Merkel, su “Die Welt” e su “Politico”, chiedono il rafforzamento dell’Europa, anche in chiave militare, per offrirsi ancora quale partner privilegiato agli Stati Uniti.
Steinmeier: “Anche con Biden, l’Europa non sarà più centrale come prima per l’America (in Gerrmania è opinione comune che il distacco sia avvenuto con Obama, prima di Trump, e in parte già con Clinton, n.d.r.)…Dobbiamo perciò chiarire perché l’Europa è importante per l’America”. Schröder dice “un ricordo del passato” l’atlantismo “per come lo conosciamo da decenni”: l’Europa deve “recuperare credibilità e rafforzarsi” per invogliare gli Stati Uniti ad affrontare insieme il “futuro multilaterale”, la globalizzazione.

La corruzione in Procura

In Africa e in Medio Oriente non si fanno affari se non si pagano commissioni, tangenti. Lo sanno tutti, e non c’è nulla da fare. L’interlocutore è sempre lo Stato, e gli Sati in Africa e nel Medio Oriente sono patrimoniali, ancorché costituzionali: sono “proprietà privata” del potere. Non vi si vince una gara, si paga un beneficio al potente di turno - nella penisola arabica, p.es., i vari principi reali.
Ci sono leggi anti-corruzione fuori dell’Africa e del Medio Oriente. Che però non si applicano a questi mondi. C’è solo la Procura di Milano che instaura grandi processi, periodicamente, a carico dell’Eni, o di società ex Eni, come Saipem, attive in quel mondo. Per un’intransigente applicazione della legge, si dovrebbe dire, se non che la Cassazione, come avant’ieri, inesorabile cassa tutte le procedure (e le procedure si avviano solo per le aziende – ex – pubbliche). Oppure per provincialismo. E invece no, non è severità e non è provincialismo – solo a Milano non si sa come va il mondo?
Sono inchieste avviate dalla concorrenza. Più spesso estera ma con agganci in Italia, a Milano, in banca e\o in attività d’immagine. O da dipendenti cacciati con disonore. Cioè dai più corruttori-corrotti. Sempre e solo a carico delle aziende pubbliche. Con budget rilevantissimi da spendere, per traduttori e interpreti, perizie, viaggi. In capitali per molti ancora esotiche, comunque fuori dal giro:  Algeri, Lagos, Kinshasa.

Un Sud da ridere, ma con fatica

Una banda di poliziotti” è una banda a delinquere, non di suonatori. Per evitare la chiusura del commissariato di Apulia, dove non è mai successo nulla da tempo immemorabile, la banda  commette una serie di delitti. Una gemma, nella programmazione scadente di questo cattivo 2020. Ma sarebbe da ridere, e invece si fatica.
Il suo “Sud” fortunato Miniero spinge in questa miniserie al demenziale. Genere non italiano, e quindi forzato? O non è per questo che non si ride: il Sud non è demenziale – questo Sud perlomeno (ma forse il Sud non si presta)? Fatto sta che il demenziale scade nella macchietta, da guitti. Senza emozioni. Non c’è un personaggio, se non la dirigente ministeriale in missione da Roma per chiudere il commissariato – o è Stefania Rocca che riesce a dare corpo a questa figura, tanto più sbalzata in quanto è la sola riuscita - e nemmeno una storia.
Più che di svitati la banda è di sciocchi. Anche per il sincopato apulo-lucano che - dopo “Imma Tataranni”? – Miniero fa parlare alla banda. E così si fatica.
Luca Miniero, Cops – Una banda di poliziotti, Sky Cinema

martedì 15 dicembre 2020

Problemi di base - 611

spock

“La natura del vivente è eterna”, Platone, “Timeo”?
 
“Una superstizione dura più di una religione”, Th. Gautier, “Arria Marcella”?
 
“Non credere è un altro modo di credere”, Alec Ryrie?
 
“È urgente e indispensabile che Dio sappia come l’uomo è realmente”, Rilke?

“Chi non ha mai dubitato non ha mai creduto”, William Perkins?
 
Dio scompare con l’uomo, col male, con Hitler?
 
E con i social, con la stupidità al potere?
 
Chi può pretendere di conoscere Dio?

spock@antiit.eu

La multa è selettiva

L’aperitivo freddo a largo Arenula, al ghetto, dietro l’edicola ormai tristemente chiusa, si riscalda alle 11,55 col un pallido sole e con l’arrivo dei vigili urbani. Due, un lui e una lei, come usa. Lui atletico, Nike bianchissime, lei zazzeruta e goffa.
La Tipo di servizio hanno lasciato all’angolo coi Falegnami. L’atleta è ed è entrato nella merceria. Ne è uscito col vecchio merciaio, e insieme hanno ponderato le macchine parcheggiate. Nella cosiddetta via sant’Elena, dietro la Posta, che è zona pedonale ma da sempre adibita a parcheggio, così usa a Roma (si parcheggia ovunque: a Roma, 3 milioni di residenti, circolano 3,3 milioni di autoveicoli, 2,6 a quattro ruote), per anni e decenni, fino a che non cominciano le multe - a volte le multe si fanno per un periodo, due giorni, una settimana, poi si torna a parcheggiare liberamente, per un motivo che sfugge. C’entrano sette macchine a spina di pesce, anche otto.
Il merciaio ha indicato col capo. Poi il vigile ha chiamato col capo la vigilessa. Come sovrappensiero ha fatto dei cenni, sempre col capo, e la vigilessa si è messa all’opera. Ha fatto la multa alla prima macchina, all’angolo coi Falegnami, poi si è avvicinata.
Da vicino sembrava congestionata, quasi sudata. Ha guardato perplessa l’atleta, che si è avvicinato. L’atleta, si dirà capopattuglia?, ha titubato anche lui, poi è tornato al negozio. Il vecchio ha detto una parola, e a un cenno del capopattuglia la zazzeruta ha lasciato la multa sotto il tergilunotto non dell’ultima ma della penultima macchina, la sesta – oggi erano parcheggiate sette macchine.
Poi i due vigili sono tornati in silenzio alla macchina di servizio e se ne sono andati.
Non un diversivo divertente. Ma il sentimento di avere assistito a una rappresentazione, a suo modo eccitante: uno dei vecchi “quadri viventi”, di ruoli e temi collaudati, che invece di belle donne in carne esibisce muti corruttori, corrotti, appropriatori di suolo pubblico, e della legalità – il merciaio gestisce le soste, la legge lo protegge, a un prezzo.
Non avendo nulla da fare causa lockdown c’è anche tempo per riflettere. Fare merce della legalità è anche questo parte dell’ideologia del mercato? Ma a Roma, è pure vero, il mercato data dal tempo dei publicani.

Il giallo dell’Europa era risolto nel ‘33

“Da nord a sud, dal Baltico al Mar Nero e al Mediterraneo, tutti se ne vanno in giro innocentemente con le mani piene di fiammiferi”. È l’Europa nell’anno 1933. Simenon grand reporter ne fa un ritratto presciente, oltre che ben raccontato, specie nella prima parte. La Germania dell’inflazione, spensierata, folle, che vota Hitler, sembra l’Italia di oggi, l’Europa: “Alcuni si innervosiscono. Altri si annoiano. La vita è stupida”, tra “le «ammucchiate»,  il nudismo, la speculazione, il freudismo, i ragazzini e le ragazzine, lo squilibrio e l’irrequietezza, la fitness, l’eroina, la cocaina”, e “libri di teosofia, esoterismo, erotismo” . Il § 3, “L’Europa all’incontrario”, è un’anticipazione di cosa è accaduto dopo il 1989, in Jugoslavia, Cecoslovacchia, paesi Baltici, sta avvenendo in Ucraina, e potrebbe avvenire in Polonia, nei territori ex tedeschi e ex russi.
Con tranches de vie spassose, della vita nei grandi alberghi. E con più di una nota storica. L’incendio del Reichstag Simenon l’ha scritto quattro giorni prima che avvenisse. Perché sapeva ìl perché, l’aveva appreso al Kaiserhof di Berlino, l’albergo dove risiedeva e dove Hitler aveva una suite – “Io l’ho visto, il Messia, dieci giorni prima delle elezioni, che tornava nella sua suite al Kaiserhof”, si sono incontrati in ascensore, “con Emil Jannings, che abitava un pisno più su”.  Poiché “la moglie del Kaiser è andata a trovarlo e ha anche organizzato un tè nell’albergo,” i giornali stranieri danno Hitler derisivamente a caccia di famiglie reali, gli Hohenzollern, i Wittelsbach di Baviera, nota Simenon sprezzante – lo stato dei media, anche quello sembra di oggi. “Ma al Kaiserhof, a Berlino, nessuno appariva turbato, o inquieto, o sorpreso”, spiega: “Una sera c’è stato gran consiglio ed è stato deciso che serviva una scusa per mettere a tacere i comunisti prima delle elezioni. Hitler proponeva di organizzare un falso attentato contro di lui per galvanizzare i suoi sostenitori. Goebbels, più calmo, lo ha dissuaso dicendo che un falso attentato avrebbe potuto dare a qualcuno l’idea di commetterne uno vero. Allora hanno ripiegato sul Reichstag. Mancava una settimana alle elezioni, era sabato. Ho telefonato la notizia a Parigi, al giornale della sera. Non hanno avuto il coraggio di pubblicarla. Il mercoledì sera il Reichstag bruciava e nessun tedesco dava il minimo segno di stupore!”. 
L’ultima
  parte riproduce prima di ogni altro viaggiatore esperto, Céline, Gide, la claustrofobia della Russia sovietica, che tutto spia, da Odessa a Batum – e tutto rinvia, il cibo, le scarpe, una casa, a cinque anni, dieci anni, al prossimo piano quinquennale, ai prossimi due. La precede un’intervista con Trockij nel primo esilio a Prinkipo, l’isola nel Bosforo, che è un capolavoro, di letteratura simenoniana e di finezza politica dell’esule. Valga per tutti la “lettura” di Mussolini – Trockij conversa a lungo con Simenon (sta negoziando il passaggio in Francia, dove si trasferirà qualche mese dopo, a Barbizon), ma l’intervista la consegna per iscritto, su quattro domande inviate in anticipo, per evitare equivoci: “Mussolini, a suo tempo, quando lottava per raggiungere il potere, ha usato, sia pure stravolgendola, la dottrina sociale di un tedesco, o meglio di un ebreo tedesco, Marx, che uno o due anni prima aveva definito «maestro immortale di tutti noi»”.
Un reportage pure senza pretese: “Non sono né un economista né un politico. Ho semplicemente cercato di fotografare alcuni aspetti dell’Europa di oggi che probabilmente prepara l’Europa di domani”. Ma resistente. Con molti quadri d’autore, contro gli stereotipi sui “popoli”, nella sezione che intitola “Cartoline illustrate”. La maratona a Parigi, “corsa campestre”. L’Europa dell’Est in fuga, in fuga da se stessa. “A Vilnius convivono sette o otto razze”, in lite, nella povertà. La Polonia è una sorta di marcita invasiva, che si è presa parte della Lituania e dell’Ucraina ma non sa chi è. Il Belgio è già diviso: i fiamminghi attorno al Boerenbond, la lega dei contadini, gestita in ogni paese dal parroco, che insegna l’uso dei concimi, delle sementi, delle macchine, delle tecniche di vendita; la Vallonia attorno alla Casa del popolo, di un lusso sterminato, ristorante e pasticceria stellati, delle cooperative operaie combattive – disprezzano il sindacato francese perché fa accordi coi padroni.
Adelphi valorizza giustamente la raccolta – p.es. rispetto all’edizione francese. Corredandola delle fotografie che accompagnarono la prima pubblicazione del reportage. Ma purtroppo senza riferimenti, se non una stranissima nota di Matteo Codignola che non spiega niente. Né delle foto, senza didascalie, e senza autore - chi è  Tigy? la prima moglie di Simenon? era fotografa? perché  non dirlo? Né dei testi. Se non che furono organizzati e pubblicati (in un numero unico, in più numeri?) dalla rivista “Voilà”, che l’editore Gaston Gallimard aveva inventato due anni prima – prima quindi di “Life”, spiega Codignola - per un fotogiornalismo di grande qualità: di réportage “firmati da grandi penne” e “immagini di altissima qualità, con una grafica e un montaggio assai audaci” (la copertina qui riprodotta richiama la grafica fascista, assertiva, tutta bastoni). Lo scrittore-inviato, spiega Codignola, lavorava in tandem con un grande fotografo. Nel caso di Simenon, invece, anche le foto sarebbero state sue – si desume, non è detto. Anche in fatto di immagini questo Simenon riscoperto – e il lettore - avrebbe meritato di più: un po’ più di luce (le foto sono quasi indistinte), e una didascalia.
Georges Simenon, Europa 33, Adelphi, pp. 377, ill. € 18

lunedì 14 dicembre 2020

Lavorare a casa, lavorare di meno e peggio

Ognuno ne ha fatto l’esperienza in questi mesi con i servizi, la banca, l’assicurazione, il fisco, l’anagrafe (è impossibile denunciare una morte….), perfino le prenotazioni online, del treno, dell’aereo, del car-for-rent. Più spesso non c’è interlocuzione, se non dopo estenuanti tentativi. E quando finalmente c’è, quasi mai è risolutiva, anche se si chiede solo di effettuare un pagamento. Lo smart working, il vecchio telelavoro, che si continua a prospettare, su input delle società di servizi, come un assetto progressivo e quasi miracoloso del mercato del lavoro (già si prospetta un crollo dell’immobiliare, per gli uffici sfitti…), molto più agile e redditizio, diventa l’incubo degli utenti.
In Francia, dove un dibattito è stato aperto un mese e mezzo fa da “Le Monde”, il lavoro da remoto, all’inizio valutato positivamente come un “incentivo alla produttività”, ora è visto problematico nella “qualità del servizio”. L’incentivo alla produttività, peraltro, è atteso per un abbattimento ulteriore delle garanzie salariali e di orario del lavoratore, senza considerare il rendimento.

Asia a tre stelle

Si fanno già i conti del post-coronavirus, e si vede l’Asia di colpo avanti rispetto all’asse Europa-Stati Uniti – l’asse occidentale, atlantico. Su tre perni: le due potenze risparmiate dal virus, la Cina e il Giappone, che ritorna anche sulla scena militare, e l’India. Con un quarto possibile soggetto, il mondo arabo-mussulmano.
Della Cina si valuta sempre preminente il ruolo economico, a capo della “catena della valorizzazione”, la produzione mondiale. Ma ora sottoposto al vincolo politico: chiarire la posizione militare all’esterno e politica all’interno. Un vincolo che Pechino ha finora evitato, nell’ottica introspettiva dell’innovatore Deng Hsiao Ping, ma che lo stesso presidente Xi Jinping, prima ancora che Trump, ha posto in evidenza, con l’attivismo militare nel Pacifico, e col programma di penetrazione finanziaria dell’Occidente, la Via della Seta.
La proiezione internazionale della Cina in chiave politica ha rinfocolato i problemi di frontiera con l’India. E ha portato il Giappone a rivedere l’impegno costituzionale a non intraprendere attività militari fuori del paese. Non in un’ottica di scontro, al contrario, per conglobare la Cina in un ordine internazionale anche politico. Ma l’opzione militare è stata riaperta.
Sul piano politico interno, fermo restando il controllo saldo della Cina da parte del partito Comunista, si attendono sviluppi nel rapporto con Hong-Kong, di fatto in queste settimane semplicemente annessa da Pechino, nello Xinjiang, la regione dei turcofoni Uighuri, e nel Tibet. E nella lotta alla corruzione, dentro lo stesso partito Comunista.

I diritti delle donne alla ghigliottina

Della serie “non è vero che le donne non conta(va)no”. Anche se Olympe, i cui progetti, manifesti e appelli reggono a oltre due secoli di distanza, la rivoluzione mandò alla ghigliottina: non fu per antifemminismo, fu per bestialità – allo stesso modo, anche se non cruento, come la Repubblica di Mitterrand ha rigettato nel 1989 la richiesta di ammetterla al Pantheon.
Il femminismo di due secoli dopo, nelle sue diverse articolazioni e nelle sue poche certezze, è in questa dichiarazione-decreto in pochi articoli. Assortita da una lettera alla regina Maria Antonietta che avrebbe dovuto vararla. Quasi un miracolo – forse per questo trascurato dal femminismo stesso, oltre a essere stato a lungo ignorato, fino a metà Ottocento. La storia può essere cieca.
Olympe è un personaggio perfino romanzesco. Di nome Marie Gouze, nata nel 1748 a Montauban, da famiglia modesta, di lingua e cultura occitane: macellaio il padre legale, padre carnale un marchese, Jean-Jacques Lefranc de Pompignan, poeta mediocre, vittima prediletta di Voltaire. Fu sposata a  sedici anni, a un ufficiale dell’Intendenza che la lasciò presto vedova con un figlio.
La vedovanza la liberò. Si trasferì a Parigi, si accompagnò a un altro nobilastro, Jacques Biétrix de Rozières, funzionario al ministero della Guerra, tenne salotto nella sua abitazione, rue Servandoni, con un piccolo teatro di società, dove rappresentò le sue prime scritture, drammatiche. Ma la passione politica ebbe preminente.
Olympe partecipa alle attività della Société des Amis des Noirs, e scrive e affigge appelli contro la schiavitù. Anticipa la Rivoluzione: nel 1788, pubblicando nell’autorevole “Journal général de France” una “Lettre au peuple” per la costituzione di una “cassa patriottica” a sostegno delle finanze pubbliche. La “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” scrive a settembre del 1791 a ricalco della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” di due anni prima - ribaltando il Cittadino di Diderot nell’“Enciclopedia”, che deve essere maschio: “Il termine non si applica alle donne, ai bambini, ai servi, se non come membri della famiglia del cittadino propriamente detto”. La diffonde, come tutti i suoi scritti e appelli, in manifestini attaccati ai muri o a stampa in brossure modeste.
La “Dichiarazione” non suscita grande echi. Ma bastanti per mandarla alla ghigliottina due anni dopo, il 3 novembre 1793, a pochi mesi dall’avvio del Terrore – seguita dopo pochi giorni da Mme Roland, analista coraggiosa della Rivoluzione, delle sue impasses: l’attivismo delle due donne la stampa giacobina denunciava da tempo come “contro natura”. Questa la motivazione della condanna di Olympe: “Olympe de Gouges, nata con un’immaginazione esaltata, ha scambiato il suo delirio per un’ispirazione della natura: ha voluto essere un Uomo di Stato. Ieri la legge ha punito questa cospiratrice per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso”.
La fine non fece scandalo, Olympe era una rivoluzionaria senza paraocchi, non popolare. Patriota e realista insieme, per il re e per Necker, come per Mirabeau e Dumouriez. La “Dichiarazione” invia a Maria Antonietta, ed è di due mesi dopo la tentata fuga dei reali.
Olympe non sapeva scrivere. Ma, grazie alla pratica diffusa della lettura ad alta voce, conosceva ciò di cui si parlava, fossero classici o libelli politici e rivoluzionari, e sapeva argomentare. Firmò 29 romanzi e racconti vari, 71 pièce teatrali, 70 fra libelli e articoli rivoluzionari.
Olympe de Gouges, La musa barbara. Scritti politici, Medusa, pp. 144 € 17,50
“Femme. Réveille-toi!”. Déclaration des droits de la femme e du citoyen et autre écrits
, Folio, pp. 99 € 2

domenica 13 dicembre 2020

Ombre - 541

“Matteo mi ha stupita. Vuole le elezioni assieme a noi o tornare col M 5 S?” Dice bene Giorgia Meloni a Paola Di Caro sul “Corriere della sera”: Salvini ha fatto perdere alla destra tutte le possibili elezioni, in Emilia-Romagna, in Toscana, a Reggio Calabria, e briga per fargliele perdere anche a Roma, nella partita altrimenti facile contro la 5 Stelle Raggi. Si capisce anche che si tenga fuori dal Ppe, i Dc europei. Un altro aspetto deteriore di questa politica, inconcludente, incapace.
 
La Procura di Milano muove accuse pesanti a Bolloré per Mediaset. Il “Corriere della sera” riduce la cosa a una breve, col titolo: “Vivendi: rispettata la legge, noi sempre trasparenti”. Il “Corriere deal sera” è di Cairo, o è sempre di Mediobanca (si dice Bolloré, ma è Mediobanca)?
 
È fuori di dubbio, per chiunque abbia una minima confidenza con le cose di Borsa, che questo Bolloré ha tentato - come è peraltro suo solito – di acquisire il controllo di Mediaset per vie traverse. Probabilmente anche lecite, legalmente. Ma che imprenditore è, che vuole Mediaset per svuotarla, come ha già fatto con Tim? Col patrocinio di Mediobanca.
 
Siamo il paese con più morti da coronavirus in Europa, 65 mila. Siamo il Paese col più alto numero di contagiati, oltre due milioni – che col tasso di positività al 10 e più potrà arrivare a sei milioni. Ma l’unico problema che ci viene proposto è come potremo fare le Feste con gli amici. I politici si può capirli, sono lì per distrarci, ma i media?
 
Due milioni di contagi e 65 mila decessi si direbbero cifre da catastrofe. Ma si discute di Conte, Renzi e Berlusconi, se ha cambiato opinione oppure no. La mediocrità fa paura: è in effetti pericolosa, come la stupidità.
Ma non è mediocrità: ciò di cui si discute, ma non si dice, naturalmente, è chi e per conto di chi gestirà i fondi europei per la ripresa - tra una posta e l’altra 250 miliari.
 
“IO” non riesce  caricare le carte di credito. Che sono le cose per cui è nato, e ce lo impongono: niente cashback  senza le carte. Ma non se ne parla: gli “utenti”, gli italiani, sono lasciati lì  a smanettare ogni giorno inutilmente.
 
Scambio di competenze tra Livorno, ex 5 Stelle, e la Roma della 5 Stelle Raggi: l’ex sindaco di Livorno Nogarin, due suoi assessori, e due suoi spicciafaccende, gli avvocati Lanzalone e Serini, entrambi sotto processo per lo stadio dell’As Roma. Si dice che i 5 Stelle non abbiano abbastanza personale qualificato, come se i partiti dovessero avere “personale qualificato”, come una  qualsiasi azienda. Ma tra Roma e Livorno i 5 Stelle sicuramente sanno fare i navigator: invece che abbandonarli al reddito di cittadinanza hanno trovato ai loro ex capi nuove professioni, e da 100 mila euro in su.
 
Serata all’insegna della sorority nel salotto di Lilli Gruber su “La 7”, con Boschi: belle, buone, brave eccetera. Poi Gruber rimprovera Boschi di essersi fatta la foto col fidanzato senza mascherina. Boschi si difende: era un secondo, ci facevamo un selfie. Niente, Gruber insiste; irresponsabilità. È un duello tra una Pd e una Italia Viva, che non sanno perché sono differenti, ma devono dirselo.
 
Il presidente Mattarella non ha nessun potere di dire che, dopo il governo giallorosso, ci sono solo le elezioni – cosa che in effetti lui non dice, ma fa accreditare dai giornali come detta. Nella costituzione i governi si fanno in Parlamento. Ma l’uomo conosce i suoi polli: il suo “monito” viene recepito e i 5 Stelle si allineano. Dove altro trovano il superstipendio da parlamentari – senza contare che, se si votasse oggi, una buona metà, se non tre quarti, non sarebbero rieletti?
 
Aldo Grasso si chiede sul “Corriere della sera” perché Conte decreta di notte, dopo consigli dei ministri esausti e sonnolenti. E avanza sei ipotesi. Mancando la più convincente: Conte, come il conterraneo Moro, funziona di notte (è una questione di pressione bassa), quando l’Italia dorme.
 
“Se Schwazer non si è dopato, chi l’ha «dopato»?”, giusta la domanda di Bolzoni su “la Repubblica”. Il giudice di Bolzano riconosce che il prelievo e l’analisi che hanno portato alla squalifica di Schwazer per quattro anni sono irregolari. Ma lo assolve dopo i quattro anni della squalifica. Senza accusare nessuno delle “irregolarità” – che in quel mondo, di infiniti interessi, non sono accidentali.
 
Schwazer e il suo medico Donati, noto crociato antidoping, accusarono all’epoca la federazione cinese di avere indotto la Iaaf, la federazione dell’atletica, alla squalifica, per lasciare campo libero ai suoi podisti – che poi hanno vinto. Il giudice di Bolzano evita di pronunciarsi, ma la World Athletics, ex Iaaf, e il suo presidente, l’ineffabile Coe, hanno fatto e fanno finta di nulla - si godono i benefici  sotto le palme di Monaco.

Gli affari oscuri di Bolloré con Mediobanca

Nella denuncia della Procura di Milano contro Vivendi-Bolloré sull’affare Mediaset si documenta una pratica non inconsueta in affari, e anzi comune: la scalata surrettizia a un’azienda o a un gruppo. Se in modo legale o illegale nella fattispecie starà al giudice decidere. Ma al centro di questo ennesimo affare dubbio sta Mediobanca.
Mediobanca ha favorito in tutti i modi Bolloré, dapprima in casa Ligresti (Premafin-Sai), poi su Telecom-Tim, poi su Mediaset. Ha fatto per lui gli acquisti al coperto - dopo avergli prospettato, si sa, l’affare. E gli ha costruito un’immagine da cavaliere bianco dell’asfittico capitale italiano. Mentre Bolloré al suo paese è tenuto in punta di bastone, temuto per i pochi scrupoli e nulla più – un cavaliere nero.
Mediobanca inoltre dava Tim a Bolloré dopo averla svuotata con una privatizzazione che è poco dire una rapina. La Stet-Sip, l’ottima società pubblica, che investiva molto per cablare l’Italia, fu regalata a un “salotto buono” che, in varie accezioni, dagli Agnelli a Tronchetti Provera e a Colaninno, la usò per pagarsi le bollette – solo ora, forse, dopo vent’anni, potremo navigare in fibra, con gli investimenti di Enel e Cdp, cioè, di nuovo, dello Stato.
Depurata della componente Berlusconi - politica, etica - la vicenda Vivendi-Mediaset è agghiacciante. Di come si fanno gli affari in certi ambienti. Che non sono mafiosi o malavitosi: sono Mediobanca. 

Gran teatro, freddo, in tv

Massini è autore-animatore formidabile: dinamico, coinvolgente. L’idea è geniale: creare una palestra di teatro in tv. Ottimi i numeri scelti e presentati per riaccendere in qualche modo i palcoscenici da ormai quasi un anno svuotati e spenti, con registi e attori sbracati tra soffitte e maliconie. Tutti partecipano entusiasti, e ce la mettono tutta. Ma il palcoscenico televisivo non si accende.
Questa (prima?) puntata è stata un’accademia. Ben curata, bella, per ogni pezzo coi ritmi giusti. Che però non ingranano: il teatro vuole il pubblico, la televisione è un mezzo freddo.
Stefano Massini-Andrea Delogu, Ricomincio da Raitre, Rai 3