Giuseppe Leuzzi
I Wiener
Philarmoniker hanno suonato il concerto di Capodanno ammassati, e senza mascherina
– compreso il maestro Muti, pure tanto osservante. Inframezzati da proibitissimi
balletti in coppia. Un’ora prima l’orchestra
della Fenice e il coro si vedevano in tv distanziati e (eccetto naturalmente i
fiati) con la mascherina, compreso il maestro Daniel Harding. Il contagio è una
cosa seria. Oppure no? Ordine e disordine non hanno parallelo.
Si dice - il
Musikverein di Vienna fa dire - che i Philarmoniker avevano fatto il tampone, così
Muti, i ballerini e tutti. Ma: e l’esempio? Sarebbe costato disfare le poltrone
di platea per sistemarvi l’orchestra, ma il contagio è una cosa seria. Oppure
no – è per sfigati?
“Io amo le donne
del Nord, più chiare, responsabili”, dice Orlando, uno dei (troppi) personaggi
di “Un Marziano a Roma”, la commedia di Flaiano. Però le vuole “inserite nella
Natura”, maiuscola. Anzi, aggiunge, “semmai il loro mistero è questo: la
naturalezza”.
Che avrà voluto
dire? Il Nord confonde l’abruzzese Flaiano.
“Conosce la
questione meridionale?”, chiede un altro personaggio della stessa commedia, di
nome Orlando, al Marziano. Il quale risponde: “Non conosco nemmeno un mese di
fame”. Questo è più chiaro. Ma è vero?
Ai
cittadini di Andria darà da pensare Calvino, che fra le città inventate di
Marco Polo nelle “Città invisibili” ci mette un’Andria, “la sola città che io
conosca cui convenga restare immobile nel tempo”. Di più: “Del carattere degli
abitanti d’Andria meritano di essere ricordate due virtù: la sicurezza in se
stessi e la prudenza”. Andria è una città che, pur stando a pochi chilometri da
Bari, fa provincia a sé, con Barletta e Trani, locupletata di solidi posti
pubblici, questura, Asl, consiglio metropolitano – oltre che del federiciano
Castel del Monte.
Dov’è la
mafia
Nella serie di
premi per tutti del governo Conte, ce n’è uno anche per gli editori che investono
nel digitale. Un premio si penserebbe al contario, perché investire nel
digitale è abbandonare il cartaceo – la stampa, la distribuzione, l’edicola,
già dimezzata nei numeri, e il giornale in lettura pacata, distesa, ragionata, non casuale, non per
occhiate, non nei ritagli di tempo, che non fanno opinione e nemmeno informazione.
Ma digitale è bello, e quindi il premio non si discute. Se non che.
I beneficiari
del premio sono centinaia. Per somme modeste, come è d’uso per questo governo –
le mance. Si arriva ai cetomila euro (90
mila per l’esattezza) col sesto classificato, Mondadori. E ai 200 mila euro con
il secondo e il primo classificato, Gedi e Wolters Kluiver Italia – Gedi, per
l’esattezza, 197.436, 92 euro, Wolters 200 mila precisi. Dei quali però, dei
primi due, Gedi e Wolters, l’assegno è barrato da un asterisco. Che in fondo
alla classifica si legge come segue: “Fruizione sospesa in attesa di verifica Antimafia”.
Si può dire la mafia
come Dio, in ogni luogo. O l’Antimafia, maiuscola? Wolters Kluwer non sappiamo
chi è (è, dice il prospetto, una società olandese-olandese di servizi
d’informazione per i mercati legale, sanitario, fiscale e finanziario – un’idea
non da niente, una banca senza insoluti, una miniera, che ha fatto incetta
dell’editoria professionale italiana, di editori e pubblicazioni settoriali, leggi i
marchi Ipsoa, Cedam, i marchi tecnici Utet, e altrettali). Gedi è una società
Exor, degli Agnelli, che edita “La Stampa”, “La Repubblica” e molti altri
quotidiani “di sinistra” - oltre all’“Economist” in Inghilterra.
C’erano una
volta Dio e il diavolo, ora ci sono la mafia e l’antimafia – ed è peggio: dov’è
l’inferno?
Dov’è
la mafia - 2
Alla vigilia di
Natale Vincenzo Iaquinta, il centravanti della Juventus e della Nazionale campione
del Mondo 2006, è condannato in appello per detenzione illegale di armi. In un
processo che vede suo padre Giuseppe,
impresario edile originario di Cutro in Calabria in attività a Reggiolo, nel reggiano, condannato
per mafia. “Fino a qualche anno fa ero un campione del mondo. Oggi con mio
padre Giuseppe sono vittima della giustizia italiana”, ha videomessaggiato il
calciatore. Con parole da avvocato, ma sdegnato: a torto a ragione?
Il padre è
condannato in una inchiesta, “Aemilia”, che ha colpito tutti i (piccoli) imprenditori
calabresi nel reggiano. Tutti mafiosi, affiliati di un Nicolino Grande Aracri. Non
è un caso: era successo prima in Piemonte e in molti casi nel milanese: quando
gli immigrati diventati imprenditori danno fastidio – lavorano bene a prezzi
competitivi – l’accusa interviene di associazione mafiosa. Non c’è da
dimostrare nulla: fra i dipendenti o le frequentazioni c’è sempre qualcuno che
ha un parente, di sangue o acquisito, o anche solo un compare, con precedenti.
E la mafia è fatta, non c’è reato da dimostrare.
Giuseppe Iaquinta,
dice “la Repubblica-Bologna”, era un imprenditore di successo. Nel 2012 è stato
escluso dagli appalti pubblici, dal prefetto di Reggio Emilia Antonella de
Miro, come è nei poteri dei prefetti, incontestabili. Nel 2015 è stato
dichiarato mafioso. Al primo processo, scrive “la Repubblica Bologna”, un fatto
incontrovertibile fu accertato: “Che
Iaquinta faccia parte dell’ambiente, per i magistrati è dimostrato da una
storia in apparenza minore: un’estate alla casa al mare in Calabria gli rubano
due ombrelloni. Avrebbe potuto lasciar correre, o al contrario denunciare.
Invece chiama un piccolo mafioso locale e se ne lamenta. E tutto si risolve in
poche ore, con gli ombrelloni tornati miracolosamente al loro posto. Per l’accusa
è la dimostrazione dell’atteggiamento mafioso”.
Vincenzo, il
figlio, il calciatore, è condannato in tribunale e ora in appello a due anni per
un motivo semplice. L’interdittiva prefettizia del 2012 alla Iaquinta
Costruzioni comporta il ritiro del porto d’armi, e delle armi costudite in
virtù del permesso. Vincenzo Iaquinta immagina l’interdittiva parte di un
tranello mafioso: “Acquista due
pistole”, spiega il cronista di “la Repubblica-Bologna”, ed invece di
custodirle a casa propria le consegna al padre. È un reato”. Da qui la condanna,
ma solo a due anni, essendo bene o male un nazionale di calcio, con la condizionale.
Nello stesso
appello, al processo “Aemilia”, Grande Aracri è stato condannato all’ergastolo per
due omicidi. Assolti invece i tre coimputati, condannati in primo grado, “per
non avere commesso il fatto”.
Il primo virus
Milano ha
coltivato a più riprese, in questo ritorno di contagio, l’idea di porsi
all’origine della pandemia. Che ha datato a novembre 2019, forse a metà
novembre, comunque prima di Wuhan. Si occupa cioè non di confutare una possibile
accusa del genere - è ben un’accusa – ma di attribuirsela, come un
primato. Come un blasone: che Cina, il focolaio
è la Lombardia! Che sembra stupido, e probabilmente, fatti i conti, lo è. Ma il
bisogno di oneupmanship, sono il
primo e il migliore, è indistruttibile, una malattia.
Lo stesso
bisogno è comune ai tedeschi. Un
complesso di superiorità che è di inferiorità, il bisogno di dirsi sempre
i primi e i migliori. Forse per la comune origine “razziale”, di tradizioni e
quindi di mentalità e linguaggi – ma i tedeschi svizzeri, austriaci, di Boemia e
di Transilvania non ce l’hanno. Di sicuro è dei popoli sconfitti, che hanno in
perpetuo bisogno di rigenerarsi. Ma chi ha sconfitto Milano, che nessuno nemmeno combatte?
O forse Milano
vuole imitare Roma, che la Rai ha celebrato con “Il primo re”, di squartamenti
con le mani, le pietre, e a randellate.
La storia si può
raccontare anche così. A Pechino il regime trinariciuto non si smentisce, e
lavora alacre per dimostrare che il coronavirus
è stato importato in Cina da qualche servizio segreto estero. Pronta la Lombarda
rivendica il primato dell’infezione, a metà novembre 2019, in un bambino di quattro
anni. Il leghismo se la batte con l’arcicomunismo? In effetti è un primato.
leuzzi@antiit.eu
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