sabato 2 gennaio 2021

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (444)

Giuseppe Leuzzi

I Wiener Philarmoniker hanno suonato il concerto di Capodanno ammassati, e senza mascherina – compreso il maestro Muti, pure tanto osservante. Inframezzati da proibitissimi balletti in coppia.  Un’ora prima l’orchestra della Fenice e il coro si vedevano in tv distanziati e (eccetto naturalmente i fiati) con la mascherina, compreso il maestro Daniel Harding. Il contagio è una cosa seria. Oppure no? Ordine e disordine non hanno parallelo.
 
Si dice - il Musikverein di Vienna fa dire - che i Philarmoniker avevano fatto il tampone, così Muti, i ballerini e tutti. Ma: e l’esempio? Sarebbe costato disfare le poltrone di platea per sistemarvi l’orchestra, ma il contagio è una cosa seria. Oppure no – è per sfigati?
 
“Io amo le donne del Nord, più chiare, responsabili”, dice Orlando, uno dei (troppi) personaggi di “Un Marziano a Roma”, la commedia di Flaiano. Però le vuole “inserite nella Natura”, maiuscola. Anzi, aggiunge, “semmai il loro mistero è questo: la naturalezza”.
Che avrà voluto dire? Il Nord confonde l’abruzzese Flaiano.
 
“Conosce la questione meridionale?”, chiede un altro personaggio della stessa commedia, di nome Orlando, al Marziano. Il quale risponde: “Non conosco nemmeno un mese di fame”. Questo è più chiaro. Ma è vero?
 
Ai cittadini di Andria darà da pensare Calvino, che fra le città inventate di Marco Polo nelle “Città invisibili” ci mette un’Andria, “la sola città che io conosca cui convenga restare immobile nel tempo”. Di più: “Del carattere degli abitanti d’Andria meritano di essere ricordate due virtù: la sicurezza in se stessi e la prudenza”. Andria è una città che, pur stando a pochi chilometri da Bari, fa provincia a sé, con Barletta e Trani, locupletata di solidi posti pubblici, questura, Asl, consiglio metropolitano – oltre che del federiciano Castel del Monte. 
 
Dov’è la mafia
Nella serie di premi per tutti del governo Conte, ce n’è uno anche per gli editori che investono nel digitale. Un premio si penserebbe al contario, perché investire nel digitale è abbandonare il cartaceo – la stampa, la distribuzione, l’edicola, già dimezzata nei numeri, e il giornale in lettura pacata,  distesa, ragionata, non casuale, non per occhiate, non nei ritagli di tempo, che non fanno opinione e nemmeno informazione. Ma digitale è bello, e quindi il premio non si discute. Se non che.
I beneficiari del premio sono centinaia. Per somme modeste, come è d’uso per questo governo – le mance. Si  arriva ai cetomila euro (90 mila per l’esattezza) col sesto classificato, Mondadori. E ai 200 mila euro con il secondo e il primo classificato, Gedi e Wolters Kluiver Italia – Gedi, per l’esattezza, 197.436, 92 euro, Wolters 200 mila precisi. Dei quali però, dei primi due, Gedi e Wolters, l’assegno è barrato da un asterisco. Che in fondo alla classifica si legge come segue: “Fruizione sospesa in attesa di verifica Antimafia”.
Si può dire la mafia come Dio, in ogni luogo. O l’Antimafia, maiuscola? Wolters Kluwer non sappiamo chi è (è, dice il prospetto, una società olandese-olandese di servizi d’informazione per i mercati legale, sanitario, fiscale e finanziario – un’idea non da niente, una banca senza insoluti, una miniera, che ha fatto incetta dell’editoria professionale italiana, di editori e pubblicazioni settoriali, leggi i marchi Ipsoa, Cedam, i marchi tecnici Utet, e altrettali). Gedi è una società Exor, degli Agnelli, che edita “La Stampa”, “La Repubblica” e molti altri quotidiani “di sinistra” - oltre all’“Economist” in Inghilterra.
C’erano una volta Dio e il diavolo, ora ci sono la mafia e l’antimafia – ed è peggio: dov’è l’inferno?
 
Dov’è la mafia - 2
Alla vigilia di Natale Vincenzo Iaquinta, il centravanti della Juventus e della Nazionale campione del Mondo 2006, è condannato in appello per detenzione illegale di armi. In un processo che vede suo padre Giuseppe, impresario edile originario di Cutro in Calabria in attività a Reggiolo, nel reggiano, condannato per mafia. “Fino a qualche anno fa ero un campione del mondo. Oggi con mio padre Giuseppe sono vittima della giustizia italiana”, ha videomessaggiato il calciatore. Con parole da avvocato, ma sdegnato: a torto a ragione?
Il padre è condannato in una inchiesta, “Aemilia”, che ha colpito tutti i (piccoli) imprenditori calabresi nel reggiano. Tutti mafiosi, affiliati di un Nicolino Grande Aracri. Non è un caso: era successo prima in Piemonte e in molti casi nel milanese: quando gli immigrati diventati imprenditori danno fastidio – lavorano bene a prezzi competitivi – l’accusa interviene di associazione mafiosa. Non c’è da dimostrare nulla: fra i dipendenti o le frequentazioni c’è sempre qualcuno che ha un parente, di sangue o acquisito, o anche solo un compare, con precedenti. E la mafia è fatta, non c’è reato da dimostrare.
Giuseppe Iaquinta, dice “la Repubblica-Bologna”, era un imprenditore di successo. Nel 2012 è stato escluso dagli appalti pubblici, dal prefetto di Reggio Emilia Antonella de Miro, come è nei poteri dei prefetti, incontestabili. Nel 2015 è stato dichiarato mafioso. Al primo processo, scrive “la Repubblica Bologna”, un fatto incontrovertibile fu accertato: “Che Iaquinta faccia parte dell’ambiente, per i magistrati è dimostrato da una storia in apparenza minore: un’estate alla casa al mare in Calabria gli rubano due ombrelloni. Avrebbe potuto lasciar correre, o al contrario denunciare. Invece chiama un piccolo mafioso locale e se ne lamenta. E tutto si risolve in poche ore, con gli ombrelloni tornati miracolosamente al loro posto. Per l’accusa è la dimostrazione dell’atteggiamento mafioso”.
Vincenzo, il figlio, il calciatore, è condannato in tribunale e ora in appello a due anni per un motivo semplice. L’interdittiva prefettizia del 2012 alla Iaquinta Costruzioni comporta il ritiro del porto d’armi, e delle armi costudite in virtù del permesso. Vincenzo Iaquinta immagina l’interdittiva parte di un tranello mafioso: “Acquista due pistole”, spiega il cronista di “la Repubblica-Bologna”, ed invece di custodirle a casa propria le consegna al padre. È un reato”. Da qui la condanna, ma solo a due anni, essendo bene o male un nazionale di calcio, con la condizionale. 
Nello stesso appello, al processo “Aemilia”, Grande Aracri è stato condannato all’ergastolo per due omicidi. Assolti invece i tre coimputati, condannati in primo grado, “per non avere commesso il fatto”.
 
Il primo virus
Milano ha coltivato a più riprese, in questo ritorno di contagio, l’idea di porsi all’origine della pandemia. Che ha datato a novembre 2019, forse a metà novembre, comunque prima di Wuhan. Si occupa cioè non di confutare una possibile accusa del genere - è ben un’accusa – ma di attribuirsela, come un primato.  Come un blasone: che Cina, il focolaio è la Lombardia! Che sembra stupido, e probabilmente, fatti i conti, lo è. Ma il bisogno di oneupmanship, sono il primo e il migliore, è indistruttibile, una malattia.
Lo stesso bisogno è comune ai tedeschi. Un  complesso di superiorità che è di inferiorità, il bisogno di dirsi sempre i primi e i migliori. Forse per la comune origine “razziale”, di tradizioni e quindi di mentalità e linguaggi – ma i tedeschi svizzeri, austriaci, di Boemia e di Transilvania non ce l’hanno. Di sicuro è dei popoli sconfitti, che hanno in perpetuo bisogno di rigenerarsi. Ma chi ha sconfitto Milano, che nessuno nemmeno combatte?
O forse Milano vuole imitare Roma, che la Rai ha celebrato con “Il primo re”, di squartamenti con le mani, le pietre, e a randellate.   
La storia si può raccontare anche così. A Pechino il regime trinariciuto non si smentisce, e lavora  alacre per dimostrare che il coronavirus è stato importato in Cina da qualche servizio segreto estero. Pronta la Lombarda rivendica il primato dell’infezione, a metà novembre 2019, in un bambino di quattro anni. Il leghismo se la batte con l’arcicomunismo? In effetti è un primato.

leuzzi@antiit.eu

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