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sabato 26 dicembre 2020

La spia

Una confidenza si era stabilita in via Garibaldi con la vicina di piano, abitare in posti belli induce una sottile malinconia. Donna espansiva e di buona conversazione, giovane, bionda, che di sé solo ha detto essere rumena. La conoscenza è avvenuta dalla macellaia, il ritrovamento a volte da Giovanni. Una stendhaliana amicizia amorosa, il titillamento del come potrebbe essere, acuito dal suo essere rumena a Roma, quando il visto non era facile, per la sua aria anche non equivoca, e l’occupazione improbabile, professore d’orchestra alla Rai, dov’è chiamata Cavalla Ostrogota – ce ne sono, non amate: brave, costano poco e non rompono. Acuito dall’essere che non è, e dal possibile che si vuole escludere. Analizzando Dioniso dal sesso incerto, Bacone conclude che “ogni affetto violento ha sesso incerto, ha insieme impeto virile e impotenza femminile”. Non sempre – è Dioniso anche “L’amore è come l’edera” – ma l’amicizia amorosa è il motore perpetuo del desiderio.
Giovedì la rumena è scomparsa. È bizzarro che sia scomparsa in un giorno preciso, che si dica o si sappia, chi fa quella vita non mette radici, e nessuno se ne occupa. Quale vita? Il desiderio è forza non motivata. Né ci sono desideri superflui o vani. È acuto il rimpianto, seppure senza oggetto. C’è un terribilismo del desiderio nella vita, e anche nella morte. È una delle cose più reali che ci siano. La felicità non richiede studio, viene come un dono, sia pure in alcuni momenti avvelenato.
Era Maria, la vicina scomparsa, la spia che si diceva nel quartiere? E di chi? Era legata a un altro personaggio scomparso, secondo racconta il “Messaggero”, gentiluomo non raccomandabile, benché titolare di società altisonanti, Eurocostruzioni, e all’Aeroporto dell’Urbe di Aerocampi, società di noleggio aereo, con uffici in vicolo del Cinque. Un imprenditore gangster, lo chiama il giornale. Li avrà uniti la musica, o il denaro, o giusto il passaporto? Si condividono destini che non si scelgono.

Spaghetti-moschettieri n. 2

È l’ultima missione dei moschettieri del re, dopo la penultima un anno fa: i moschettieri sono stanchi, hanno tutti i 35 anni di contributi, non ne possono più di obbedire, e anche la regina non ne può più. Salveranno l’amore di una ragazzino e una ragazzina, che la madre americana villana vorrebbe portarsi via in America – nessun riferimento a persone o eventi realmente accaduti?
Il primo film del dopo (si sperava) pandemia, girato a settembre e ottobre. Con Favino-D’Artagnan, Mastandrea-Athos e Papaleo-Porthos. Manca Rubini-Aramis, sostituito da un lupo - che parla, con la voce di Sergio Rubini. Con un Cyrano fuori secolo. E con un salvatore politicamente corretto di bambini in mare, Scarpati, un geppetto dilaniato dagli squali. 
Un “Brancaleone” alla buona, un po’ alla Bud Spenser e un po’ alla Sergio Leone (i baraccamenti nella campagna dell’Alto Lazio, tra i girasoli sfioriti, tra i noccioli), scalcagnato il giusto. Il maggior successo di pubblico, pare, per un film della emittente e pagamento. 
Si ride. I moschettieri sono vecchiotti, con 35 anni di contributi e qualche malanno, la regina pure non ne può più, e poi tutti sono stanchi di obbedire, a che cosa? Alla fine ce la faranno, contro venti e tempeste, e servizi segreti di SM britannica, da 001 a 007, che parlano cockney.
Giovanni Veronesi, Tutti per 1 – 1 per tutti, Sky Cinema

venerdì 25 dicembre 2020

Problemi di base del male - 613

spock

Omnia munda mundis (San Paolo?: tutto è puro per i puri? tutto è (im)mondo per i mondi?
 
La mela di Eva era il male – lesse male la mela?
 
Dal male non può nascere il bene: il frutto corrisponde al seme”, Seneca?
 
“Chi può pretendere di conoscere un dio” – Platone?
 
Un bambino è nato per noi?
 
“E Cristo? Un anarchico che ce l’ha fatta”, Malraux?
 
“La speranza è l’ultimo dei mali”, Cacciari?

spock@antiit.eu

Il libro è il mondo

“Io so bene che non è possibile leggere tutti i libri che compro. Però continuo a comprarne. Compro il tempo che non avrò”. La libridine trova una ragione. Che al librofago non interessa, ma è ragione valida.
“I libri aspettano. Ci aspettano. Intanto ci leggono”. Anche questo è vero.
E c’è “l’età dei libri”. Con una sorpresa: il libro è già internettiano. Leggere è comunque “un compito profondamente e inevitabilmente sociale. Leggendo, stiamo con gli altri lettori; creiamo una società”, Gardini dà un’altra dimensione della lettura, che si connotava per essere un atto individuale, solitario.
Finché si legge (si può ipotizzare, non è fantascienza, che non si legga più), “sappiamo che altri pensano e sentono”. Non necessariamente “come noi”, ma “sappiamo di non essere soli”, Gutemberg ha già riunito (creato) un mondo, prima di McLuhan. Una riflessione su fondo filosofico: “Non esiste solo l’io nell’io. Esiste in ciascuno un «noi». I libri stanno per tale «noi». Sono il nostro «interiore», che ci accompagnerà sempre”. Magari non ce ne accorgiamo, ma sono all’opera: “Comprare un libro è come dire al mondo: entra, sta’ con noi”.
Una serie di riflessioni di un saggista che è un gran lettore, e bibliofilo. Garbate. Eccetto che per il consiglio di non prestare un libro. No, il libro è anche condivisione, soprattutto condivisione. Con l’autore, col mondo, e quindi con gli amici.   
Nicola Gardini,
Il libro è quella cosa, Garzanti, pp. 109 € 4,90

giovedì 24 dicembre 2020

Ecobusiness

Calvino ne ha fatto il quadro nella favola di Leonia, una delle “Città invisibili” (§ “Le città continue. 1”): “La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche…. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti…. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi  d’una ricorrente impurità… Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città s’espande… Aggiungi che più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni…. Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premento immondezzai di altre città…”.
“Un bonus «idrico» fino a mille euro per chi sostituisce i rubinetti per limitare gli sprechi d’acqua”. A volte sembra di sognare, di quanta avidità l’ideologia ambientale può giustificare e assolvere, anzi premiare.
Si sono abbattute lungo le autostrade le barriere vegetali (oleandri e altri arbusti) per metteri muretti divisori, “perché così vuole la Ue”. Con grande impegno di denaro pubblico. Ora si abbattono i muretti per metterci le barriere vegetali, nel nome dell’ecologia. O non per fare appalti? Moltiplicando i rifiuti. Per usi non necessari, e anzi delittuosi.
A cinquant’anni dal loro lancio,
http://www.antiit.com/2017/01/il-business-ambiente.html
le politiche antinquinamento hanno moltiplicato l’inquinamento, moltiplicando per un coefficiente prossimo all’infinito i rifiuti. Per un business eccezionale, straordinario, dell’industria degli imballaggi - nonché del trattamento degli stessi rifiuti, nella economia cosiddetta circolare. E per la moltiplicazione degli autoveicoli, di numero e di volume: sono in circolazione quattro volte tanti autoveicoli che nel 1970, e di volumi mediamente doppi (siamo alla impraticabilità di buona parte della rete stradale extraurbana, due mezzi non possono incrociarsi) - con effetti minimi sulla sicurezza, e massimi per il consumo di materiali, plastiche e ferruginose, e di combustibili. 

Come rivivere in un film, due e tre volte

Una vecchia coppia ritorna agli anni Settanta, quando si sono conosciuti: un maniera per rivitalizzare il rapporto – per raccontare la terza età sfuggendo al lacrimevole. Usando i mezzi che lui, disegnatore, fumettista, rifiuta – non ha neanche il cellulare: le ricostruzioni storiche su ordinazione, roba da network, da serie che spopolano sui social.
Un’idea geniale. Di raccontare la terza età sfuggendo al lacrimevole. E di fare un film su come si fa il film, sulla sceneggiatura: la rappresentazione dal vivo - dal vero – di come si crea una storia e un film. Con un’attrice brillante dalle molte carature, Doria Tillier, che tiene il passo di Diinel Auteuil e Fanny Ardant.
Tillier, attrice già matura, s’illustra per tre o quattro pellicole, non viste in Italia – una con lo stesso Bedos. Qui è solo formidabile. Attrice di teatro dai pochi spettatori, che per vivere, e per l’amore non felice che la lega al produttore,  accetta i ruoli degli sceneggiati, telecomandata dallo stesso nevrotico produttore sullo storyboard  tramite auricolare, più spesso si ribella e recita a soggetto, sdoppiandosi, triplicandosi, quadruplicandosi, bionda, bruna, rossa, amante turbolenta, ragazza romantica, madre di famiglia, amica affettuosa. Una presenza ben fisica ma sfuggente, la sua sedia alla fine storia di ogni storia è sempre vuota, che invece risolve.
Un film apprezzato all’ultima Festa del Cinema a Roma da vivo, prima del virus. Che sembra un altro modo, ma era appena ieri.
Nicolas Bedos, La Belle Époque, Sky Cinema 2

mercoledì 23 dicembre 2020

Vero o falso

Il giudice sportivo Sandulli, già distintosi nel 2006 per avere coronato l’inchiesta tutta napoletana contro la Juventus scaraventandola in serie B, ha condannato in appello il Napoli, per Juventus-Napoli non giocata, con motivazione sbagliata per farsela bocciare da Collegio di garanzia del Coni? Non è un sospetto, è un fatto: Sandulli è un giurista figlio di giurista, che a Napoli è un vanto, il padre Ruggiero fu giudice di Cassazione, e giocatore del Napoli, conosce bene il diritto e sa come giocarselo.
 
Navalny sì è inventato la telefonata con l’agente di Putin che gli racconta, in dettaglio, per una interminabile ora al telefono, senza accertarsi dell’identità del suo interlocutore, come lo ha avvelenato? Questo è possibile ma improbabile: non ne aveva bisogno. Putin è uno che governa la Russia con buon credito e largo margine, ma come tutti gli uomini di potere, ancorché eletto, ama eliminare chiunque gli dia ombra. Sia pure solo un blogger. Senza necessità.
 
Mezzo tg e mezzo giornale tempestano da un mese o due con la crisi di governo. Che invece non ci può essere: i parlamentari uscenti sarebbero per due terzi abbondanti disoccupati. A fronte dei 17 mila euro lordi, al mese, rimborsi spese compresi, 12.500 netti (i rimborsi spese non si tassano…), per 14 mesi, che si sono assicurati ancora per due anni e mezzo. La politologia di questa Repubblica è semplice.  

Problemi di base di tecnologia cinese - 612

spock

Perché il computer costa meno ma non funziona?
 
Perché il telefono da tavolo Brondi, che funzionava così bene, lo abbiamo cambiato quattro volte in garanzia, e sempre funziona poco e male?
 
Quanto costa un telefono da tavolo a Brondi se per 50 euro ne dà quattro in garanzia?
 
Si crea valore in Cina o si distrugge valore – reddito, diritti, libertà, e anche merce?
 
Il mercato ha cancellato l’economia?
 
E l’etica?

spock@antiit.eu

Appalti, fisco, abusi (192)

Intesa si allaccia alla Cariplo che ha ingurgitato, la Cassa di rispasmio delle province lombarde, con la sezione Piccole e Medie Imprese. Con un obiettivo esagerato: farne crescere 200 mila in pochi anni. Ma la Cariplo di Gordano Dell’Amore probabilmete superò quella cifra, negli anni del boom, 1950-1960, e dopo. Niente è impossibile, volendo – sapendo – lavorare.
 
Il bancomat  “non è abilitato ai pagamenti online”, solo le carte prepagate. Non si sapeva, si scopre ora che la app IO che gestisce il cashback, il rimborso percentuale dei pagamenti effettuati con carta, di debito o di credito, non ne carica le transazioni. Cioè il metodo più diffuso e semplice di pagamento non in contanti.
Il cashback è uno strumento per combattere l’evasione fiscale e il riciclaggio oppure uno strumento di propaganda politica, a carico del fisco – come il reddito di cittadinanza nell’80-90 per cento dei casi?
 
Né il governo né la app IO hanno ritenuto di specificare, nei tanti comunicati, bollettini, forum, domande e risposte,  che il bancomat  non è abilitato al programma cashback. Anzi, IO lo ha caricato, e tuttora lo carica, diligente. Solo avvertendo, in piccolo, in altra sezione, che “c’è qualche problema”, e consigliando di “contattare la banca di emissione”. Cioè di perdere mezze ore e ore in coda ai numeri verdi e alle chat, o ai telefoni della filiale che non rispondono mai.
 
Banche e assicurazioni soprattutto, fra tutti i servizi, hano reso la vita difficile agli utenti col distanziamento e il lavoro a distanza. Non c’è mai nessuno a rispondere ai problemi, e nemmeno a fisare gli appuntamenti – se non per caso, qualche giorno. E scrivere email è come buttare il messaggio nella bottiglia a mare.

Morire dal ridere, con Eduardo

Un Castellitto strepitoso, che tira fuori Eduardo dalla napoletanità. Una lettura finalmente giusta di Eduardo, che ha scritto commedie e non proclami o saggetti. Sia pure commedie agre o acide, all’italiana. Di cui è l’inventore, insieme con i neo realisti al cinema, Rossellini, De Sica e i tanti altri. Nella stagione creativa del primo dopoguerra. Natale è fatale, ma dopo aver riso.
De Angelis e Castellitto hanno provato ciò che per un paio di generazioni almeno, e forse per loro stessi, nel loro intimo, è inosabile: sganciare le commedie di Eduardo da Eduardo, dalla sua fisicità, il suo porgere, garbato e drammatico. Eduardo non è più qui, da tempo (da molto tempo: a Roma negli ultimi anni veniva al Ridotto del teatro Eliseo, il pubblico non era molto). Mentre il suo teatro ha diritto alla ripresa.
C’è molta difficoltà a rappresentare Eduardo in Italia, se non in copia conforme – cosa non possibile. Si pretende un certificato di napoletanità, anche se non si sa che cosa sia. E di impegno sociale e politico – quello che una volta era “la tessera” (del Pci). Mentre le prime analisi delle sue commedie, anni 1940-1950, in Italia e a Londra, ne mettevano in luce la morale reazionaria: la tradizione, la famiglia, la paternità, il rispetto. E Eduardo era rappresentato all’estero già nel 1947, a Buenos Aires, e poi a Londra, qui con successo enorme, quindi tanto dialettale, o “napoletano”, non è.
La verità è che Eduardo no, ma la sua opera è sganciata, sganciabile, dal colorismo napoletano, e dalla sua stessa figura e parlata. Una stagione teatrale molto fertile degli anni 1940-1950, ligure, veneta, lombarda, si è persa perché ristretta al provincialismo. De Angelis e la Rai hanno provato a fare Eduardo fuori dai cliché e il risultato è ottimo: Eduardo è ancora rappresentabile – come già sapevano i londinesi sessanta-settant’anni fa, con Lawrence Olivier (e Zeffirelli!).    
Edoardo de Angelis, Natale in casa Cupiello, Rai 1

martedì 22 dicembre 2020

Secondi pensieri - 437

zeulig


Com-dividuo
– Si fa tesoro del mit- heideggeriano per ribaltare la base dell’esistenza. Che però era già quella, da quando si pensa (si scrive il pensiero): dell’identità irriducibilmente multipla, di individui e di geni (famiglie, società, tribù, poi nazionalità…). Dell’umanità una, certo, e indivisibile. Ma si vuole e sembra una scoperta, o meglio un progresso nella riflessione.
Nietzsche direbbe che com-dividuo non funziona, dividuo essendo qualcosa che (si) divide. Comunque, e pluribus unum è il rapporto. Di cui si può rovesciare l’ottica, se e quando privilegiare l’uno o i più,  ma non la dialettica, la relazione logica. Io non è  solo io, è anche noi. Le persone con cui vive, i luoghi che abita, o che anche non abita ma si figura e desidera/rigetta, gli oggetti che usa  o anche non usa - i vestiti come i libri, o le immagini. La vita è di relazione, anche la più solitaria. L’individuo nasce e si qualifica in comunità – famiglia, società, tribù. Connotandosi peraltro basilarmente di un valore sottostante e non personale, la libertà. Di giudizio e di azione.
Il meticciato è tornato all’onore politico, con Léopold Sédar Senghor e il Sartre del razzismo anti-razzista del 1948, “Orfeo nero”, come acquisizione. Acquisizione della cultura europea – le istituzioni e la conoscenza - da parte dell’africano. Che porta in dote il “senziente” piuttosto che il “conoscente”: la natura animata, il ballo – il ritmo -, il canto, la souplesse, di corpo e di spirito. Non c’è etnicismo valevole per l’Europa, il più piccolo dei continenti – peraltro non separato fisicamente dalla Grande Madre Asia, i “primati” sono roba politica, dell’Ottocento, anche se sono sopravvissuti fin alla seconda terribile guerra mondiale e alla decolonizzazione. Ma parliamo di storia, limitata – anche brillante, oltre che mertrière. La condizione umana non è masi stata di isolamento, in nessuna riflessione e in nessun modo di vivere.
La con-divisione non è una novità. Si vuole un’ideologia, ma allora è altra cosa: in nome di che partito, per quali fini?
 
Coscienza
– È, resta, il luogo del giudizio, anche oggi che ce n’è la nostalgia, dopo il ripudio, nel mezzo di una comunicazione vacua tanto quanto invasiva. Il deposito di tutte le informazioni possibili, ancorché solo potenziale. Di accesso libero, cioè, ancorché episodico. E plastica: frammentaria, evolutiva. Mai intera, o fissa. Curata: è selezionatrice, l’accesso non vi è libero. Ma ad ogni momento attendibile e inattendibile, neanche per se stessi: in evoluzione continua, dubita e fa dubitare nel mentre che rassicura..
È facile anche mutarla, basta un minimo cambio d’umore. Anche indotto, da una luce, un tepore, un contatto, un elisir.
 
Emblema
– Non è annotazione, promemoria, è la cosa in sé? Italo Calvino fa parlare in questo senso Marco Polo e il Gran Kan nelle “Città invisibili”, nel primo momento, quando Marco, inviato alla scoperta delle città, riferisce e racconta con emblemi, non conoscendo la lingua del Kan. Era una comunicazione confusa, ma “tutto quel che Marco mostrava aveva il potere degli emblemi, che una volta visti non si possono dimenticare né rimuovere”.
E il potere comunicativo delle cose, sia pure sotto forma di emblemi, è maggiore, più intenso, del linguaggio parlato? È quello che lo stesso Kan è potato a concludere quando Marco Polo comincia a saper parlare, ed è preciso, minuzioso. Ogni notizia, per quanto circostanziata, prende per l’imperatore la forma dell’oggetto o gesto con cui inizialmente era stata designata. Ma funziona come una trappola: “Il nuovo dato riceveva un senso da quell’emblema e insieme aggiungeva all’emblema un nuovo senso”. Al punto da trascinare l’imperatore a dubitare dell’impero e di sé – o almeno così Marco Polo-Calvino vuole fargli credere: “Forse l’impero, pensò Kublai, non è altro che uno zodiaco di fantasmi della mente. «Il giorno in cui conoscerò tutti gli emblemi», chiese a Marco, «riuscirò a possedere il mio impero, finalmente?» E il veneziano: «Sire, non lo credere: quel giorno sarai tu stesso emblema tra gli emblemi»”.
Un esercizio di divinazione (potere), non di logica, quello di Marco. La conoscenza è imperfetta ma non irrelata. L’emblema non è il sostituto della cosa. La cosa esiste anche prima di essere parlata, ma è il linguaggio che le dà un senso, oggi, domani, dopo.
 
Emozioni
– Una forma di conoscenza – “parte della coscienza” le dice Sartre, “La Psyché”, “le Erlebnisse, che si possono chiamare emozioni”. Intenzionale anche, voluta. Comunque non autonoma né eterodeterminata - da un evento, un accadimento, un oggetto, una qualsiasi pietra d’inciampo. Ma parte della coscienza – del proprio, si direbbe più a proposito, personale, apparato cognitivo.
L’emozione è sempre singolare, caratteriale. Condizionata da una situazione esterna, ma non determinata – si può ridere al funerale e piangere alla festa. Parte dell’ego. Costruito, anche se non voluto a comando. È nell’intimo e spontaneamente la stessa costruzione che si adopera nell’artificio della rappresentazione, quando l’attore deve fingerle: ci può arrivare con sussidi esterni, chimici, meccanici, ma meglio se per lui si cerano – o lui stesso si crea – le condizioni preliminari all’emozione.
 
Falso-vero
– “Ci sforzavamo di distinguere il vero dal falso e soprattutto di scoprire se non stavano dicendo il falso per far credere il vero, o il vero per far credere il falso. C’era il falso-vero e il vero-falso…”. Ricordando della guerra, la Grande Guerra, la lettura dei giornali “tra le righe” – “con la fronte aggrottata e lo sguardo marcio di malizia e diffidenza” – lo scrittore Simenon enuclea in  sintesi la sostanza della comunicazione: un processo selettivo.
Non c’è opinione vergine, l’opinione pubblica è un processo selettivo..
 
Memoria
– È ridondante – accrescitiva, fantasiosa, inventiva. Ma anche diminutiva – riduttiva, episodica, frammentaria. O distruttiva. Consigliera inattendibile.
 
È il luogo della colpa. Infettivo: se è parte – poiché lo è – della coscienza, questa diventa una sorta di luogo delle colpe, di deposito di ciò che non dovrebbe essere. Più a a lungo, con più costanza, e con più peso, delle realizzazioni, di ciò che dà soddisfazione o orgoglio.  
 
Morte assistita
– Si chiama la buona morte ma commercialmente: è un suicidio a pagamento. Invece che arruolare le prefiche, il morituro paga medici, infermieri (-re) e cliniche asettiche, ancorché sorde e grigie. In Svizzera perché vi si parlano quattro lingue. Anche l’inglese.
 
Ricerca –Il viaggio di scoperta, fisico o mentale, è di arricchimento e insieme di indebolimento.  Nel passato: “ Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più di avere”, nota Calvino raccontando Marco  Polo a caccia delle “Città Invisibili”. E “l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco in luoghi estranei e non posseduti”. E nel futuro, lo stesso per “i futuri non realizzati”: “I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi”.
Da qui il carattere demoniaco della ricerca. Certo non angelico, c’è sempre da perdere qualcosa, nel modo di essere, in carriera, nell’autostima.
È una scommessa. C’è chi si gioca la smorfia, e chi un’ipotesi, magari a lungo vagliata.

zeulig@antiit.eu


Il Sud non è demenziale

Concludendo la miniserie, Miniero dà una parvenza di già visto alla sua provocazione demenziale: il commissariato di Apulia, benché di svitati, in un paese dove non succede mai niente, non chiude, ha effettivamente qualcosa da fare – l’uso della cocaina, non si dice ma si sa, essendo ormai come il fumo, come il panino di mezzogiorno. Ma non persuade – è come se lui stesso sapesse che non funziona.
Questo “Cops”, dichiara Miniero, è modellato sul “Kops” svedese di Josef Fares, 2003, che invece è piaciuto molto ed è un film di culto. Gli svitati stralunati possono essere solo nordici, il Sud non ci azzecca? L’umorismo ha un linguaggio locale – culturale? Il Sud non ha humour – o non è tutto humour (è la sua debolezza-forza)?
Luca Miniero, Cops 2 – Una banda di poliziotti, Sky Cinema

lunedì 21 dicembre 2020

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (443)

Giuseppe Leuzzi
Il ministro della Sanità Speranza non ha reso noti gli esiti delle ispezioni da lui ordinate sui numeri della pandemia in Campania e in Sicilia. Gli esiti devono essere stati positivi (i numeri erano veritieri), altrimenti sarebbe stato reato, da perseguire penalmente. Il ministro lucano lo ha fatto per ingraziarsi i media, che dovevano spostare la colpa dal Nord al Sud? Non c’è altra spiegazione. 
 
“Vale di più un operaio, un magazziniere, un commesso, un imprenditore lombardo rispetto a un ministeriale romano. È un dato di fatto. Se si ammala un lombardo, economicamente, vale di più rispetto a un laziale”. È il sillogismo dell’onorevole Ciocca, parlamentare della Lega a Strasburgo.
Un commesso magari no – ci sono degli ottimi commessi alla Camera dei Deputati, alti, robusti, sapienti, efficienti, ma per il resto magari è vero. E quindi un lombardo, qualsiasi cosa faccia, vale più di un laziale. Ma l’onorevole non è solo sgradevole, è minaccioso – la Lega non cambia, in fondo è onesta.
 
In Italia si muove molto di coronavirus, viene raccontato, perché ci sono molti anziani. Ma non più della Germania, dove i morti sono la metà. La verità è che il sistema sanitario è incapace di affrontare la pandemia: è indebolito, non sa organizzarsi per le emergenze, ha perso anche competenze. Si muore di più – come numero di morti in rapporto ai ricoverati, e in rapporto a contagiati – nelle aree dove la sanità è stata riorganizzata al profitto: nella Padania. In Lombarda, Veneto, Emilia padana e Piemonte orientale. Ma questo non si può nemmeno dire.
 
Ora i media spostano l’attenzione su Natale e Capodanno, sui veglioni, le vigilie, le visite in famiglia. Ma dove si continua a morire? Soprattutto in Lombardia Veneto, Piemonte, Emilia. Il 64,6 per cento del totale dei quasi 70 mila decessi – 68.799 per l’esattezza fino a ieri.
 
L’eccellenza a Ottaviano
A Ottaviano, “vicino Napoli”, informano le cronache, una multinazionale campana, di nome Adler, leader mondiale nella componentistica automotive, fornitrice di Ferrrari, Porsche, Audi, Rolls-Royce, Agusta-Westland, Boeing, Bombardier, presente in 23 paesi con 70 stabilimenti, e 13 centri di ricerca, avvia col governo israeliano un osservatorio tecnologico multisettoriale, per aiutare gli imprenditori a creare nuovi modelli di business, e rileva la divisione Acoustics del gruppo STS, cinque stabilimenti, tre in Italia, uno in Brasile, uno in Polonia, etc. Fa l’attività normale di una multinazionale.
Adler non è la sola, a Ottaviano si fa impiantistica, informatica (Apple), agroalimentare, moda e arredamento, etc. – come a Pomezia, zona industriale decentrata di Roma, lo stesso, per Napoli, è Ottaviano. Ma se ne parla solo per avere dato i natali al camorrista Cutolo, e come “il paese in cui la vita di un uomo non vale nulla”. Una cronaca alla milanese, dei tanti Adler del Sud, sarebbe risolutiva, seppure in immaginazione.
 
Il benessere del malessere
Il “Sole 24 Ore”, in linea col governo giallorosso?, incorona ai primi posti della buona vita  l’Emilia, e per prima Bologna. Che Milena Gabanelli, che vi risiede dal 1974, descrive così sul “Corriere della sera”: “Da anni è diventata sporca, e ci sono strade infrequentabili per la quantità di’immondizia…È diventata anche avara. Vuole la fattura? Allora costa un po’ di più”.
Gabanelli ci resta perché il medico di base le ha fatto il vaccino antinfluenzale, e perché il sabato sera può “andare a ballare”. E a Crotone no – ultimo posto?
Quest’anno la classifica del “Sole 24 Ore” sulla qualità della vita nelle province è zavorrata dall’incidenza del virus, che ha colpito le aree più ricche. E indirettamente le ha colpite anche nella voce che più pesa nell’indice, l’andamento del pil, e in quella mediamente “pesante” intitolata “Demografia e società”, due indici che vedono ai primi posti le province meridionali. Con l’attività produttiva bloccata arretrano meno, o non arretrano, le economie a forte presenza pubblica dal lato reddito e di economia di sussistenza dal lato consumi. Ai primi posti spingendo così le province meridionali, Vibo Valentia in testa, dove il pil, di già povero, non arretra, o allora di scarti irrisori,1-0-2 per cento. Ciononostante, la classifica generale vede il Sud agli ultimi posti: le posizioni dall’86 al 107, le ultime, sono saldamente meridionali, da Cosenza a Crotone.
Saldamente settentrionali sono le classifiche settoriali, dei consumi, dei servizi. Eccetto la giustizia e sicurezza – chi l’avrebbe detto? - dove primeggia Oristano, con ottime posizioni di Campobasso e Agrigento. Le città dove si è meno sicuri sono, nell’ordine, Firenze, Milano e… Bologna.
Agli ultimi posti il Sud, comprese la civilissima Siracusa, la vulcanica Palermo, per offerta e consumi culturali – ma in compagnia di Trento e Varese.
La classifica non è un indice di come vanno le cose in Italia, è il quadro del dominio del Nord – di come il Nord si vede e vede il mondo. Sul web gira da un anno un titolo del “Corriere della sera” che sembra un falso: “Il divario fra Nord e Sud verrà colmato solo nel 2020”. È un titolo vero, del 13 settembre 1972, di un rapporto dell’economista Pasquale Saraceno, l’ultimo meridionalista, l’inventore della Cassa del Mezzogiorno. Ma lui non poteva sapere che di lì a poco, nemmeno vent’anni, “Milano” avrebbe sovvertito lo Stato di diritto, e lo Stato – nel mondo hobbesiano il leone prende tutto.

Il dialetto non sa essere provinciale
Nel filone letterario in voga delle mini-storie, della vita di provincia, l’uso del dialetto, che il settimanale “La Lettura” tratta in lungo nel numero dell’altro sabato,  non è più eccezionale, né sorprendente. Non come lo era stato in Gadda – in qualche misura anche in Pasolini. Piuttosto è parte del non-linguaggio, della koiné coatta - degli ahò, che cazzo! fanculo etc. – a vocabolario limitato.
È come se il dialetto fosse – dovesse essere – un segreto, un (piccolo) tesoro nascosto. Utilizzato in serie, non più ad arte, è come il romanesco al cinema, una non lingua. Probabilmente perché, di fatto, “in povincia non succede niente”, come argomenta e documenta sullo stesso settimanale il graphic novelist tefano Zattera. Oggi come al tempo de “I vitelloni”.
Il dialetto si sfianca fuori contesto. O anche se volto artificiosamente a pompare la vita di provincia in una dimensione drammatica, narrabile - a meno dei “Vitelloni”, una volta, una sola, eccezionale. Il dialetto non basta, se la provincia è la sola realtà – la provincia è morta, asfittica, e il dialetto cn essa. Un dialetto caratterizzante – vivo, drammatizzante – non sa essere provinciale, legato  un orizzonte basso, circoscritto.
 
Calabria
“Nel 2004 i tifosi del Verona”, a Crotone per la partita, è da supporre”, “lanciarono migliaia di banconote (fotocopiate) da 500 euro, urlando «Vi abbiamo portato i soldi!»”. Lo ricorda sul “Venerdì di Repubblica” Maurizio Forino, artista e scrittore di Crotone, premio “Città di Crotone”, con una nota di biasimo verso la città: “Quindici anni dopo non è cambiato niente”. Non nella Lega, a Crotone. Sempre ultima in graduatoria, la città più povera d’Italia.
Ci dev’essere qualcuno, nella ricca Italia, meno ricco degli altri. O: la povertà non può più essere dignitosa, non in Calabria.   
 
A propositio di Crotone – piove sul bagnato…- trambusto in rete  perché a Santa Severina, castello bizantino normanno e borgo storico, non più densamente popolato ma molto esteso, una ottantaseienne in crisi cardiaca è stata caricata sull’Ape del marito invece che sull’ambulanza per il traspoprto in ospedale. Foto e video a gogò, lazzi e ghigni, l’Italia si è mobilitata. Ma più la Calabria, probabilmente.
Ma non è stato un salvataggio, meritevole? Un colpo d’astuzia dei soccorritori, ambulanzieri e medico,  l’Ape essendo il solo mezzo veloce che passi per i vicoli.
 
Camilleri, che usa nella sua personale lingua molti termini comuni alle due rive, benché fosse di Agrigento, il posto in Sicilia più lontano, racconta in più episodi dello Stretto (Tindari, il ferry-boat, con gli arancini) e della Calabria, Gioia Tauro, Cosenza. È probabilmente l’unico scrittore siciliano che non salta a Roma e a Milano.
 
Ha il record in Italia, in rapporto alla popolazione, degli scomparsi, le persone di cui si è denunciata la scomparsa. Su base regionale (i dati disponibili sono di fine 2018) il fenomeno interessa in primo luogo la Sicilia: 26.635 denunce sul totale (1974-2018) di circa 228 mila. Seguivano il Lazio, con 8.023 casi, la Lombardia, 6.103, la Campania, 4.699, la Calabria, 4.659, e la Puglia, 4.080.
 
Morra come Rosy Bindi, dei parlamentari non calabresi si fanno eleggere in Calabria. Potendo contare su Grandi Elettori locali. Per poi sanzionare la Calabria come terra di mafia a capo della speciale Commissione parlamentare antimafia. Eccetto i loro Grandi Elettori locali, naturalmente esenti da connessioni dubbie e voti di scambio.
Il candidato ideale per la Regione Calabria? Un medico milanese prossimo alla pensione nato a Gioiosa Ionica. Ha curato la mamma di Berlusconi e questo basta. Magari è anche un’ottima persona.
 
Molti i parlamentari eletti in Calabria che non hanno alcun contatto con la Calabria, da Rosy Bindi a Salvini. Tutti eccetto Sgarbi, che perloemno si occupò di consigliare la pavimentazione ad alcuni Comuni, e ad altri la tinteggiatura delle facciate in piazza. E, forte del suo ascendente televisivo, fu ascoltato, a Gerace, Serra San Bruno, Mileto, Ardore.
 
È curiosa ed è unica in Italia questa preferenza degli elettori calabresi per parlamentari piovuti da lontano. Dai quali poi non hanno nulla, nemmeno un’interrogazione parlamentare. Mentre eleggere dei locali potrebbe incrementare il pil regionale di un paio di miloni l’anno, per le spese obbligate dei parlamentari stessi e dei loro familiari.
 
Mimmo Rotella, nato e cresciuto a Catanzaro, è celebrato dall’editore Skira e da Germano Celant con due ricchissimi volumi. Nei quali d Catznaaro c’è solo la data di nascita.
 
C’è al vertice della  regione Calabria un gay e un leghista diverso, Nino Zirlì. Che era semplice assessore alla Cultura, ma anche vicereggente della giunta, per la stima che gli portava Jole Santelli, la presidente eletta – “un’amica di oltre vent’anni, parte della mia famiglia”. Uno che ha girato tutto il centro-destra, da Berlusconi a Meloni e Salvini, ovunque responsabile della sezione Cultura – la famosa cultira di destra inafferrabile. Un politico, non c’è dubbio, e molto calabrese, volendosi eccessivo. Che altrove spopolerebbe, “un personaggio”, ma essendo calabrese si rappresenta nei media come un pazzo.

leuzzi@antiit.eu

Spia e gentiluomo

“In sé la pratica dell’inganno non è particolarmente faticosa; è una questione d’esperienza, di esperienza professionale, è una capacità che la maggior parte di noi può acquisire.  Ma mentre un imbroglione, un attore o un giocatore d’azzardo può rientrare dalla performance nei ranghi dei suoi ammiratori, l’agente segreto non ha questo sollievo”. Lo spione è prigioniero del suo ruolo: “Per lui l’inganno è anzitutto una questione di autodifesa. E deve proteggersi non solo dall’esterno, ma dall’interno”, da se stesso, “e contro gli impulsi più naturali”. Sono frasi del primo libro, subito di gran successo, di Le Carré nel 1963, che il suo amico Lane nell’epicedio sul “New Yorker” pone in apertura, come a dire “vita infelice di una spia”.
Il ricordo è però tutto in positivo. Di uno scrittore che fu una spia. E una spia forse fra le meno leali, poiché si celava sotto lo statuto di diplomatico (in Inghilterra il servizio segreto fa capo al Foreign Office, al ministero degli Esteri). Successore in Germania di George Blake, lo spione inglese cha faceva il doppio gioco per Mosca - dove ancora vive, centenario. Ma ne scrisse onestamente, quali che siano gli eventi reali cui possa avere preso parte personalmente. E soprattutto, nota il critico cinematografico della rivista newyorchese, che è anche uno specialista di Ian Fleming (e di Patrick Leigh Fermor), uno scrittore che regge agli anni. Non di genere, soprattutto se lo si compara, nello stesso genere, lo spionaggio, con Ian Fleming: uno scrittore e basta.
Ma fu un uomo anche, spia e tutto, di un’altra epoca. Lane cita da “The Pigeon Tunnel”, il libro di memorie di Le Carré non tradotto, la sua meraviglia, quando era giovane diplomatico a Bonn nei primi anni 1960: “Era un tempo, ci racconta, in cui vite pulite e produttive erano vissute, nello spirito del servizio pubblico, da tedeschi dal passato sporco, e quell’enigma – com’è possibile che si proceda e si prosperi, come nazione o come individui, quando per farlo ci vuole un atto così monumentale di dimenticanza? – chiaramente è rimasto incollato a Le Carré”.
Anthony Lane, John Le Carré missed nothing, “The New Yorker”, 14 dicembre 2020

domenica 20 dicembre 2020

Ombre - 542

Il tasso di mortalità nei venti paesi con più contagi da covid è in Italia molto più elevato che altrove. Si dice perché l’aspettativa di vita è più elevata – troppi vecchi - e l’ipotesi i media accreditano. Mentre non è vero – i tedeschi non vivono meno di noi, ma muoiono per la metà. Vero è che il sistema sanitario non era in condizioni di fronteggiare l’epidemia in primavera, e non ha rimediato durante l’estate. Non per incapacità ma perché è un sistema privato convenzionato. Investe cioè quanto basta per assicurarsi la rendita.
   
Non finisce di stupire la telenovela della Procura di Perugia attorno alla prova d’italiano del calciatore oriundo Suarez: rogatorie internazionali, intercettazioni, messaggi, decrittazioni. Come se fosse il primo oriundo italiano che vuole la cittadinanza (e il diritto di voto…), magari solo per avere la pensione sociale, senza sapere nulla dell’Italia. L’odio anti-juventino non basta. È capo della Procura il giudice Cantore amico di Renzi, che in quattro o cinque anni all’Autorità anti Corruzione non ha scovato, in Italia, un solo corrotto - stessa genia di fancazzisti?
 
Tesla vola  in Borsa ed entra nel panteon delle società più ricche, la sesta, dopo le cinque del digitale: Apple, Amazon, Microsoft, Alphabet-Google e Facebook. Delle quali ogni azione si scambia per migliaia di dollari. Mentre da Londra il Financial Times garantisce che tutto è in ordine, non si tratta di speculazione al rialzo. Per conto deel banche di affari? Che altro deve succedere, se le quotazioni non hanno più nessun rapporto con nessun indice?

Casalino l’ha fatta grossa, con le cantatine per Haftar sugli ostaggi di Mazara, siciliani e non, presi dai suoi corsari. Gli ostaggi non si sono fatti incantare, e per prima cosa hanno denunciato i maltrattamenti. Anche perché i siciliani conoscono bene la Libia.

Poi magari si scopre che Berlusconi dice la verità, e che gli ostaggi italiani sono stai liberati da Haftar perché glielo ha ordinato Putin. Nulla di più probabile, conoscendo la Libia. 

La Marina libica? Può la Libia avere una Marina, di gentiluomini e di codici? Avere la Libia come Quarta Sponda e non saperne niente: com’è possibile? In Italia sì.
 
Il sindaco di Fiumicino, Esterino Montino, invita le scuole nella letterina di Natale a cantare “senza riferimenti religiosi”. Protesta il. vescovo, poiché Natale è, bene o male, festa cristiana. Ma in questo modo: “Non si capisce, né si può condividere, la scelta degli amici del Comune”. Montino, ex compagno “migliorista” ora dem, è “amico” nella terminologia dem, cioè ex Dc.
  
La app IO per il cashback non funziona. Non registra alcune carte, non registra alcuni pagamenti, eccetera. Tutte cose che tutti sanno. Ma di esse non si dice: supplementi e libretti – pagati dal governo? - si susseguono a magnificare questa munifica invenzione per abbattere il riciclaggio e l’evasione fiscale. Che bisogno c’è, in effetti, del giornale?
 
Nell’esposto dell’ex sindaco di Roma Marino contro il gruppo Pics (pronto intervento centro storico) dei vigili urbani per attività di dossieraggio (spionaggio a fini scandalistici) a suo danno, si cita una telefonata tra i fratelli Marra, dirigenti comunali. Renato, allora dirigente della Municipale, dice a Raffaele, che sarà capo di gabinetto della sindaca Raggi: “Queste notizie sono state diffuse ad arte dal Pics, che controllava per il Pd gli spostamenti di Marino”. Il Pd faceva spiare dai vigili fannulloni il suo sindaco.
 
“Bastano recinti elettrificati, e un bel numero di cani”, e la protezione delle greggi dai lupi è assicurata. Lo garantisce Rosario Fico dopo che i lupi hanno fatto strage di pecore sulla via Cassia alla periferia di Roma  - Fico è uno che, assicura il “Corriere della sera-Roma”, “si occupa di lupi da quarant’anni”. Semplice, no? Che vogliono gli allevatori, il lupo dev’essere libero di sbranare.

L’animalismo è selettivo, c’è un animale più animale degli altri. Lo assicura lo stesso Fico: i lupi “non attaccano l’uomo! Semmai gli animali domestici, un cane, un gatto”.
 
Sebastian Coe chiede al “Corriere della sera” di fare – e Gaia Piccardi volenterosa gliela fa – un’intervista sullo stato dell’atletica. Per parlare di antidoping. Di Russia, Coleman, la troppo maschia Semenya. Ma non di Schwazer, il podista che Coe ha azzoppato con un falso antidoping. È un giornalismo senza curiosità? Forse il “Corriere della sera” è un giornale russo, non italiano? Forse Schwazer, nell’occasione, l’abbiamo retrocesso all’Austria?
 
“Un appalto medio dura 1.276 giorni. Le norme sulle gare (degli appalti pubblici, n.d.r.) sono cambiate 140 volte in quattro anni. E, prima del Codice degli appalti, 223 volte in nove anni”, Ferruccio De Bortoli, “L’Economia”.
 
“Il decreto Semplificazioni”, di settembre, “ha ancora bisogno di 64 decreti attuativi”, id.: “La paura della firma attanaglia i funzionari”.
 
Incredibile lista di politici “colpiti da provvedimenti giudiziari, stritolati nel tribunale mediatico e poi risultati innocenti”, contati da Battista sul “Corriere della sera” lunedì. Battista ne ha contati 29, tutti distrutti nella carriera e anche nella vita, qualcuno (Riva, il siderurgico) con danno grave all’economia.
 
Battista dimentica però che manettaro è soprattutto il suo giornale, di cui è stato vice-direttore. A partite dal famoso “avviso” a Berlusconi, inventato per menomarlo alla vigilia di un congresso mondiale a Napoli contro la criminalità. O, appena l’anno scorso, a favore di due drogati assassini,  e contro la loro vittima, il brigadiere dei Carabinieri Cerciello Rega. Ci sarà una Norimberga dei cronisti giudiziari?   
 
Pierpaolo Sileri, politico, chirurgo e accademico italiano, grillino, vice-ministro della Salute, va da Giletti su “La 7” e chiede le dimissioni del segretario generale del suo ministero. Non faceva prima a licenziarlo? O non gli interessa il funzionamento del ministero, solo apparire in tv?

Calvino cartesiano

Un Oscar non si sa se più prestigioso, con presentazioni e spiegazioni, una qui dello stesso Calvino, oppure spoiler, guastatore del piacere della lettura. La presentazione di Calvino, una lezione alla Columbia University di New York, spiega in dettaglio il suo modo di lavorare – per appunti occasionali e non per piani di accumulo – e la “costruzione” del libro, delle singole città invisibili, e poi degli accorpamenti. Dentro un quadro di comodo, i colloqui di Marco Polo col Gran Khan. Tutto freddo, come sarà la lettura.
La “costruzione” in realtà Calvino non la spiega. Un mazzo di 55 carte di città. Tagliate in 9 mazzetti, disposti in linea. Di 10 carte i due esterni, di 5 gli altri 7. Carte di 11segni: memoria, desiderio, segno, scambi, occhi, nome, morte, cielo, sottili, continue, nascoste. Ogni segno di 5 semi. Calvino ha costruito il mazzo per frammenti, lungo molti anni, che poi ha assemblato. Sotto forma di lettere di Marco Polo al presunto (errato) imperatore dei Tartari Kublai Khan, o in conversazioni con lui. Con una morale, insomma, una conclusione: la vita è un inferno.
Testi improbabili, le città invisibili sono inafferrabili. Non filosofici, non fantastici, non stilistici o filologici, ma che il lettore è presunto magnificare per la loro stranezza panglossianamente come i migliori dei testi possibili. E senza dimenticare Palazzeschi, di cui Calvino si professava devoto, nelle sue più caratterizzanti sfaccettature, dal futurismo al fantasy. Un Calvino, si direbbe, urbanista - il linguaggio è quello, da “Domus”, “Casabella”. Cerebrale. Troppo, cioè confuso. Se non è Paul Klee messo in pagina, come Calvino pretende in una delle lezioni americane propriamente dette - dove preende che i suoi racconti germogliano per caso, da una immagine.
Nella narrazione come nella critica Calvino si vuole nella lezione alla Columbia qui anteposta di regola cartesiana: leggerezza, chiarezza, necessità. Una necessità di maniera, in linea col proprio impianto. Anche, per quanto sofisticata, una sorta di regressione al linguaggio infantile, dei primi anni di linguistica, quando le parole sono belle, e si concatenano in frasi belle, non importa quanto relate al mondo – alle cose, ai fatti.
Un’oggettivizzazione estrema, anche se alleviata da emblemi – o appesantita dai discorsi sugli emblemi. Senza più funzione emotiva, anche se con compartecipazione dell’autore. Che si avverte profonda, al limite dell’insouciance, ma per questo in realtà di rifiuto, quasi ironico. Di rifiuto della parola. Ora: uno scrittore che rifiuta la parola, seppure per distacco o rifiuto programmatico, da “ora ti scandalizzo il borghese”? “Borghese” è da ridere, ma non molti anni fa era riferimento d’obbligo:  tutto ciò che l’autore non voleva essere, pur essendolo – c’è niente di più “borghese” di un “autore”?
Il racconto, il genere racconto, si radica nella “necessità”, in una certa consecutio, un certo ordine. Non per Calvino a un certo punto, che invece vuole lasciarlo aperto – forse in linea col nouveau roman d’oltralpe, benché questa esperienza non abbia adottata. C’è un racconto aperto? Se stimola la fantasia del lettore sì, su questa linea sembra muoversi questo “secondo” Calvino.
La lettura in parallelo di Simone de Beauvoir, dei suoi “Colloqui con Jean-Paul Sartre” nell’estate del 1974 a Roma, tutto fa scadere però, sotto l’apparenza della logica, nell’improbabile. “Raccontando si rivelava una necessità”, così Sartre spiega i suoi approcci letterari, “che era il concatenamento delle parole le une alle altre, che erano scelte per concatenarsi…E c’era anche, ma molto vagamente, l’idea che ci sono delle buone parole, delle parole che fanno bello concatenandosi le une alle altre, e che fanno dopo una bella frase”. Questo succedeva a Sartre bambino – “questo è durato fino ai dodici anni”.
Di Sartre è, negli stessi colloqui romani, quando passa a scrivere saggi, la regola “delle idee molto cartesiane: leggerezza, chiarezza, necessità”.  Di Calvino invece il progetto è in evidenza, esibito, in una disincarnazione eccessiva. Di un virtuosismo gelido: la narrazione diventa un calembour chilometrico, insopportabile. Non sorprendente né sapiente, insistito. Una tortura. Specie al confronto, per esempio, con Primo Levi, che ha saputo far parlare gli elementi.

Italo Calvino,
Le città invisibili, Sorrisi e Canzoni Tv + la Repubblica, pp. 165 € 9,90