Una
confidenza si era stabilita in via Garibaldi con la vicina di piano, abitare in
posti belli induce una sottile malinconia. Donna espansiva e di buona
conversazione, giovane, bionda, che di sé solo ha detto essere rumena. La
conoscenza è avvenuta dalla macellaia, il ritrovamento a volte da Giovanni. Una
stendhaliana amicizia amorosa, il titillamento del come potrebbe essere, acuito
dal suo essere rumena a Roma, quando il visto non era facile, per la sua aria
anche non equivoca, e l’occupazione improbabile, professore d’orchestra alla
Rai, dov’è chiamata Cavalla Ostrogota – ce ne sono, non amate: brave, costano
poco e non rompono. Acuito dall’essere che non è, e dal possibile che si vuole
escludere. Analizzando Dioniso dal sesso incerto, Bacone conclude che
“ogni affetto violento ha sesso incerto, ha insieme impeto virile e impotenza
femminile”. Non sempre – è Dioniso anche “L’amore è come l’edera” – ma l’amicizia amorosa è il motore
perpetuo del desiderio.
Giovedì
la rumena è scomparsa. È bizzarro che sia scomparsa in un giorno preciso, che
si dica o si sappia, chi fa quella vita non mette radici, e nessuno se ne
occupa. Quale vita? Il desiderio è forza non motivata. Né ci sono desideri
superflui o vani. È acuto il rimpianto, seppure senza oggetto. C’è un terribilismo
del desiderio nella vita, e anche nella morte. È una delle cose più reali che
ci siano. La felicità non richiede studio, viene come un dono, sia pure in
alcuni momenti avvelenato.
Era
Maria, la vicina scomparsa, la spia che si diceva nel quartiere? E di chi? Era
legata a un altro personaggio scomparso, secondo racconta il “Messaggero”, gentiluomo non raccomandabile, benché
titolare di società altisonanti, Eurocostruzioni, e all’Aeroporto dell’Urbe di
Aerocampi, società di noleggio aereo, con uffici in vicolo del Cinque. Un
imprenditore gangster, lo chiama il giornale. Li avrà uniti la musica, o il
denaro, o giusto il passaporto? Si condividono destini che non si scelgono.
È l’ultima missione dei
moschettieri del re, dopo la penultima un anno fa: i moschettieri sono stanchi,
hanno tutti i 35 anni di contributi, non ne possono più di obbedire, e anche la
regina non ne può più. Salveranno l’amore di una ragazzino e una ragazzina, che
la madre americana villana vorrebbe portarsi via in America – nessun riferimento
a persone o eventi realmente accaduti?
Il primo film del dopo (si
sperava) pandemia, girato a settembre e ottobre. Con Favino-D’Artagnan, Mastandrea-Athos
e Papaleo-Porthos. Manca Rubini-Aramis, sostituito da un lupo - che parla, con la
voce di Sergio Rubini. Con un Cyrano fuori secolo. E con un salvatore
politicamente corretto di bambini in mare, Scarpati, un geppetto dilaniato
dagli squali.
Un “Brancaleone” alla buona, un po’ alla Bud Spenser e un po’
alla Sergio Leone (i baraccamenti nella campagna dell’Alto Lazio, tra i girasoli
sfioriti, tra i noccioli), scalcagnato il giusto. Il maggior successo di pubblico, pare, per un film della emittente e pagamento.
Si ride. I moschettieri sono vecchiotti, con 35 anni di contributi e qualche malanno, la regina pure non
ne può più, e poi tutti sono stanchi di obbedire, a che cosa? Alla fine ce la
faranno, contro venti e tempeste, e servizi segreti di SM britannica, da 001 a 007,
che parlano cockney.
Giovanni Veronesi, Tutti per 1 – 1 per tutti, Sky Cinema
spock
Omnia munda mundis (San Paolo?: tutto è puro per i puri? tutto è (im)mondo per i
mondi?
La
mela di Eva era il male – lesse male la mela?
Dal
male non può nascere il bene: il frutto corrisponde al seme”, Seneca?
“Chi
può pretendere di conoscere un dio” – Platone?
Un bambino
è nato per noi?
“E Cristo?
Un anarchico che ce l’ha fatta”, Malraux?
“La
speranza è l’ultimo dei mali”, Cacciari?
spock@antiit.eu
“Io so bene che non è possibile
leggere tutti i libri che compro. Però continuo a comprarne. Compro il tempo
che non avrò”. La libridine trova una ragione. Che al librofago non interessa,
ma è ragione valida.
“I libri aspettano. Ci aspettano.
Intanto ci leggono”. Anche questo è vero.
E c’è “l’età dei libri”. Con una
sorpresa: il libro è già internettiano. Leggere è comunque “un compito profondamente
e inevitabilmente sociale. Leggendo, stiamo con gli altri lettori; creiamo una
società”, Gardini dà un’altra dimensione della lettura, che si connotava per
essere un atto individuale, solitario.
Finché si legge (si può
ipotizzare, non è fantascienza, che non si legga più), “sappiamo che altri
pensano e sentono”. Non necessariamente “come noi”, ma “sappiamo di non essere
soli”, Gutemberg ha già riunito (creato) un mondo, prima di McLuhan. Una
riflessione su fondo filosofico: “Non esiste solo l’io nell’io. Esiste in
ciascuno un «noi». I libri stanno per tale «noi». Sono il nostro «interiore»,
che ci accompagnerà sempre”. Magari non ce ne accorgiamo, ma sono all’opera:
“Comprare un libro è come dire al mondo: entra, sta’ con noi”.
Una serie di riflessioni di un saggista
che è un gran lettore, e bibliofilo. Garbate. Eccetto che per il consiglio di non prestare un libro. No, il libro è
anche condivisione, soprattutto condivisione. Con l’autore, col mondo, e quindi
con gli amici.
Nicola Gardini, Il libro è quella cosa, Garzanti, pp.
109 € 4,90
Calvino ne ha fatto il quadro nella favola di
Leonia, una delle “Città invisibili” (§ “Le città continue. 1”): “La città di
Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia
tra lenzuola fresche…. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di
plastica, i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio.
Non solo tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori,
materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti…. Tanto
che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il
godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da
sé, il mondarsi d’una ricorrente
impurità… Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo
chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città s’espande… Aggiungi che
più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura
migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e
combustioni…. Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo
sterminato immondezzaio non stessero premento immondezzai di altre città…”.
“Un bonus «idrico» fino a mille euro per chi
sostituisce i rubinetti per limitare gli sprechi d’acqua”. A volte sembra di
sognare, di quanta avidità l’ideologia ambientale può giustificare e assolvere,
anzi premiare.
Si sono abbattute lungo le autostrade le barriere
vegetali (oleandri e altri arbusti) per metteri muretti divisori, “perché così
vuole la Ue”. Con grande impegno di denaro pubblico. Ora si abbattono i muretti
per metterci le barriere vegetali, nel nome dell’ecologia. O non per fare
appalti? Moltiplicando i rifiuti. Per usi non necessari, e anzi delittuosi.
A cinquant’anni dal loro lancio,
http://www.antiit.com/2017/01/il-business-ambiente.html
le politiche antinquinamento hanno moltiplicato
l’inquinamento, moltiplicando per un coefficiente prossimo all’infinito i
rifiuti. Per un business eccezionale,
straordinario, dell’industria degli imballaggi - nonché del trattamento degli stessi rifiuti, nella economia cosiddetta circolare. E per la moltiplicazione degli autoveicoli, di numero e di volume: sono in circolazione quattro volte tanti
autoveicoli che nel 1970, e di volumi mediamente doppi (siamo alla
impraticabilità di buona parte della rete stradale extraurbana, due mezzi non
possono incrociarsi) - con effetti minimi sulla sicurezza, e massimi per il
consumo di materiali, plastiche e ferruginose, e di combustibili.
Una vecchia coppia ritorna agli
anni Settanta, quando si sono conosciuti: un maniera per rivitalizzare il rapporto
– per raccontare la terza età sfuggendo al lacrimevole. Usando i mezzi che lui,
disegnatore, fumettista, rifiuta – non ha neanche il cellulare: le
ricostruzioni storiche su ordinazione, roba da network, da serie che spopolano
sui social.
Un’idea geniale. Di raccontare la
terza età sfuggendo al lacrimevole. E di fare un film su come si fa il film, sulla
sceneggiatura: la rappresentazione dal vivo - dal vero – di come si crea una
storia e un film. Con un’attrice brillante dalle molte carature, Doria Tillier,
che tiene il passo di Diinel Auteuil e Fanny Ardant.
Tillier, attrice già matura, s’illustra
per tre o quattro pellicole, non viste in Italia – una con lo stesso Bedos. Qui
è solo formidabile. Attrice di teatro dai pochi spettatori, che per vivere, e
per l’amore non felice che la lega al produttore, accetta i ruoli degli sceneggiati,
telecomandata dallo stesso nevrotico produttore sullo storyboard tramite
auricolare, più spesso si ribella e recita a soggetto, sdoppiandosi,
triplicandosi, quadruplicandosi, bionda, bruna, rossa, amante turbolenta,
ragazza romantica, madre di famiglia, amica affettuosa. Una presenza ben fisica
ma sfuggente, la sua sedia alla fine storia di ogni storia è sempre vuota, che
invece risolve.
Un film apprezzato all’ultima
Festa del Cinema a Roma da vivo, prima del virus. Che sembra un altro modo, ma
era appena ieri.
Nicolas Bedos, La Belle Époque, Sky Cinema 2
Il
giudice sportivo Sandulli, già distintosi nel 2006 per avere coronato l’inchiesta
tutta napoletana contro la Juventus scaraventandola in serie B, ha condannato
in appello il Napoli, per Juventus-Napoli non giocata, con motivazione
sbagliata per farsela bocciare da Collegio di garanzia del Coni? Non è un
sospetto, è un fatto: Sandulli è un giurista figlio di giurista, che a Napoli è
un vanto, il padre Ruggiero fu giudice di Cassazione, e giocatore del Napoli,
conosce bene il diritto e sa come giocarselo.
Navalny
sì è inventato la telefonata con l’agente di Putin che gli racconta, in
dettaglio, per una interminabile ora al telefono, senza accertarsi dell’identità
del suo interlocutore, come lo ha avvelenato? Questo è possibile ma improbabile:
non ne aveva bisogno. Putin è uno che governa la Russia con buon credito e largo
margine, ma come tutti gli uomini di potere, ancorché eletto, ama eliminare
chiunque gli dia ombra. Sia pure solo un blogger. Senza necessità.
Mezzo
tg e mezzo giornale tempestano da un mese o due con la crisi di governo. Che
invece non ci può essere: i parlamentari uscenti sarebbero per due terzi abbondanti
disoccupati. A fronte dei 17 mila euro lordi, al mese, rimborsi spese compresi,
12.500 netti (i rimborsi spese non si tassano…), per 14 mesi, che si sono
assicurati ancora per due anni e mezzo. La politologia di questa Repubblica è
semplice.
spock
Perché
il computer costa meno ma non funziona?
Perché
il telefono da tavolo Brondi, che funzionava così bene, lo abbiamo cambiato quattro
volte in garanzia, e sempre funziona poco e male?
Quanto
costa un telefono da tavolo a Brondi se per 50 euro ne dà quattro in garanzia?
Si crea
valore in Cina o si distrugge valore – reddito, diritti, libertà, e anche merce?
Il
mercato ha cancellato l’economia?
E
l’etica?
spock@antiit.eu
Intesa si allaccia
alla Cariplo che ha ingurgitato, la Cassa di rispasmio delle province lombarde,
con la sezione Piccole e Medie Imprese. Con un obiettivo esagerato: farne
crescere 200 mila in pochi anni. Ma la Cariplo di Gordano Dell’Amore
probabilmete superò quella cifra, negli anni del boom, 1950-1960, e dopo.
Niente è impossibile, volendo – sapendo – lavorare.
Il bancomat “non è abilitato ai pagamenti online”, solo
le carte prepagate. Non si sapeva, si scopre ora che la app IO che gestisce il cashback, il rimborso percentuale dei
pagamenti effettuati con carta, di debito o di credito, non ne carica le
transazioni. Cioè il metodo più diffuso e semplice di pagamento non in contanti.
Il cashback è uno strumento per combattere
l’evasione fiscale e il riciclaggio oppure uno strumento di propaganda
politica, a carico del fisco – come il reddito di cittadinanza nell’80-90 per
cento dei casi?
Né il governo né la
app IO hanno ritenuto di specificare, nei tanti comunicati, bollettini, forum,
domande e risposte, che il bancomat non è abilitato al programma cashback. Anzi,
IO lo ha caricato, e tuttora lo carica, diligente. Solo avvertendo, in piccolo,
in altra sezione, che “c’è qualche problema”, e consigliando di “contattare la
banca di emissione”. Cioè di perdere mezze ore e ore in coda ai numeri verdi e
alle chat, o ai telefoni della filiale che non rispondono mai.
Banche e assicurazioni
soprattutto, fra tutti i servizi, hano reso la vita difficile agli utenti col
distanziamento e il lavoro a distanza. Non c’è mai nessuno a rispondere ai
problemi, e nemmeno a fisare gli appuntamenti – se non per caso, qualche giorno.
E scrivere email è come buttare il messaggio nella bottiglia a mare.
Un Castellitto strepitoso, che
tira fuori Eduardo dalla napoletanità. Una lettura finalmente giusta di
Eduardo, che ha scritto commedie e non proclami o saggetti. Sia pure commedie
agre o acide, all’italiana. Di cui è l’inventore, insieme con i neo realisti al
cinema, Rossellini, De Sica e i tanti altri. Nella stagione creativa del primo
dopoguerra. Natale è fatale, ma dopo aver riso.
De Angelis e Castellitto hanno provato ciò che per un paio di generazioni almeno, e forse per loro stessi, nel loro intimo, è inosabile: sganciare le commedie di Eduardo da Eduardo, dalla sua fisicità, il suo porgere, garbato e drammatico. Eduardo non è più qui, da tempo (da molto tempo: a Roma negli ultimi anni veniva al Ridotto del teatro Eliseo, il pubblico non era molto). Mentre il suo teatro ha diritto alla ripresa.
C’è molta difficoltà a
rappresentare Eduardo in Italia, se non in copia conforme – cosa non possibile.
Si pretende un certificato di napoletanità, anche se non si sa che cosa sia. E
di impegno sociale e politico – quello che una volta era “la tessera” (del
Pci). Mentre le prime analisi delle sue commedie, anni 1940-1950, in Italia e a
Londra, ne mettevano in luce la morale reazionaria: la tradizione, la famiglia,
la paternità, il rispetto. E Eduardo era rappresentato all’estero già nel 1947,
a Buenos Aires, e poi a Londra, qui con successo enorme, quindi tanto
dialettale, o “napoletano”, non è.
La verità è che Eduardo no, ma la
sua opera è sganciata, sganciabile, dal colorismo napoletano, e dalla sua
stessa figura e parlata. Una stagione teatrale molto fertile degli anni
1940-1950, ligure, veneta, lombarda, si è persa perché ristretta al
provincialismo. De Angelis e la Rai hanno provato a fare Eduardo fuori dai cliché e il risultato è ottimo: Eduardo
è ancora rappresentabile – come già sapevano i londinesi sessanta-settant’anni
fa, con Lawrence Olivier (e Zeffirelli!).
Edoardo de Angelis, Natale in casa Cupiello, Rai 1
zeulig
Com-dividuo – Si fa tesoro del mit- heideggeriano per ribaltare la base
dell’esistenza. Che però era già quella, da quando si pensa (si scrive il
pensiero): dell’identità irriducibilmente multipla, di individui e di geni (famiglie,
società, tribù, poi nazionalità…). Dell’umanità una, certo, e indivisibile. Ma
si vuole e sembra una scoperta, o meglio un progresso nella riflessione.
Nietzsche direbbe che com-dividuo non funziona, dividuo essendo qualcosa che (si) divide. Comunque, e pluribus unum è il rapporto. Di cui si
può rovesciare l’ottica, se e quando privilegiare l’uno o i più, ma non la dialettica, la relazione logica. Io non è solo io, è anche noi. Le persone con cui vive, i luoghi che abita, o che anche non abita ma si figura e desidera/rigetta, gli oggetti che usa o anche non usa - i vestiti come i libri, o le immagini. La vita è di relazione, anche la più solitaria. L’individuo nasce e si qualifica in comunità – famiglia, società, tribù.
Connotandosi peraltro basilarmente di un valore sottostante e non personale, la
libertà. Di giudizio e di azione.
Il meticciato è
tornato all’onore politico, con Léopold Sédar Senghor e il Sartre del razzismo
anti-razzista del 1948, “Orfeo nero”, come acquisizione. Acquisizione della cultura
europea – le istituzioni e la conoscenza - da parte dell’africano. Che porta in
dote il “senziente” piuttosto che il “conoscente”: la natura animata, il ballo
– il ritmo -, il canto, la souplesse,
di corpo e di spirito. Non c’è etnicismo valevole per l’Europa, il più piccolo
dei continenti – peraltro non separato fisicamente dalla Grande Madre Asia, i
“primati” sono roba politica, dell’Ottocento, anche se sono sopravvissuti fin
alla seconda terribile guerra mondiale e alla decolonizzazione. Ma parliamo di
storia, limitata – anche brillante, oltre che mertrière. La condizione umana non è masi stata di isolamento, in
nessuna riflessione e in nessun modo di vivere.
La con-divisione
non è una novità. Si vuole un’ideologia, ma allora è altra cosa: in nome di che
partito, per quali fini?
Coscienza – È, resta, il luogo del
giudizio, anche oggi che ce n’è la nostalgia, dopo il ripudio, nel mezzo di una
comunicazione vacua tanto quanto invasiva. Il deposito di tutte le informazioni possibili, ancorché solo potenziale. Di
accesso libero, cioè, ancorché episodico. E plastica: frammentaria, evolutiva.
Mai intera, o fissa. Curata: è selezionatrice, l’accesso non vi è libero. Ma ad
ogni momento attendibile e inattendibile, neanche per se stessi: in evoluzione
continua, dubita e fa dubitare nel mentre che rassicura..
È facile anche
mutarla, basta un minimo cambio d’umore. Anche indotto, da una luce, un tepore,
un contatto, un elisir.
Emblema – Non è annotazione,
promemoria, è la cosa in sé? Italo Calvino fa parlare in questo senso Marco
Polo e il Gran Kan nelle “Città invisibili”, nel primo momento, quando Marco,
inviato alla scoperta delle città, riferisce e racconta con emblemi, non
conoscendo la lingua del Kan. Era una comunicazione confusa, ma “tutto quel che
Marco mostrava aveva il potere degli emblemi, che una volta visti non si
possono dimenticare né rimuovere”.
E il potere comunicativo
delle cose, sia pure sotto forma di emblemi, è maggiore, più intenso, del
linguaggio parlato? È quello che lo stesso Kan è potato a concludere quando
Marco Polo comincia a saper parlare, ed è preciso, minuzioso. Ogni notizia, per
quanto circostanziata, prende per l’imperatore la forma dell’oggetto o gesto
con cui inizialmente era stata designata. Ma funziona come una trappola: “Il nuovo
dato riceveva un senso da quell’emblema e insieme aggiungeva all’emblema un
nuovo senso”. Al punto da trascinare l’imperatore a dubitare dell’impero e di
sé – o almeno così Marco Polo-Calvino vuole fargli credere: “Forse l’impero,
pensò Kublai, non è altro che uno zodiaco di fantasmi della mente. «Il giorno
in cui conoscerò tutti gli emblemi», chiese a Marco, «riuscirò a possedere il
mio impero, finalmente?» E il veneziano: «Sire, non lo credere: quel giorno
sarai tu stesso emblema tra gli emblemi»”.
Un esercizio di
divinazione (potere), non di logica, quello di Marco. La conoscenza è
imperfetta ma non irrelata. L’emblema non è il sostituto della cosa. La cosa
esiste anche prima di essere parlata, ma è il linguaggio che le dà un senso,
oggi, domani, dopo.
Emozioni – Una forma di conoscenza –
“parte della coscienza” le dice Sartre, “La Psyché”, “le Erlebnisse, che si possono chiamare emozioni”. Intenzionale anche,
voluta. Comunque non autonoma né eterodeterminata - da un evento, un accadimento,
un oggetto, una qualsiasi pietra d’inciampo. Ma parte della coscienza – del
proprio, si direbbe più a proposito, personale, apparato cognitivo.
L’emozione è sempre
singolare, caratteriale. Condizionata da una situazione esterna, ma non
determinata – si può ridere al funerale e piangere alla festa. Parte dell’ego.
Costruito, anche se non voluto a comando. È nell’intimo e spontaneamente la
stessa costruzione che si adopera nell’artificio della rappresentazione, quando
l’attore deve fingerle: ci può arrivare con sussidi esterni, chimici,
meccanici, ma meglio se per lui si cerano – o lui stesso si crea – le condizioni
preliminari all’emozione.
Falso-vero – “Ci sforzavamo di
distinguere il vero dal falso e soprattutto di scoprire se non stavano dicendo
il falso per far credere il vero, o il vero per far credere il falso. C’era il
falso-vero e il vero-falso…”. Ricordando della guerra, la Grande Guerra, la
lettura dei giornali “tra le righe” – “con la fronte aggrottata e lo sguardo
marcio di malizia e diffidenza” – lo scrittore Simenon enuclea in sintesi la sostanza della comunicazione: un
processo selettivo.
Non c’è opinione
vergine, l’opinione pubblica è un processo selettivo..
Memoria – È ridondante –
accrescitiva, fantasiosa, inventiva. Ma anche diminutiva – riduttiva, episodica,
frammentaria. O distruttiva. Consigliera inattendibile.
È il luogo della colpa. Infettivo: se è parte – poiché lo è – della
coscienza, questa diventa una sorta di luogo delle colpe, di deposito di ciò
che non dovrebbe essere. Più a a lungo, con più costanza, e con più peso, delle
realizzazioni, di ciò che dà soddisfazione o orgoglio.
Morte assistita – Si
chiama la buona morte ma commercialmente: è un suicidio a pagamento. Invece che
arruolare le prefiche, il morituro paga medici, infermieri (-re) e cliniche
asettiche, ancorché sorde e grigie. In Svizzera perché vi si parlano quattro
lingue. Anche l’inglese.
Ricerca –Il viaggio di scoperta,
fisico o mentale, è di arricchimento e insieme di indebolimento. Nel passato: “ Arrivando a ogni nuova città il
viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più di avere”, nota Calvino
raccontando Marco Polo a caccia delle
“Città Invisibili”. E “l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più
t’aspetta al varco in luoghi estranei e non posseduti”. E nel futuro, lo stesso
per “i futuri non realizzati”: “I futuri non realizzati sono solo rami del
passato: rami secchi”.
Da qui il carattere demoniaco della ricerca. Certo non angelico, c’è
sempre da perdere qualcosa, nel modo di essere, in carriera, nell’autostima.
È una scommessa. C’è chi si gioca la smorfia, e chi un’ipotesi,
magari a lungo vagliata.
zeulig@antiit.eu
Concludendo la miniserie, Miniero
dà una parvenza di già visto alla sua provocazione demenziale: il commissariato
di Apulia, benché di svitati, in un paese dove non succede mai niente, non
chiude, ha effettivamente qualcosa da fare – l’uso della cocaina, non si dice
ma si sa, essendo ormai come il fumo, come il panino di mezzogiorno. Ma non
persuade – è come se lui stesso sapesse che non funziona.
Questo “Cops”, dichiara Miniero,
è modellato sul “Kops” svedese di Josef Fares, 2003, che invece è piaciuto
molto ed è un film di culto. Gli svitati stralunati possono essere solo nordici,
il Sud non ci azzecca? L’umorismo ha un linguaggio locale – culturale? Il Sud
non ha humour – o non è tutto humour (è la sua debolezza-forza)?
Luca Miniero, Cops 2 – Una banda di poliziotti, Sky
Cinema
Giuseppe Leuzzi
Il ministro della
Sanità Speranza non ha reso noti gli esiti delle ispezioni da lui ordinate sui
numeri della pandemia in Campania e in Sicilia. Gli esiti devono essere stati
positivi (i numeri erano veritieri), altrimenti sarebbe stato reato, da perseguire
penalmente. Il ministro lucano lo ha fatto per ingraziarsi i media, che
dovevano spostare la colpa dal Nord al Sud? Non c’è altra spiegazione.
“Vale di più un
operaio, un magazziniere, un commesso, un imprenditore lombardo rispetto a un
ministeriale romano. È un dato di fatto. Se si ammala un lombardo,
economicamente, vale di più rispetto a un laziale”. È il sillogismo dell’onorevole
Ciocca, parlamentare della Lega a Strasburgo.
Un commesso
magari no – ci sono degli ottimi commessi alla Camera dei Deputati, alti,
robusti, sapienti, efficienti, ma per il resto magari è vero. E quindi un lombardo,
qualsiasi cosa faccia, vale più di un laziale. Ma l’onorevole non è solo sgradevole,
è minaccioso – la Lega non cambia, in fondo è onesta.
In Italia si
muove molto di coronavirus, viene raccontato, perché ci sono molti anziani. Ma
non più della Germania, dove i morti sono la metà. La verità è che il sistema
sanitario è incapace di affrontare la pandemia: è indebolito, non sa organizzarsi per le emergenze, ha perso anche competenze. Si muore di più –
come numero di morti in rapporto ai ricoverati, e in rapporto a contagiati –
nelle aree dove la sanità è stata riorganizzata al profitto: nella Padania. In
Lombarda, Veneto, Emilia padana e Piemonte orientale. Ma questo non si può
nemmeno dire.
Ora i media
spostano l’attenzione su Natale e Capodanno, sui veglioni, le vigilie, le visite
in famiglia. Ma dove si continua a morire? Soprattutto in Lombardia Veneto,
Piemonte, Emilia. Il 64,6 per cento del totale dei quasi 70 mila decessi –
68.799 per l’esattezza fino a ieri.
L’eccellenza a Ottaviano
A Ottaviano,
“vicino Napoli”, informano le cronache, una multinazionale campana, di nome
Adler, leader mondiale nella componentistica automotive, fornitrice di Ferrrari, Porsche, Audi, Rolls-Royce,
Agusta-Westland, Boeing, Bombardier, presente in 23 paesi con 70 stabilimenti,
e 13 centri di ricerca, avvia col governo israeliano un osservatorio
tecnologico multisettoriale, per aiutare gli imprenditori a creare nuovi modelli
di business, e rileva la divisione Acoustics del gruppo STS, cinque
stabilimenti, tre in Italia, uno in Brasile, uno in Polonia, etc. Fa l’attività
normale di una multinazionale.
Adler non è la
sola, a Ottaviano si fa impiantistica, informatica (Apple), agroalimentare,
moda e arredamento, etc. – come a Pomezia, zona industriale decentrata di Roma,
lo stesso, per Napoli, è Ottaviano. Ma se ne parla solo per avere dato i natali
al camorrista Cutolo, e come “il paese in cui la vita di un uomo non vale nulla”.
Una cronaca alla milanese, dei tanti Adler del Sud, sarebbe risolutiva, seppure
in immaginazione.
Il benessere del malessere
Il “Sole 24
Ore”, in linea col governo giallorosso?, incorona ai primi posti della buona
vita l’Emilia, e per prima Bologna. Che
Milena Gabanelli, che vi risiede dal 1974, descrive così sul “Corriere della
sera”: “Da anni è diventata sporca, e ci sono strade infrequentabili per la
quantità di’immondizia…È diventata anche avara. Vuole la fattura? Allora costa
un po’ di più”.
Gabanelli ci
resta perché il medico di base le ha fatto il vaccino antinfluenzale, e perché
il sabato sera può “andare a ballare”. E a Crotone no – ultimo posto?
Quest’anno la
classifica del “Sole 24 Ore” sulla qualità della vita nelle province è zavorrata
dall’incidenza del virus, che ha colpito le aree più ricche. E indirettamente
le ha colpite anche nella voce che più pesa nell’indice, l’andamento del pil, e
in quella mediamente “pesante” intitolata “Demografia e società”, due indici
che vedono ai primi posti le province meridionali. Con l’attività produttiva bloccata
arretrano meno, o non arretrano, le economie a forte presenza pubblica dal lato
reddito e di economia di sussistenza dal lato consumi. Ai primi posti spingendo
così le province meridionali, Vibo Valentia in testa, dove il pil, di già
povero, non arretra, o allora di scarti irrisori,1-0-2 per cento. Ciononostante,
la classifica generale vede il Sud agli ultimi posti: le posizioni dall’86 al
107, le ultime, sono saldamente meridionali, da Cosenza a Crotone.
Saldamente settentrionali
sono le classifiche settoriali, dei consumi, dei servizi. Eccetto la giustizia e
sicurezza – chi l’avrebbe detto? - dove primeggia Oristano, con ottime posizioni
di Campobasso e Agrigento. Le città dove si è meno sicuri sono, nell’ordine,
Firenze, Milano e… Bologna.
Agli ultimi
posti il Sud, comprese la civilissima Siracusa, la vulcanica Palermo, per
offerta e consumi culturali – ma in compagnia di Trento e Varese.
La classifica
non è un indice di come vanno le cose in Italia, è il quadro del dominio del
Nord – di come il Nord si vede e vede il mondo. Sul web gira da un anno un titolo del “Corriere della
sera” che sembra un falso: “Il divario fra Nord e Sud verrà colmato solo nel
2020”. È un titolo vero, del 13 settembre 1972, di un rapporto dell’economista
Pasquale Saraceno, l’ultimo meridionalista, l’inventore della Cassa del
Mezzogiorno. Ma lui non poteva sapere che di lì a poco, nemmeno vent’anni, “Milano”
avrebbe sovvertito lo Stato di diritto, e lo Stato – nel mondo hobbesiano il
leone prende tutto.
Il dialetto non sa essere provinciale
Nel filone
letterario in voga delle mini-storie, della vita di provincia, l’uso del
dialetto, che il settimanale “La Lettura” tratta in lungo nel numero dell’altro
sabato, non è più eccezionale, né
sorprendente. Non come lo era stato in Gadda – in qualche misura anche in Pasolini.
Piuttosto è parte del non-linguaggio, della koiné
coatta - degli ahò, che cazzo! fanculo etc. – a vocabolario limitato.
È come se il
dialetto fosse – dovesse essere – un segreto, un (piccolo) tesoro nascosto. Utilizzato
in serie, non più ad arte, è come il romanesco al cinema, una non lingua. Probabilmente
perché, di fatto, “in povincia non succede niente”, come argomenta e documenta
sullo stesso settimanale il graphic novelist
tefano Zattera. Oggi come al tempo de “I vitelloni”.
Il dialetto si sfianca
fuori contesto. O anche se volto artificiosamente a pompare la vita di
provincia in una dimensione drammatica, narrabile - a meno dei “Vitelloni”, una volta, una sola, eccezionale. Il
dialetto non basta, se la provincia è la sola realtà – la provincia è morta, asfittica,
e il dialetto cn essa. Un dialetto caratterizzante – vivo, drammatizzante – non
sa essere provinciale, legato un orizzonte
basso, circoscritto.
Calabria
“Nel
2004 i tifosi del Verona”, a Crotone per la partita, è da supporre”,
“lanciarono migliaia di banconote (fotocopiate) da 500 euro, urlando «Vi
abbiamo portato i soldi!»”. Lo ricorda sul “Venerdì di Repubblica” Maurizio
Forino, artista e scrittore di Crotone, premio “Città di Crotone”, con una nota
di biasimo verso la città: “Quindici anni dopo non è cambiato niente”. Non
nella Lega, a Crotone. Sempre ultima in graduatoria, la città più povera
d’Italia.
Ci
dev’essere qualcuno, nella ricca Italia, meno ricco degli altri. O: la povertà
non può più essere dignitosa, non in Calabria.
A
propositio di Crotone – piove sul bagnato…- trambusto in rete perché a Santa Severina, castello bizantino
normanno e borgo storico, non più densamente popolato ma molto esteso, una
ottantaseienne in crisi cardiaca è stata caricata sull’Ape del marito invece che
sull’ambulanza per il traspoprto in ospedale. Foto e video a gogò, lazzi e
ghigni, l’Italia si è mobilitata. Ma più la Calabria, probabilmente.
Ma
non è stato un salvataggio, meritevole? Un colpo d’astuzia dei soccorritori,
ambulanzieri e medico, l’Ape essendo il
solo mezzo veloce che passi per i vicoli.
Camilleri,
che usa nella sua personale lingua molti termini comuni alle due rive, benché fosse
di Agrigento, il posto in Sicilia più lontano, racconta in più episodi dello Stretto
(Tindari, il ferry-boat, con gli arancini) e della Calabria, Gioia Tauro,
Cosenza. È probabilmente l’unico scrittore siciliano che non salta a Roma e a
Milano.
Ha
il record in Italia, in rapporto alla popolazione, degli scomparsi, le persone
di cui si è denunciata la scomparsa. Su base regionale (i dati disponibili sono
di fine 2018) il fenomeno interessa in primo luogo la Sicilia: 26.635 denunce sul
totale (1974-2018) di circa 228 mila. Seguivano il Lazio, con 8.023 casi, la
Lombardia, 6.103, la Campania, 4.699, la Calabria, 4.659, e la Puglia, 4.080.
Morra
come Rosy Bindi, dei parlamentari non calabresi si fanno eleggere in Calabria.
Potendo contare su Grandi Elettori locali. Per poi sanzionare la Calabria come
terra di mafia a capo della speciale Commissione parlamentare antimafia. Eccetto
i loro Grandi Elettori locali, naturalmente esenti da connessioni dubbie e voti
di scambio.
Il
candidato ideale per la Regione Calabria? Un medico milanese prossimo alla
pensione nato a Gioiosa Ionica. Ha curato la mamma di Berlusconi e questo basta.
Magari è anche un’ottima persona.
Molti
i parlamentari eletti in Calabria che non hanno alcun contatto con la Calabria,
da Rosy Bindi a Salvini. Tutti eccetto Sgarbi, che perloemno si occupò di
consigliare la pavimentazione ad alcuni Comuni, e ad altri la tinteggiatura
delle facciate in piazza. E, forte del suo ascendente televisivo, fu ascoltato,
a Gerace, Serra San Bruno, Mileto, Ardore.
È
curiosa ed è unica in Italia questa preferenza degli elettori calabresi per parlamentari
piovuti da lontano. Dai quali poi non hanno nulla, nemmeno un’interrogazione
parlamentare. Mentre eleggere dei locali potrebbe incrementare il pil regionale
di un paio di miloni l’anno, per le spese obbligate dei parlamentari stessi e
dei loro familiari.
Mimmo Rotella,
nato e cresciuto a Catanzaro, è celebrato dall’editore Skira e da Germano
Celant con due ricchissimi volumi. Nei quali d Catznaaro c’è solo la data di nascita.
C’è
al vertice della regione Calabria un gay
e un leghista diverso, Nino Zirlì. Che era semplice assessore alla Cultura, ma anche
vicereggente della giunta, per la stima che gli portava Jole Santelli, la presidente
eletta – “un’amica di oltre vent’anni, parte della mia famiglia”. Uno che ha
girato tutto il centro-destra, da Berlusconi a Meloni e Salvini, ovunque responsabile
della sezione Cultura – la famosa cultira di destra inafferrabile. Un politico,
non c’è dubbio, e molto calabrese, volendosi eccessivo. Che altrove
spopolerebbe, “un personaggio”, ma essendo calabrese si rappresenta nei media
come un pazzo.
leuzzi@antiit.eu
“In sé la pratica dell’inganno
non è particolarmente faticosa; è una questione d’esperienza, di esperienza
professionale, è una capacità che la maggior parte di noi può acquisire. Ma mentre un imbroglione, un attore o un
giocatore d’azzardo può rientrare dalla performance
nei ranghi dei suoi ammiratori, l’agente segreto non ha questo sollievo”. Lo
spione è prigioniero del suo ruolo: “Per lui l’inganno è anzitutto una
questione di autodifesa. E deve proteggersi non solo dall’esterno, ma dall’interno”,
da se stesso, “e contro gli impulsi più naturali”. Sono frasi del primo libro,
subito di gran successo, di Le Carré nel 1963, che il suo amico Lane nell’epicedio
sul “New Yorker” pone in apertura, come a dire “vita infelice di una spia”.
Il ricordo è però tutto in
positivo. Di uno scrittore che fu una spia. E una spia forse fra le meno leali,
poiché si celava sotto lo statuto di diplomatico (in Inghilterra il servizio segreto fa capo al Foreign Office, al ministero degli Esteri). Successore in Germania di George Blake, lo spione inglese cha faceva il doppio gioco per Mosca - dove ancora vive, centenario. Ma ne scrisse onestamente, quali che siano gli eventi reali cui possa avere preso parte personalmente. E
soprattutto, nota il critico cinematografico della rivista newyorchese, che è anche
uno specialista di Ian Fleming (e di Patrick Leigh Fermor), uno scrittore che
regge agli anni. Non di genere, soprattutto se lo si compara, nello stesso genere,
lo spionaggio, con Ian Fleming: uno scrittore e basta.
Ma fu un uomo anche, spia e
tutto, di un’altra epoca. Lane cita da “The Pigeon Tunnel”, il libro di memorie
di Le Carré non tradotto, la sua meraviglia, quando era giovane diplomatico a
Bonn nei primi anni 1960: “Era un tempo, ci racconta, in cui vite pulite e
produttive erano vissute, nello spirito del servizio pubblico, da tedeschi dal
passato sporco, e quell’enigma – com’è possibile che si proceda e si
prosperi, come nazione o come individui, quando per farlo ci vuole un atto così
monumentale di dimenticanza? – chiaramente è rimasto incollato a Le Carré”.
Anthony Lane, John Le Carré missed nothing, “The New
Yorker”, 14 dicembre 2020
Il
tasso di mortalità nei venti paesi con più contagi da covid è in Italia molto più elevato che altrove. Si dice perché l’aspettativa di vita è
più elevata – troppi vecchi - e l’ipotesi i media accreditano. Mentre
non è vero – i tedeschi non vivono meno di noi, ma muoiono per la metà. Vero è
che il sistema sanitario non era in condizioni di fronteggiare l’epidemia in
primavera, e non ha rimediato durante l’estate. Non per incapacità ma perché è un
sistema privato convenzionato. Investe cioè quanto basta per assicurarsi la
rendita.
Non
finisce di stupire la telenovela della Procura di Perugia attorno alla prova d’italiano
del calciatore oriundo Suarez: rogatorie internazionali, intercettazioni, messaggi,
decrittazioni. Come se fosse il primo oriundo italiano che vuole la
cittadinanza (e il diritto di voto…), magari solo per avere la pensione sociale,
senza sapere nulla dell’Italia. L’odio anti-juventino non basta. È capo della
Procura il giudice Cantore amico di Renzi, che in quattro o cinque anni all’Autorità
anti Corruzione non ha scovato, in Italia, un solo corrotto - stessa genia di
fancazzisti?
Tesla vola in Borsa ed entra nel panteon delle società più ricche, la sesta, dopo le cinque del digitale: Apple, Amazon, Microsoft, Alphabet-Google e Facebook. Delle quali ogni azione si scambia per migliaia di dollari. Mentre da Londra il Financial Times garantisce che tutto è in ordine, non si tratta di speculazione al rialzo. Per conto deel banche di affari? Che altro deve succedere, se le quotazioni non hanno più nessun rapporto con nessun indice?
Casalino
l’ha fatta grossa, con le cantatine per Haftar sugli ostaggi di Mazara, siciliani
e non, presi dai suoi corsari. Gli ostaggi non si sono fatti incantare, e per
prima cosa hanno denunciato i maltrattamenti. Anche perché i siciliani conoscono
bene la Libia.
Poi magari si scopre che Berlusconi dice la verità, e che gli ostaggi italiani sono stai liberati da Haftar perché glielo ha ordinato Putin. Nulla di più probabile, conoscendo la Libia.
La
Marina libica? Può la Libia avere una Marina, di gentiluomini e di codici? Avere
la Libia come Quarta Sponda e non saperne niente: com’è possibile? In Italia
sì.
Il
sindaco di Fiumicino, Esterino Montino, invita le scuole nella letterina di
Natale a cantare “senza riferimenti religiosi”. Protesta il. vescovo, poiché
Natale è, bene o male, festa cristiana. Ma in questo modo: “Non si capisce, né
si può condividere, la scelta degli amici del Comune”. Montino, ex compagno
“migliorista” ora dem, è “amico” nella terminologia dem, cioè ex Dc.
La
app IO per il cashback non funziona. Non
registra alcune carte, non registra alcuni pagamenti, eccetera. Tutte cose che
tutti sanno. Ma di esse non si dice: supplementi e libretti – pagati dal
governo? - si susseguono a magnificare questa munifica invenzione per abbattere
il riciclaggio e l’evasione fiscale. Che bisogno c’è, in effetti, del giornale?
Nell’esposto
dell’ex sindaco di Roma Marino contro il gruppo Pics (pronto intervento centro
storico) dei vigili urbani per attività di dossieraggio (spionaggio a fini
scandalistici) a suo danno, si cita una telefonata tra i fratelli Marra,
dirigenti comunali. Renato, allora dirigente della Municipale, dice a
Raffaele, che sarà capo di gabinetto della sindaca Raggi: “Queste notizie sono
state diffuse ad arte dal Pics, che controllava per il Pd gli spostamenti di
Marino”. Il Pd faceva spiare dai vigili fannulloni il suo sindaco.
“Bastano
recinti elettrificati, e un bel numero di cani”, e la protezione delle greggi
dai lupi è assicurata. Lo garantisce Rosario Fico dopo che i lupi hanno fatto
strage di pecore sulla via Cassia alla periferia di Roma - Fico è uno che, assicura il “Corriere della
sera-Roma”, “si occupa di lupi da quarant’anni”. Semplice, no? Che vogliono gli
allevatori, il lupo dev’essere libero di sbranare.
L’animalismo
è selettivo, c’è un animale più animale degli altri. Lo assicura lo stesso Fico:
i lupi “non attaccano l’uomo! Semmai gli animali domestici, un cane, un gatto”.
Sebastian
Coe chiede al “Corriere della sera” di fare – e Gaia Piccardi volenterosa
gliela fa – un’intervista sullo stato dell’atletica. Per parlare di antidoping.
Di Russia, Coleman, la troppo maschia Semenya. Ma non di Schwazer, il podista
che Coe ha azzoppato con un falso antidoping. È un giornalismo senza curiosità?
Forse il “Corriere della sera” è un giornale russo, non italiano? Forse
Schwazer, nell’occasione, l’abbiamo retrocesso all’Austria?
“Un
appalto medio dura 1.276 giorni. Le norme sulle gare (degli appalti pubblici,
n.d.r.) sono cambiate 140 volte in quattro anni. E, prima del Codice degli appalti,
223 volte in nove anni”, Ferruccio De Bortoli, “L’Economia”.
“Il
decreto Semplificazioni”, di settembre, “ha ancora bisogno di 64 decreti
attuativi”, id.: “La paura della firma attanaglia i funzionari”.
Incredibile
lista di politici “colpiti da provvedimenti giudiziari, stritolati nel tribunale
mediatico e poi risultati innocenti”, contati da Battista sul “Corriere della sera”
lunedì. Battista ne ha contati 29, tutti distrutti nella carriera e anche nella
vita, qualcuno (Riva, il siderurgico) con danno grave all’economia.
Battista
dimentica però che manettaro è soprattutto il suo giornale, di cui è stato vice-direttore. A partite dal famoso “avviso” a Berlusconi, inventato per menomarlo alla
vigilia di un congresso mondiale a Napoli contro la criminalità. O, appena
l’anno scorso, a favore di due drogati assassini, e contro la loro vittima, il brigadiere dei
Carabinieri Cerciello Rega. Ci sarà una Norimberga dei cronisti giudiziari?
Pierpaolo
Sileri, politico, chirurgo e accademico italiano, grillino, vice-ministro della
Salute, va da Giletti su “La 7” e chiede le dimissioni del segretario generale
del suo ministero. Non faceva prima a licenziarlo? O non gli interessa il funzionamento
del ministero, solo apparire in tv?
Un Oscar non si sa se più
prestigioso, con presentazioni e spiegazioni, una qui dello stesso Calvino,
oppure spoiler, guastatore del
piacere della lettura. La presentazione di Calvino, una lezione alla Columbia
University di New York, spiega in dettaglio il suo modo di lavorare – per
appunti occasionali e non per piani di accumulo – e la “costruzione” del libro, delle
singole città invisibili, e poi degli accorpamenti. Dentro un quadro di comodo, i colloqui
di Marco Polo col Gran Khan. Tutto freddo, come sarà la lettura.
La “costruzione” in realtà
Calvino non la spiega. Un mazzo di 55 carte di città. Tagliate in 9 mazzetti,
disposti in linea. Di 10 carte i due esterni, di 5 gli altri 7. Carte di 11segni:
memoria, desiderio, segno, scambi, occhi, nome, morte, cielo, sottili, continue,
nascoste. Ogni segno di 5 semi. Calvino ha costruito il mazzo per frammenti,
lungo molti anni, che poi ha assemblato. Sotto forma di lettere di Marco Polo
al presunto (errato) imperatore dei Tartari Kublai Khan, o in conversazioni con
lui. Con una morale, insomma, una conclusione: la vita è un inferno.
Testi improbabili, le città
invisibili sono inafferrabili. Non filosofici, non fantastici, non stilistici o
filologici, ma che il lettore è presunto magnificare per la loro stranezza panglossianamente
come i migliori dei testi possibili. E senza dimenticare Palazzeschi, di cui Calvino si professava devoto, nelle sue più caratterizzanti sfaccettature, dal futurismo al fantasy. Un Calvino, si direbbe, urbanista - il linguaggio
è quello, da “Domus”, “Casabella”. Cerebrale. Troppo, cioè confuso. Se non è Paul Klee messo in pagina, come Calvino pretende in una delle lezioni americane propriamente dette - dove preende che i suoi racconti germogliano per caso, da una immagine.
Nella narrazione come nella
critica Calvino si vuole nella lezione alla Columbia qui anteposta di regola cartesiana:
leggerezza, chiarezza, necessità. Una necessità di maniera, in linea col
proprio impianto. Anche, per quanto sofisticata, una sorta di regressione al
linguaggio infantile, dei primi anni di linguistica, quando le parole sono
belle, e si concatenano in frasi belle, non importa quanto relate al mondo – alle
cose, ai fatti.
Un’oggettivizzazione estrema,
anche se alleviata da emblemi – o appesantita dai discorsi sugli emblemi. Senza
più funzione emotiva, anche se con compartecipazione dell’autore. Che si
avverte profonda, al limite dell’insouciance,
ma per questo in realtà di rifiuto, quasi ironico. Di rifiuto della parola. Ora:
uno scrittore che rifiuta la parola, seppure per distacco o rifiuto
programmatico, da “ora ti scandalizzo il borghese”? “Borghese” è da ridere, ma
non molti anni fa era riferimento d’obbligo: tutto ciò che l’autore non voleva essere, pur
essendolo – c’è niente di più “borghese” di un “autore”?
Il racconto, il genere racconto,
si radica nella “necessità”, in una certa consecutio,
un certo ordine. Non per Calvino a un certo punto, che invece vuole lasciarlo
aperto – forse in linea col nouveau roman d’oltralpe, benché questa esperienza
non abbia adottata. C’è un racconto aperto? Se stimola la fantasia del lettore sì,
su questa linea sembra muoversi questo “secondo” Calvino.
La lettura in parallelo di Simone
de Beauvoir, dei suoi “Colloqui con Jean-Paul Sartre” nell’estate del 1974 a
Roma, tutto fa scadere però, sotto l’apparenza della logica, nell’improbabile. “Raccontando
si rivelava una necessità”, così Sartre spiega i suoi approcci letterari, “che
era il concatenamento delle parole le une alle altre, che erano scelte per
concatenarsi…E c’era anche, ma molto vagamente, l’idea che ci sono delle buone
parole, delle parole che fanno bello concatenandosi le une alle altre, e che
fanno dopo una bella frase”. Questo succedeva a Sartre bambino – “questo è durato
fino ai dodici anni”.
Di Sartre è, negli stessi colloqui romani, quando passa a scrivere saggi, la regola “delle idee molto cartesiane:
leggerezza, chiarezza, necessità”. Di Calvino invece il progetto è in evidenza, esibito,
in una disincarnazione eccessiva. Di un virtuosismo gelido: la narrazione diventa
un calembour chilometrico,
insopportabile. Non sorprendente né sapiente, insistito. Una tortura. Specie al
confronto, per esempio, con Primo Levi, che ha saputo far parlare gli elementi.
Italo Calvino, Le città invisibili, Sorrisi e Canzoni
Tv + la Repubblica, pp. 165 € 9,90