sabato 2 gennaio 2021
Berlinguer liberale
Il riformismo va “da Carlo Rosselli a Enrico Berlinguer”, anzi da Gobetti a Rosselli e a Berlinguer. Con un po’ di Moro. Per tre pagine su “la Repubblica”. Va bene che Scalfari era amico di Berlinguer, dice Scalfari, si vedevano a cena, e l’amicizia in certi ambienti conta. Ma Berlinguer sarà trasecolato, là dove sta, a sentirsi dire liberale.
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (444)
Giuseppe Leuzzi
I Wiener
Philarmoniker hanno suonato il concerto di Capodanno ammassati, e senza mascherina
– compreso il maestro Muti, pure tanto osservante. Inframezzati da proibitissimi
balletti in coppia. Un’ora prima l’orchestra
della Fenice e il coro si vedevano in tv distanziati e (eccetto naturalmente i
fiati) con la mascherina, compreso il maestro Daniel Harding. Il contagio è una
cosa seria. Oppure no? Ordine e disordine non hanno parallelo.
Si dice - il
Musikverein di Vienna fa dire - che i Philarmoniker avevano fatto il tampone, così
Muti, i ballerini e tutti. Ma: e l’esempio? Sarebbe costato disfare le poltrone
di platea per sistemarvi l’orchestra, ma il contagio è una cosa seria. Oppure
no – è per sfigati?
“Io amo le donne
del Nord, più chiare, responsabili”, dice Orlando, uno dei (troppi) personaggi
di “Un Marziano a Roma”, la commedia di Flaiano. Però le vuole “inserite nella
Natura”, maiuscola. Anzi, aggiunge, “semmai il loro mistero è questo: la
naturalezza”.
Che avrà voluto
dire? Il Nord confonde l’abruzzese Flaiano.
“Conosce la
questione meridionale?”, chiede un altro personaggio della stessa commedia, di
nome Orlando, al Marziano. Il quale risponde: “Non conosco nemmeno un mese di
fame”. Questo è più chiaro. Ma è vero?
Ai
cittadini di Andria darà da pensare Calvino, che fra le città inventate di
Marco Polo nelle “Città invisibili” ci mette un’Andria, “la sola città che io
conosca cui convenga restare immobile nel tempo”. Di più: “Del carattere degli
abitanti d’Andria meritano di essere ricordate due virtù: la sicurezza in se
stessi e la prudenza”. Andria è una città che, pur stando a pochi chilometri da
Bari, fa provincia a sé, con Barletta e Trani, locupletata di solidi posti
pubblici, questura, Asl, consiglio metropolitano – oltre che del federiciano
Castel del Monte.
Dov’è la
mafia
Nella serie di
premi per tutti del governo Conte, ce n’è uno anche per gli editori che investono
nel digitale. Un premio si penserebbe al contario, perché investire nel
digitale è abbandonare il cartaceo – la stampa, la distribuzione, l’edicola,
già dimezzata nei numeri, e il giornale in lettura pacata, distesa, ragionata, non casuale, non per
occhiate, non nei ritagli di tempo, che non fanno opinione e nemmeno informazione.
Ma digitale è bello, e quindi il premio non si discute. Se non che.
I beneficiari
del premio sono centinaia. Per somme modeste, come è d’uso per questo governo –
le mance. Si arriva ai cetomila euro (90
mila per l’esattezza) col sesto classificato, Mondadori. E ai 200 mila euro con
il secondo e il primo classificato, Gedi e Wolters Kluiver Italia – Gedi, per
l’esattezza, 197.436, 92 euro, Wolters 200 mila precisi. Dei quali però, dei
primi due, Gedi e Wolters, l’assegno è barrato da un asterisco. Che in fondo
alla classifica si legge come segue: “Fruizione sospesa in attesa di verifica Antimafia”.
Si può dire la mafia
come Dio, in ogni luogo. O l’Antimafia, maiuscola? Wolters Kluwer non sappiamo
chi è (è, dice il prospetto, una società olandese-olandese di servizi
d’informazione per i mercati legale, sanitario, fiscale e finanziario – un’idea
non da niente, una banca senza insoluti, una miniera, che ha fatto incetta
dell’editoria professionale italiana, di editori e pubblicazioni settoriali, leggi i
marchi Ipsoa, Cedam, i marchi tecnici Utet, e altrettali). Gedi è una società
Exor, degli Agnelli, che edita “La Stampa”, “La Repubblica” e molti altri
quotidiani “di sinistra” - oltre all’“Economist” in Inghilterra.
C’erano una
volta Dio e il diavolo, ora ci sono la mafia e l’antimafia – ed è peggio: dov’è
l’inferno?
Dov’è
la mafia - 2
Alla vigilia di
Natale Vincenzo Iaquinta, il centravanti della Juventus e della Nazionale campione
del Mondo 2006, è condannato in appello per detenzione illegale di armi. In un
processo che vede suo padre Giuseppe,
impresario edile originario di Cutro in Calabria in attività a Reggiolo, nel reggiano, condannato
per mafia. “Fino a qualche anno fa ero un campione del mondo. Oggi con mio
padre Giuseppe sono vittima della giustizia italiana”, ha videomessaggiato il
calciatore. Con parole da avvocato, ma sdegnato: a torto a ragione?
Il padre è
condannato in una inchiesta, “Aemilia”, che ha colpito tutti i (piccoli) imprenditori
calabresi nel reggiano. Tutti mafiosi, affiliati di un Nicolino Grande Aracri. Non
è un caso: era successo prima in Piemonte e in molti casi nel milanese: quando
gli immigrati diventati imprenditori danno fastidio – lavorano bene a prezzi
competitivi – l’accusa interviene di associazione mafiosa. Non c’è da
dimostrare nulla: fra i dipendenti o le frequentazioni c’è sempre qualcuno che
ha un parente, di sangue o acquisito, o anche solo un compare, con precedenti.
E la mafia è fatta, non c’è reato da dimostrare.
Giuseppe Iaquinta,
dice “la Repubblica-Bologna”, era un imprenditore di successo. Nel 2012 è stato
escluso dagli appalti pubblici, dal prefetto di Reggio Emilia Antonella de
Miro, come è nei poteri dei prefetti, incontestabili. Nel 2015 è stato
dichiarato mafioso. Al primo processo, scrive “la Repubblica Bologna”, un fatto
incontrovertibile fu accertato: “Che
Iaquinta faccia parte dell’ambiente, per i magistrati è dimostrato da una
storia in apparenza minore: un’estate alla casa al mare in Calabria gli rubano
due ombrelloni. Avrebbe potuto lasciar correre, o al contrario denunciare.
Invece chiama un piccolo mafioso locale e se ne lamenta. E tutto si risolve in
poche ore, con gli ombrelloni tornati miracolosamente al loro posto. Per l’accusa
è la dimostrazione dell’atteggiamento mafioso”.
Vincenzo, il
figlio, il calciatore, è condannato in tribunale e ora in appello a due anni per
un motivo semplice. L’interdittiva prefettizia del 2012 alla Iaquinta
Costruzioni comporta il ritiro del porto d’armi, e delle armi costudite in
virtù del permesso. Vincenzo Iaquinta immagina l’interdittiva parte di un
tranello mafioso: “Acquista due
pistole”, spiega il cronista di “la Repubblica-Bologna”, ed invece di
custodirle a casa propria le consegna al padre. È un reato”. Da qui la condanna,
ma solo a due anni, essendo bene o male un nazionale di calcio, con la condizionale.
Nello stesso
appello, al processo “Aemilia”, Grande Aracri è stato condannato all’ergastolo per
due omicidi. Assolti invece i tre coimputati, condannati in primo grado, “per
non avere commesso il fatto”.
Il primo virus
Milano ha
coltivato a più riprese, in questo ritorno di contagio, l’idea di porsi
all’origine della pandemia. Che ha datato a novembre 2019, forse a metà
novembre, comunque prima di Wuhan. Si occupa cioè non di confutare una possibile
accusa del genere - è ben un’accusa – ma di attribuirsela, come un
primato. Come un blasone: che Cina, il focolaio
è la Lombardia! Che sembra stupido, e probabilmente, fatti i conti, lo è. Ma il
bisogno di oneupmanship, sono il
primo e il migliore, è indistruttibile, una malattia.
Lo stesso
bisogno è comune ai tedeschi. Un
complesso di superiorità che è di inferiorità, il bisogno di dirsi sempre
i primi e i migliori. Forse per la comune origine “razziale”, di tradizioni e
quindi di mentalità e linguaggi – ma i tedeschi svizzeri, austriaci, di Boemia e
di Transilvania non ce l’hanno. Di sicuro è dei popoli sconfitti, che hanno in
perpetuo bisogno di rigenerarsi. Ma chi ha sconfitto Milano, che nessuno nemmeno combatte?
O forse Milano
vuole imitare Roma, che la Rai ha celebrato con “Il primo re”, di squartamenti
con le mani, le pietre, e a randellate.
La storia si può
raccontare anche così. A Pechino il regime trinariciuto non si smentisce, e
lavora alacre per dimostrare che il coronavirus
è stato importato in Cina da qualche servizio segreto estero. Pronta la Lombarda
rivendica il primato dell’infezione, a metà novembre 2019, in un bambino di quattro
anni. Il leghismo se la batte con l’arcicomunismo? In effetti è un primato.
leuzzi@antiit.eu
Il giallo di malavoglia
“Arsenico e vecchi merletti” nel
traffico di Atene, e tra i suvlakia,
i ghemistà, le alici in forno, il
caffè con cornetto e gli altri alimenti di cui Markaris abbonda, ogni giorno
del racconto. A un certo punto è questione di terrorismo, da qui il titolo, “Università
del crimine”: “La maggior parte dei terroristi, almeno in Grecia, ha fatto
studi universitari”, annota qualcuno – e uno dei morti è stato in Italia, ha
avuto contatti con “Lotta Continua”.
Poche le novità: il commissario
Charitos diventa capo di se stesso, e nonno. Che però implicano altre molte pagine.
Tanto più che “riferire al capo” richiede ora numerose e lunghe pagine di riunioni
a piramide, fino ad arrivare ogni volta, ogni due mattine, al ministro, come
tutti impaziente. In più, i coniugi Charitos hanno fatto una vacanza, per
quanto breve, nell’Epiro natio, dove hanno incontrato persone e visto cose per
loro straordinarie. Il giallo è dei professori universitari che lasciano l’insegnamento
per la politica, salvo poi tornare a riprendersi la cattedra: alcuni vengono
fatti fuori per questo motivo. Quindi molte pagine pure sullo stato lacrimevole
dell’università, in Grecia – e altrove?
Si legge, ma niente resta. Markaris sembra che non ne abbia
più voglia. Fa ancora tesoro della simpatia della Grecia, di Atene, della
cucina, del modo di essere. Ma disattento, anche con buchi logici. Molto del giallo è attorno
a un professore obeso bulimico. Una bulimia di cui però nessuno si chiede la
causa, nemmeno la sociologa chiamata a leggere oltre i comportamenti, e il
lettore-inquirente è indeciso: che se ne deve attendere?
Petros Markaris, L’università del crimine, La nave di
Teseo, pp.323 € 13
venerdì 1 gennaio 2021
Problemi di base naturali, virali, solitari - 615
spock
“La natura tutta è congenere”, Platone – anche il virus?
“La natura del vivente è eterna”, Platone – id.?
“In tutte le cose della an tura c’è qualcosa di meraviglioso”,
Aristotele?
“Non c’è bene che sia nocivo”, Platone?
E non c’è male che sia buono?
“Una solitudine profonda è sublime, seppure di un sublime terribile”, Kant?
“La compassione non è una virtù”, Nietzsche?
spock@antiit.eu
Il Barbiere all’Opera, divertito e divertente
Un’opera finalmente rappresentata
e goduta per il divertimento, per la musica e il belcanto. Daniele Gatti ha concertato
Rossini come Rossini, senza fisime – secondato da un’orchestra che sembra un’altra
da quando Augias ne faceva sull’“Espresso” il prototipo dell’infingardaggine. Martone
ha abbandonato i capricci di cui aveva accasciato qualche anno fa, sempre a
Roma, la “Carmen” e seconda in tutto – se si eccettua una ragnatela di fili del
tutto inutile - l’estro di Rossini. Facendo dei pettoruti cantanti anche degli
attori, e attori comici, l’arte più difficile di tutto. Grazie all’ausilio
filmico di molti episodi – a partire dalla cavatina d’esodio, di Figaro qua,
Figaro là in scooter, condotto dal maestro Gatti con mascherina, casco e frac.
Di Alessandro Corbelli, il
basso-baritono Don Bartolo, che non manca una scena, non si sa se apprezzare
più l’intonazione o il movimento – benché aggravato da una sedia a rotelle. Il “Pace
e bene” di Lindoro-Almaviva all’inizio del secondo atto è un capolavoro di
mimica del tenore Ruzil Gatin, che pure non salta una nota. Russo, come Rosina,
Vassilissa Berzhanskaya, ventisei anni. Un giovanissimo polacco, ventiseienne
anche lui, il baritono Andrzej Filonczyk, è un Figaro indemoniato, canta anche
piegato in due, comunque sempre in movimento,
vertiginoso.
Gli est-europei costano poco, ma
fanno meglio l’opera, con più adesione – si divertono per divertire? Il merito
è anche della gestione dell’Opera di Roma, del maestro Gatti e di Martone:
aver saputo amalgamare tante diverse esperienze per un Rossini alla potenza.
Lo spettacolo è la registrazione della prima del Costanzi il 5 dicembre, a
scena vuota. Il terzo successo della gestione Fuortes quest’anno di clausura
imposta, dopo il “Rigoletto” fantasmagorico al Circo Massimo in estate, e la
“Zaide” allo stesso Costanzi alla ripresa. Quando si vuole e si sa, si può
fare.
Dopo il teatro e il docufilm,
buca lo schermo – per ora solo Rai - anche l’opera. Rai 5 non è censita da Auditel,
ma le si danno per questo Rossini, in una notta dedita in tv solo al passatempo
distratto in attesa della mezzanotte,
ascolti sul mezzo milione, superiori a molte televisioni nazionali in chiaro.
La rappresentazione è inframezzata
all’intervallo da filmati d’epoca, di quando anche il Costanzi celebrava la
prima stagionale, facendo sfilare personaggi di richiamo, Magnani, Lollobrigida,
Liz Taylor, Callas, Francis Ford Coppola…. Nostalgia del mondo che fu?
Sottorrato dagli stessi Fuortes e Martone, dai loro danti causa
generazionali. L’opera è, alla fin fine, musica cantata, gioia.
Mario Martone, Il barbiere di Siviglia, Opera di Roma,
Rai 5
giovedì 31 dicembre 2020
Secondi pensieri (438)
zeulig
Demiurgo – Il Dio di Platone è Platone: il mentore, il filosofo secondo Platone, colui che dà le forme - chiama il modo e lo definisce.
Filosofia – Si compone (costruisce)? S’intuisce? Il lascito platonico o aristotelico, sant’Agostino, san Tommaso d’Aquino, Kant, Hegel, gli stessi asistematici Kierkegaard, Schopenhauer, Heidegger, autori di dozzine di pagine di riflessioni al giorno, con una vita pratica peraltro densa di impegni, personali, politici, professionali (insegnamento), e distrazioni, ne fanno un lavoro quasi enciclopedico. Ma, certo, non senza impennate, o colpi d’ala.
Idee – Sono essenza e verità, immutabile? Modello archetipo, fondamento della conoscenza? Soggettive e oggettive, finite e infinite, fisiche e concettuali? O non sono un prodotto, un derivato – la verità stessa non è un prodotto, derivato, le verità?
Idea, in fondo, è vedere: quanto di più adattabile della vista, in
tribunale, nell’escussione dei testi, e anche fuori, tra gli arbitri di calcio,
le giurie, i voyeurs, l’occhio della cine-
e telecamera? Sono quelle di Cartesio, un composto, mobile, sia quelle
avventizie (esterne) che le fattizie opera dell’ingegno) e le innate.
L’intuizione è un derivato, di un linguaggio, una tradizione (più
tradizioni), una società, una storia. Volubile anche, per il giudizio perennemente attivo,
all’opera, instancabile, in milioni, miliardi, di combinazioni. La natura è
certamente molto limitativa, ma anche l’intelletto è condizionato.
Sono le idee modello del reale – quelle che danno la forma,
definiscono. Delimitano, ma essendo limitate, delimitate: le idee cambiano, non
solo in politica.
Immortalità – L’immortalità
dell’anima è la fonte e il dispositivo della morale. Della dialettica male\bene,
di una distinzione. Non c’è altro fondamento che il darwinismo, che non è propriamente una
legge morale – homo homini lupus.
Innatismo – C’è, in
innumerevoli forme. Non nel dispositivo platonico, dell’anima e le idee. Ma tutto
si radica.
Intellettuale – È di massa:
è - ha una funzione - in rapporto alle masse. Mentre la psicologia profonda delle masse, ormai è dimostrato, è fascista.
Dello stesso fascismo che ha inventato le avanguardie, con Pareto, Mosca e
Ortega y Gasset - che fascisti non sono ma l’intraprendente Mussolini, che li
ha messi a frutto, se l’è appropriati: le élites, notabili per censo e
anche intellettuali.
Le avanguardie non
potevano non piacere a Stalin, che nel 1935 forgiò l’intellettuale dei Fronti
popolari, l’utile idiota pronto a illustrare il partito non suo. Il suo Compagno
di strada è traduzione di Mitlaüfer, che sa di gregario.
Le masse sono
specchio delle élites, sosteneva Ortega y Gasset, aspettano di essere
plasmate da spiriti superiori. Vengono dal lessico di Weimar gli
intellettuali, quelli che denigravano la dissidenza e l’originalità,
intellettuali-massa.
Un’élite camuffata da
egualitaria, lo dice Allan Blom. Che sfrutta l’egualitarismo, si può
aggiungere, e lo devitalizza.
È una forma di potere, il
potere intellettuale, che è esclusivo. Il potere si esercita con l’esclusione.
E l’intelligencja è una maniera di
esclusione.
Simmel lo fa sociale: “L’uomo puramente intellettuale è indifferente a tutto ciò che è propriamente individuale”. Fu “operatore” in una parte del Sessantotto, adiacente a “Tempi Moderni”, a iniziativa di Cesare Garboli. Una sorta di salariato. Ma senza funzione se non per il prodotto: giornalista, redattore editoriale, pubblicitario. Fu detto anche Intellettuale Collettivo. “Organico”, orrenda parola, è di Gramsci. Fu Mitlaüfer a metà degli anni 1935 con i Fronti Popolari, “indipendente di sinistra” col partito Comunista nel dopoguerra.
Lettura – È pratica
solitaria. È, come la riflessione, la maniera con cui la solitudine si fa
sociale, comunicazione, scambio.
Libertà – È anarchia. Il
liberale è benpensante, possessivo, passatista, ma queste sono le concrezioni
della sua lunga permanenza al potere, che ne fanno un conservatore. Il pensiero
liberale, che poi è il principio della libertà e la sostanza della borghesia
eterna, è l’individualismo, il contrario cioè della conservazione e della
proprietà, e insomma l’anarchia.
Il Vaticano e i comunisti hanno accettato perfino Hitler, ma mai il
liberalismo, e questo spiega tutto: la libertà non si addice alle masse. È cibo
troppo raffinato.
Platone – Quantum mutatus ab illo”, leggendolo –
quanto non è i suoi innumerevoli, minuti, commentatori.
Populismo – Ritorna, da un
secolo ormai, o da due, per la concezione del mondo come guerra civile globale, e questo per effetto di una teologia
secolarizzata? Sulla matrice trinitaria della storia di Gioacchino da Fiore,
secondo la quale, dopo il regno del Figlio succeduto a quello del Padre,
l’umanità è in attesa del Terzo Regno, della salvezza in terra. Da qui la
mitizzazione degli impulsi e gli ideali delle masse. Le quali sono però inette
a Dio, senza teologia né morale.
Potestas in populo, si è sempre saputo: senza consenso non c’è
potere. Ma il fatto – il problema – è che ci sono gli intellettuali, o avanguardie,
e ci sono le masse. E il consenso non è un dato, è genere acquisitivo, si vuole
manipolato. Che il popolo, insomma, è sostanza evanescente.
Ciò si può arguire a contrariis,
per tutti, su un brano di Sartre, la prefazione nel 1972 a Michèle Manceaux, “Le
Maos en France”: “Lo spontaneismo dei maoisti significa semplicemente che il
pensiero rivoluzionario nasce dal popolo e che il popolo solo lo porta, con
l’azione, al suo pieno sviluppo. Il popolo non esiste ancora in Francia: ma
dappertutto dove le masse passano alla prassi, sono già il popolo”. Solo i
lavoratori possono costituire “una società
morale”, una società cioè “in cui l’uomo disalienato possa trovare se
stesso nei suoi veri rapporti con il gruppo”. O anche prima: “La violenza
rivoluzionaria è immediatamente morale
perché i lavoratori divengono i soggetti della loro storia” – ai maoisti Sartre
attribuiva “una prassi anti-autoritaria”.
Sensibilità –Sartre la vuole
legata all’intelligenza, sorgente dell’intelligenza - niente intelligenza senza
sensibilità: “La sensibilità e l’intelligenza non sono separate”, anzi “la sensibilità
produce l’intelligenza, o piuttosto è la stessa intelligenza” (Simone de Beauvoir,
“Conversazioni con Jean-Paul Sartre”. Cui arriva per gradi, nel cosiddetto
processo di formazione: “Pensavo (e lo penso tuttora) che si ha una sensibilità,
e che il lavoro dell’infanzia, dell’adolescenza, era di rendere astratta e comprensiva,
e ricercatrice, questa sensibilità, in modo da farne a poco a poco una ragione
d’uomo, un’intelligenza applicata a problemi di ordine sperimentale”. Senza sensibilità,
“un uomo razionale, occupato da problemi teorici è un’astrazione”.
Tempo – “Un’immagine
mobile dell’eternità” in Platone, “Timeo”.
zeulig@antiit.eu
Il narratore felice - prima della (cattiva) politica
Dopo la raccolta dei “Racconti”
in tre volumi, una scelta degli stessi, operata da Paolo Di Paolo. Sono
racconti che durano alla rilettura. Opera tra le più solide del secondo
Novecento.
La narrazione si conferma la
parte più felice della scrittura di Tabucchi. Che, chissà, avrebbe dato anche
di più e meglio col genere allargato, dopo l’ottimo esito del suo primo e unico
romanzo, “Sostiene Pereira”, ma s’ingolfò nella politica bugiarda di “Mani
Pulite” - tanto sdegno (per vent’anni…) a nessun esito.
Antonio Tabucchi, Che ore sono da voi?, Feltrinelli, pp.
256 € 17
mercoledì 30 dicembre 2020
Ombre - 543
La
conferenza stampa del presidente del consiglio Conte è da latte alle ginocchia –
sì, però, vedremo, aspettiamo per tre ore. Il solito pilatismo avvocatesco, ma specialmente
stonato in questa pandemia. Che nessuno dei giornalisti intervenuti fa rilevare
– tutti a puntino, con la loro domandina preregistrata. Si fa una conferenza
stampa per la propaganda – pubblicità redazionale.
Mediobanca
consiglia a Unicredit una fusione. Non la consiglia, la fa prospettare necessaria
dal suo “ufficio studi”. Lo stesso che ne sconsiglia l’acquisto ai risparmiatori-investitori
in Borsa, se non a prezzo più basso – ne predice-preconizza il ribasso. Per
conto dei suoi clienti-padroni francesi, p.es. Bnp Paribas? Questo non si dice,
e sarebbe invece l’informazione più importante.
I
morti sono un terzo in più di quanto il governo calcola, avverte l’Istat, 84
mila dal primo febbraio a fine novembre, in più rispetto alla media del periodo
corrispondente negli anni precedenti. C’è stata una moria generale, a prescindere
dal coronavirus? L’avremmo saputo – avremmo dovuto saperlo. Non è una discrepanza
statistica, è un vero e proprio occultamento dei contagi e della letalità.
Inverosimile
il tasso dei contagi nel Veneto, al 30-40 per cento dei tamponi. Cioè: non ci
avevano detto la verità, né dei contagi (che non s’impennano in un giorno), né
delle attività che sottostanno ai contagi. Nella regione che si voleva modello
anti-pandemia.
Ma,
stranamente, nessuno ne chiede conto – come già in Lombardia: è l’effetto Lega
- abbiamo comunque ragione, e attaccatevi?
Inverosimile
anche che il tasso di positività (positivi per tampone) raddoppio in due-tre
giorni. Abbiamo dati raccolti a caso?
Non c’è uniformità, e perché? Avere – e dare - cifre precise non è il primo
dovere del governo? Il governo ce li ha ma non li dice?
I
media perché non se lo chiedono?
La verità è che l’Italia ha il più gran numero di morti per coronavirus in rapporto alla popolazione, 121 su 100 mila abitanti. Ed ha un numero altissimo di morti in rapporto ai contagi, il 3,5 per cento - fanno peggio solo Messico (8,5 per cento) e Iran (4,5). Per una sanità costosissima ma da Terzo mondo per qualità.
Un
bilancio di previsione che il Senato deve votare a scatola chiusa, in un paio d’ore.
Un bilancio di migliaia di elemosine a pioggia, vecchio – eterno? - stile clientelare. Un bilancio in debito di
almeno venti miliardi. Con molte spese senza copertura. Su cui il presidente della
Repubblica non ha nulla da ridire.
È
più di una crisi politica, di governicchi “comici”, che sanno solo regalare soldi
che non hanno – di governi di cacicchi. È anche costituzionale: niente spese
senza copertura?
Fa
scandalo la Germania che si compra i vaccini a parte, prodotti in Germania, coi soldi suoi - a parte dalla Ue. Perché?
Si
ha – si propaganda - l’idea che la Ue sia una federazione, mentre non lo è. Non
è nemmeno una confederazione – non ha statuto politico, non ha costituzione. Ha
poteri burocratici esagerati, che usa in modo assurdo (leggi: come dice la
Germania). È, cioè, il peggio di tutto.
Ma
non è solo la Germania che fa per sé: un po’ tutta l’Europa si governa come meglio
crede. Solo in Italia Bruxelles è maestra di scuola e carabiniera. Da
imbe(ci)lli, i media come le istituzioni – i famosi araldi del vincolo esterno.
Si
fa la Brexit come se fosse un sopruso o un’alzata d’ingegno britannica. Mentre
è la presa d’atto di una Ue burocratica, nel nome di non si sa quale norma o
idea: fastidiosa, opprimente, assurda. Si dice tedesca ma, più che altro, di
teutonica burocrazia.
Panebianco
spiega lungamente domenica sul “Corriere della sera” che solo il Pd può
governare, la destra non c’è, non è europea, etc. Lunedì “La Lettura”, il
settimanale del “Corriere della sera”, ripropone per i duecento anni della
morte “Napoleone, modernizzatore e populista”. Il sogno è una sinistra
bonapartista - era il regime sovietico. Il meglio della democrazia? Degli studi
politici?
Il
professor Panebianco argomenta che non c’è Europa al di fuori di Angela Merkel,
perché “in Germania e nelle democrazia nordiche al seguito ci sono gruppi entro
i rispettivi establishment
che
da tempo accarezzano l’idea” di dare un calcio nel sedere all’Italia. “Al
seguito” della Germania è da presumere. Bisogna abbozzare dunque, il vecchio appeasement. Bella Europa, democratica.
“Il
governatore della California Gavin Newson, lamenta “The Nation”, “sta per fare
di Alex Padilla il primo senatore latino, per occupare il seggio lasciato da
Kamala Harris, il solo senatore donna nera”. Harris, indiana di origine,
obietterebbe: colorata può servire, in epoca di minoranze, ma nera sicuramente
non per una indiana.
“Condanno
sia il neoliberismo sia il populismo”: è fermo come roccia l’arcivescovo di
Milano Delpini con Cazzullo. Si direbbe uno d’altri tempi, pieno di certezze.
Senza più armi ma ben temibile. È sempre una chiesa che condanna.
Sbagliano
molto l’arbitro La Penna e il Var Mazzoleni di Juventus-Fiorentina. Tutto a danno
della Juventus, come si vedeva, peraltro senza problemi, su Sky. Un caso? Non
può essere, è una delle certezze del calcolo delle probabilità.
Lo
stesso fanno Doveri e Irrati in Juventus-Atalanta – con più mestiere. Il calcio-scommesse
è morto? Deve vincere Milano?
S’agghiommera
la giustizia napoletana sul calcio, che controlla in Procura e nei Tribunali: il
giudice Sandulli, romano napoletano, sbaglia in appello la motivazione della sentenza
su Juventus-Napoli.
Oppure
l’ha sbagliata apposta, per farsela rigettare all’ultimo, definitivo, grado di
giudizio?
Si
dice che Napoli è morta, ma è ben viva: tanta squallida furba protervia è inimmaginabile, ma è ben reale.
I romei traditi da madre Grecia
Ritagli, frattaglie. Otto
rimasugli del Camilleri greco – greco di Turchia, trapiantato in Germania. Un
paio del suo “Montalbano” Charitos – sposato, con figlia e genero, e cucina
domestica – svogliati. Gli altri sono appunti - le “rotte dei migranti” che l’editore
vanta nel sottotitolo non ci sono. Ma il racconto lungo “Tre giorni”, che
prende la metà dell’antologia, merita: è una primizia, straordinaria.
Un racconto sui greci di Istanbul
– Costantinopoli, “la Città”. Sui “romei” – romani. Una delle tre o quattro grecità
distinte: di Turchia, della Grecia continentale, di Creta, di Cipro. Un
racconto vivace. Straordinario perché è un mondo di cui non si parla mai. Turchizzato
o meno ma comunque sempre estraneo ai turchi – anche prima dell’islamizzazione
forzata imposta da Erdogan. Straordinario anche perché è colto in un momento in
cui è la grecità a minacciarlo: l’avventurismo del vescovo Makarios a Cipro,
contro i turchi isolani, con la formazione di un gruppo terroristico antiturco,
l’Eoka. Il racconto è una cronaca del 5-8 settembre 1955, dell’attentato alla residenza
di Kemal Atatürk a Salonicco, del tempo in cui vi era stato in esilio, e del
conseguente pogrom antigreco a Istanbul. Che Markaris ha vissuto evidentemente
da vicino, allora aveva 18 anni, non era ancora emigrato in Germania, e sa comunque
rendere vivo.
Con una verità semplice: portano il velo, in Turchia,
le donne, per loro volontà, anche contro la volontà dei mariti.
Petros Markaris, L’assassinio di un immortale, La nave
di Teseo, pp.186 € 12
martedì 29 dicembre 2020
Il mondo com'è (418)
astolfo
Tommaso “Fedra” Inghirami – Fu lui, direttamente
in contatto con Raffaello, il suggeritore delle storie – del programma
iconografico - della “Stanza della Segnatura”? Mediatore delle “Sententiae ad mentem Platonis” di Egidio da Viterbo. È l’ipotesi
che il Dizionario Biografico della Treccani avvalora, di Inghirami mediatore
tra il frate agostiniano e il pittore.
Originario di Volterra, Inghirami
studiò a Roma, presso l’Accademia Romana di Pomponio Leto. Frequentata anche da
Alessandro Farnese, con cui si legò d’amicizia. Partecipando alla messa in
scena di opere teatrali latine, parte della pedagogia di Pomponio Leto. Il
soprannome Fedra, che si porterà per tutta la vita, gli sarebbe derivato dalla
partecipazione, come Fedra appunto, a sedici anni, nell’aprile 1486, a una
rappresentazione accademica dell’“Hyppolitus” di Seneca, davanti al palazzo del
cardinale Raffaele Riario a Campo dei Fiori, dove continuò a improvvisare, in
versi latini, mentre l’impalcatura crollava. L’aneddoto è ripreso da Erasmo da
Rotterdam in una lettera del 1513, dove dice di averlo appreso direttamente dal
cardinale. Il “Dizionario” Treccani registra il soprannome nelle varianti Phaedrus e
Phaedra, aggiungendo: “Quest'ultima
forse allusiva anche all’orientamento sessuale” dell’Inghirami, attestato in
altre lettere, di Mario Maffei a Jacopo Sadoleto e di Agostino Vespucci a Niccolò
Machiavelli”.
A Roma, dove rimarrà a vivere, in
ambito curiale ma senza prendere gli ordini, curerà diverse rappresentazioni
teatrali, variamente ricordate dai contemporanei – e celebrate dopo la morte,
nel 1516, da Paolo Giovio con parole commosse. Nel 1513, nelle feste romane per
il conferimento della cittadinanza a Giuliano e Lorenzo dei Medici, curò la rappresentazione del
“Poenulus” di Plauto, la commedia dei “mangiapolenta”, o del ragazzo cartaginese
rima schiavo poi affrancato. L’anno dopo, per il carnevale, sovrintese al
corteo di 19 carri allegorici in Agone (piazza Navona),
Nel 1505 era stato nominato anche
direttore (praepositum, prefetto),
della Biblioteca Vaticana. Attorno al 1510 fu ritratto da Raffaello – il ritratto
a palazzo Pitti. Era celebrato come il nuovo Cicerone nella Roma di Leone X, di
ciceronismo imperante - Erasmo lo ricorderà qualche anno dopo come “dictus sui saeculi Cicero”. Sarebbe
morto cadendo da una mula sotto le ruote di un carro carico di sacchi di grano trainato
da bufali.
Napoleone – Ebbe ammiratori
importanti in area germanica, malgrado le tante guerre da lui imposte oltre
Reno, e detrattori radicali in area francese. È con un pamphlet radicale contro Napoleone che Benjamin Constant, svizzero
di Losanna, nato da famiglia di ugonotti francesi rifugiati nel secondo Cinquecento,
esordisce nel 1813, a 46 anni, dopo aver molto viaggiato, e sostenuto un paio
di duelli, “Dello spirito di conquista e dell’usurpazione”. Un’opera, precisa nella
prefazione alla terza edizione - datata Parigi, 22 aprile 1814, a ridosso dell’esilio
di Napoleone - “scritta in Germania nel novembre del 1813, e pubblicata in
gennaio; e ristampata ai primi di marzo in Inghilterra – “la nobile Inghilterra”
della prima prefazione, “asilo generoso del pensiero, illustre rifugio della
dignità umana”.
Nella
prefazione alla prima edizione l’aveva detta “parte di un trattato di politica
terminato da parecchio tempo”. Ma, per quanto trattatistico, spiegava ancora,
era un saggio nato dall’“orrore che mi ispirava il governo di Bonaparte” - e la
“nazione che ne portava il giogo”, senza ribellarsi.
Presentava
se stesso come “uno dei mandatari di un popolo ridotto al silenzio”, da
francese cioè. Esordendo, nella prefazione alla prima edizione, che diceva un
po’ travagliata, in questi termini: “Il continente non era che un vasto carcere”,
finché “a un tratto, dalle due estremità della terra, due grandi popoli si sono
risposti, e le fiamme di Mosca sono state l’aurora della libertà del Mondo”.
Aggiungendo peraltro: “Non c’è, in questo libro, una sola riga che la quasi
assoluta totalità della Francia, qualora fosse libera, non si affretterebbe a
firmare”-
Peste bianca – Fu così detta
la tubercolosi, a lungo in Europa, da metà Seicento a tutto l’Ottocento, la
causa maggiore di morte. Per infezioni di cui non si veniva a capo.
Ne
fa in breve la storia Remo Bernabei, “La
tubercolosi: una lunga storia” (free online):
“Anche in mancanza di dati epidemiologici precisi è nota
l’epidemia di tubercolosi in Europa, che probabilmente iniziò nel
diciassettesimo secolo e che durò duecento anni; era nota come la Grande Piaga
Bianca forse per distinguerla dalla Peste bubbonica (la Morte Nera). Nel 1650
la tubercolosi era la principale causa di morte e morire di tubercolosi era
considerato inevitabile. L’alta densità della popolazione e le condizioni
sanitarie indigenti che caratterizzavano molte città dell’Europa e del Nord
America crearono un ambiente idoneo alla diffusione del morbo. Dal 1600 al 1800
la Tubercolosi causò il 25 per cento di tutte le morti”.
“Nel XIX secolo la tubercolosi fu soprannominata oltre che
“Piaga Bianca”, anche “male di vivere”, e “male del secolo”. Era vista come una
“malattia romantica”. Si pensava che soffrire di Tubercolosi concedesse al
malato una sensibilità nascosta. La lenta progressione della malattia
permetteva una “buona morte” consentendo alle vittime di mettere ordine nei
loro affari. La malattia cominciò a rappresentare la purezza spirituale e la
salute terrena, portando molte giovani donne del ceto alto ad impallidire
volutamente il loro viso per avere un aspetto malato. Il poeta britannico Lord
Byron scrisse, nel 1828, “mi piacerebbe morire di tubercolosi”, aiutando a far
divenire popolare questa malattia come la malattia degli artisti. George Sand
amava ciecamente il suo “tisico” amante, Fryderyk Chopin, lo chiamò il “povero
melanconico angelo”. In Francia, furono pubblicate più di cinque novelle in cui
si narravano gli ideali della Tubercolosi: “La signora delle camelie” di Dumas
figlio, “Scene de la vie de bohème” di Murger,” Les miserables” di Victor Hugo,
“Madame Gervaisais” e “Germinie Lacerteux” dei fratelli Goncourt e “L’aiglon”
di Edmond Rostand. In letteratura la prospettiva della malattia spirituale e
che redime”.
“Si stima che la tubercolosi abbia raggiunto il picco della
prevalenza tra la fine del diciottesimo secolo e il diciannovesimo. Una
giornata lavorativa di almeno 12 ore con un solo giorno di riposo alla
settimana, il consumo di alimenti scadenti con abbondanti dosi di alcool, la condizione
di semi povertà di gran parte del proletariato urbano, unite alla visione di un
capitalismo senza freni inibitori, queste sono le condizioni che provocarono il
passaggio della Tubercolosi da endemica ad epidemica e pandemica nel Regno Unito
tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo”.
Il primo lockdown – limitato – si ebbe a Napoli: “La
convinzione che la tubercolosi fosse una malattia contagiosa trovava sempre
maggiori consensi e a Napoli, nel 1782, Domenico Cotugno sollecitò per questo
motivo la promulgazione di una legge sanitaria per la profilassi sociale della
malattia: Ma due anni dopo re Ferdinando, che rifiutava l’idea della
contagiosità della tisi, revocò alcune delle disposizioni cautelative fatte
approvare da Cotugno”.
“I termini consunzione e tisi continuarono ad essere usati entrambi nei XVII e il XVIII secolo, fino alla metà del XIX
secolo, quando Johann Lukas Schönlein introdusse il termine “tuberculosis”.
“Solo nel 1882 (il futuro, 1905, Nobel) Robert Koch comunicò
alla Società di fisiologia di Berlino di aver scoperto il microrganismo
responsabile della letale Tubercolosi polmonare, che denominò due settimane più
tardi, nella rivista scientifica “Berliner Klinische Wochenscrift”, “Tuberkelvirus”
(cioè virus della Tubercolosi). E descrisse questo microrganismo come ”Sottile,
la cui lunghezza è metà-un quarto del diametro di un globulo rosso, molto
simile al bacillo della lebbra, ma più affilato”. Era stato appena provato che
la tubercolosi era contagiosa.
“Da
quando fu provato nel 1880 che la malattia era contagiosa, la tubercolosi
divenne una malattia conosciuta e le persone infette furono costrette ad
entrare nei sanatori che sembravano prigioni, anche se i sanatori per le classi
media e alta offrivano cure eccellenti e costante attenzione medica. La
Germania fu all’avanguardia in quel periodo perché, grazie alla legge di
assicurazione sociale contro le malattie (1883), furono costruiti numerosi
sanatori ad Hannover (70 letti), a Grabowsee (189 letti), a Oberderg (114
letti), a Stiege (80 letti”).
Nel
New England nel 1800 si contarono 1.600 morti per 100 mila abitanti.
A New York per tutto l’Ottocento moriva di
tubercolosi fra il 4e il 5 per mille della popolazione – 400-500 per 100 mila
aitanti.
Il tasso di mortalità per tubercolosi in Italia
è passato dai 210 decessi per 100 mila abitanti del 1887 a 39 nel 1951.
astolfo@antiit.eu
Viaggio nella clausura
Rumiz rilegge il diario della
pandemia, del primo lockdown, da metà
marzo, che è venuto tenendo per “la Repubblica”. All’ombra del convento
benedettino dell’Isola di San Giorgio a Venezia, dopo “la terrificante acqua alta
del novembre 2019”. Una clausura volontaria dopo quella obbligata. E ne ricava un
altro metro della vita, del mondo. Non poveristico ma critico: del dispendio di
materiali e energie per una vita di commercio, di consumo, di ilare
autodistruzione, convinta.
Un viaggio in surplace. La claustrofobia – il tetto del veliero è la tessa condominiale. La gita in cucina - “c’è il dovere del pessimismo”, ma intanto i fagioli crescono. Gli incontri senza storia e i minimi aneddoti dei mesi della clausura non volontaria. Partendo dalla collera contro
l’Europa, incomprensibile nella pandemia (ma no, è comprensibilissima), che ha
pensato di proteggersi dal virus mettendo dei paletti alle frontiere - e godendo delle disgrazie degli altri, nel
caso dell’Italia, che è stata la prima infettata.
Per il giramondo la scoperta del mondo in cui vive. Della compagna Irene. Dei figli, anche se lontani. Dei nipotini. Le curiose vicinanze che si creano nel distanziamento, nella impraticabilità del movimento. Degli amici anche mai sentiti, lontani. Dei ricordi.
La verità è che è una crisi ma
non una catastrofe. O forse una catastrofe, soprattutto per chi vive lavorando,
ma non un’ecatombe. Ma abbiamo paura di tutto.
Questi “Appunti per una
clausura”, come recita il sottotitolo, vengono buoni per la seconda ondata – e
per la terza? Rumiz è pessimista, ma l’Europa, come gli spiega il libriccino di
Steiner, “Un’idea d’Europa”, ha la pelle dura.
Paolo Rumiz. Il veliero sul tetto, Feltrinelli, 125 € 13
lunedì 28 dicembre 2020
Problemi di base di mercato cinese - 614
Xspock
Jack
Ma non è più campione nazionale: imprenditore strettamente legato al regime non è più in linea?
Con il Partito, con i Generali?
Un cinese può investire liberamente in Europa,
anche in America, un europeo non in Cina – neanche un americano?
Non si può arrestare un cinese, con
motivazione, fuori della Cina, ma si possono arrestare i cinesi, senza
motivazione, liberamente in Cina?
Perché l’Europa fa accordi con la Cina sottobanco
– come il papa?
Perché l’Europa fa accordi con la Cina nei
mesi vuoti tra una presidenza americana e l’altra: si nasconde? si vergogna?
La globalizzazione disgrega la democrazia
(Josep Colomer-Ashley Beale): non doveva globalizzarla, esportarla?
Il commercio libera - Constant?