martedì 12 gennaio 2021

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (445)

Giuseppe Leuzzi

Nel Sud di Flaiano c’è, c’era al tempo al tempo dei “contatti” e delle “interferenze” al telefono, gli anni 1970, “gente che non conosce i numeri e telefona lo stesso convinta che facendo ruotare il disco risponda la persona che cerca. Questo succede nel Sud, specialmente, dove la fede nel soprannaturale quotidiano è più viva”.
Però, non è bergamasco, è proprio ironia meridionale.

Fanno pena i Comuni commissariati, il Sud ne è pieno. Inattivi nei tempi normali, che durano chissà perché ben diciotto mesi, da un anno sono un deserto. I commissari, che normalmente non fanno, ora non vengono. E la manna continua: il governo dei prefetti provvidente allontana le elezioni e la sinecura si allunga: più contagi più compensi (2,7 milioni al commissario, mensili, 1,6 ai subcommissari), a spese del Comune. Comodamente, a casa.

I commissari di giustizia
Il presidente della regione Calabria Oliverio è stato assolto – insieme con gli altri capi regionali del suo partito, il Pd – in tempi relativamente brevi. Quanto bastava a impedirgli di ricandidarsi e al Pd di rivincere. Ma per un  motivo giusto: l’inconsistenza della pubblica accusa, della Procura della Repubblica di Catanzaro.
Non è la prima volta che le retate del procuratore speedy gonzales Gratteri si dissolvono in dibattimento. Il giudice Gratteri è sotto scorta perché minacciato dalla mafia, e quindi merita rispetto. Ma è anche scrittore, in rete si definisce saggista, pubblica un libro di mafia ogni pochi mesi, più di Saviano, e partecipa sorridente ai talk-show. Ama punire anche la politica. È la giustizia? In Calabria sì - la Regione è commissariata, non solo nei tanti Comuni e nella famosa Sanità: nella giustizia ancora di più, e nella politica.
Il giudice ama punire tutta la politica: Gratteri si professa di sinsitra, e voleva essere ministro nel governo Renzi, ma ha colpito, come si vede con Oliverio, anche la sua parte.
Ci sono processi anti male, per indagini sbagliate e condotte male, e ci sono errori giudiziari. Ma il ritardo non è un errore. L’assoluzione di Mannino dall’accusa di mafia, insidiosa, dopo trent’anni. L’accanimento neanche. Le migliaia di perquisizioni a carico di Berlusconi. I diciannove processi a Bassolino, con diciannove assoluzioni. E la pretestuosità – tutti siamo colpevoli di qualcosa, ma… Conoscendo le carte del processo, quello a Oliverio non era un atto dovuto ma voluto.
Si candida a sindaco di Napoli l’ex Capo della Procura, e alla regione Calabria il sindaco uscente di Napoli De Magistris. Questo va Calabria solo perché c’è stato giovane magistrato di prima nomina, esiliato insofferente, lui che proviene dalla nobiltà di toga napoletana, e fece di tutto per farsi  nominare a Napoli – si accontentò di Santa Maria Capua Vetere, pur di lasciare la Calabria. Dove, a questo piccolo suo fine, il trasferimento, inventò inchieste mostruose, “Poseidone” et al, finite nel nulla, ma dopo innumerevoli “processi” sui giornali e in tv.
Nella inchiesta più celebre di De Magistris, Romano Prodi era a capo di una loggia massonica di San Marino, con la quale si appropriava i fondi regionali calabresi per la formazione professionale. Testimone d’accusa un carcerato, condannato per traffici sui fondi per la formazione professionale.
 
Mafia cinese
La Cina si compra tutto a buon prezzo – paga bene. Non c’è attività, produzione o servizio, che non trobi compratori in Cina, presto e bene. Si direbbe uan forma di imperailismo economico. Una sorta di disegno politico, cioè, dell’occhiutissimo regime comunista cinese. Non è da escludere. Ma ha molte somiglianze col riciclaggio.
In piccolo, lo stesso procedimento è delle mafie: investire la liquidità facile e ingente in una qualche attività legale e lecita. Qualsiasi, una pasticceria come un’officina, un rudere come una tenuta agricola. A qualsiasi prezzo. E senza necessità di un ritorno sull’investimento - più spesso si preferisce un rapido fallimento.
La liquidità cinese, che sembra inesauribile, è legale e, è da presumere, controllata. Ma l’accumulazione vi fa bene aggio, se non sulla cocaina, sul lavoro servile - senza orario, senza minimo retributivo (le leggi ci sono, ma orari e paghe sono le poche cose che il regime non controlla). Di sfruttamento analogo a quello mafioso, seppure legale (politico). La sola differenza sostanziale è la natura del sopruso, se personale o legale.
La mafia legale, certo, è un’apoteosi – si dirà di Riina come di Romolo, di Numa Pompilio.
 
Il Sud ha perso la memoria 
Eiaculazioni, all’inglese per esclamazioni e declamazioni, retorica a sfare, classicità su classicità, dominazioni su dominazioni, si direbbe che al Sud la storia sovrabbondi. Ma tanta roboanza, comune da Napoli a Palermo, copre uno straordinario difetto di memoria. Da Napoli a Palermo si direbbe si vive come nel bush, parlano solo i tamburi, e non si tengono gli annali, si vive giorno per giorno, raccontandosi le stesse storie.
Anche la storia, per la verità, non è che brilli. Si presenta particolareggiata, diffusa, miriadi di storie locali, testimoniata, ma non per questo di qualità. Ma anche la storia, come la memoria,  è parte consistente della personalità. E difetta – scarsa, imprecisa, luogocomunitaria, e comunque poco importante – da Napoli in giù, Napoli compresa. Che pure, come la Sicilia, non difetta di annali. Che è successo dopo l’unità (i Borboni sono molto indagati, è parte della passione per le Grandi Famiglie? Che è successo con la Repubblica?
I classicismi, e le nobili prosapie, seppure di soldataglie in cerca di bottino, sanno di mania. Ma anche la mania è parte costituiva della personalità.
La memoria è peraltro cumulativa: più passa il tempo più i ricordi crescono e si irrobustiscono. Non sempre veritieri, si ricordano meglo i fatti imposti. Al Sud si direbbe l’inverso: più passa il tempo e più si assottigliano. Ma, più spesso, per sentito dire, da chi la memoria coltiva e agisce.
 
Sicilia
Dunque, la “mafia” che Manzoni aveva trovato nel “Don Chisciotte” quando cercava parole spagnole desuete, “secentesche”, per il romanzo (gliel’aveva trovata suo cognato Giuseppe Borri, fratello della seconda moglie, scrittore), era un refuso. Stava per maña, errore di uno stampatore inaccurato dell’edizione che Borri aveva letto. Generazioni di spulciatori del “Chisciotte” non l’avevano trovata. Ora, pare, si è trovata l’edizione col refuso fatale.
La “scoperta” di Manzoni aveva entusiasmato Sciascia. In effetti la storia è “siciliana”: essere e non essere, e forse che sì e forse che no. Ma la mafia vince sempre, anche in filologia? Un po’ meno rispetto.
 
Sciascia, che si celebra per il centenario come scrittore, come è giusto, e come moralista, come è dubbio, temeva la “sicilianizzazione” dell’Italia – la “linea della pama”. La temeva al punto da vederla già in corso. Ma non è che la Sicilia è stata “italianizzata”?  Come è evidente.
 
Nel viaggio in Sicilia nell’estate del 1982 per “la Repubblica” di Scalfari – con la famosa intervista al gen. Dalla Chiesa, che presagiva la strage di tre mesi dopo – Giorgio Bocca a Villia Igiea a Palermo chiede a Sciascia indicazioni per un’inchiesta sulla mafia ad Agrigento. Sciascia lo va a trovare, racconta Bocca ne “Il provinciale”, e gli spiega tutto quello che sa. Bocca gli chiede qualche nome dell’agrigentino, Sciascia gliene dà alcuni. “«E gli indirizzi?» «non servono», disse, «li conoscono tutti»”.
Bocca va ad Agrigento,  i nomi sono quelli dei capicosca. “Non ne riparlai con Sciascia”, continua Bocca, “avevo capito che mi aveva fornito un suo apologo: solo la mafia conosce se stessa”.
Che vuol dire? Le vittime della mafia la conoscono meglio.
 
“Specialisssimo genius loci” Pietrangelo Buttafuoco vuole l’impostura – su “Le Lettura” del 3 gennaio: “Quela dell’abate Vella raccontata” da Sciascia nel “Consiglio d’Egitto”. Ma se è linguaggio comune come è materia di romanzo?  Non sarà una questione di cervicale, che porta al malumore - sarà stanca la Sicilia di guardare il mondo dal basso?
 
Però è vero, sempre Buttafuoco: “Tra le botole dei luoghi comuni, quella della Sicilia è delle più capienti”.
 
Furono sicliani importanti razzisti negli anni di Mussolini, antimeridionalisti prima che antisemiti: il gesuita Pietro Tacchi Venturi, il giornalista influente Telesio  Interlandi.
 
È piena di Goethe, nelle piazze e nelle strade. E sui muri là dove Goethe è passato – o  non è passato, non importa, all’epoca chi lo conosceva – il libro che celebra l’Italia, e la Sicilia, poi l’ha scritto trent’anni dopo il viaggio. Anche solo una notte. Una consolazione, come se l’isola non credesse a se stessa, al celebre verso di Mignon, “conosci il paese dove il limone fiorisce?”. Troppa grazia?
 
Morì a Messina Polidoro Caldara detto da Caravaggio, rifugiato in città da Roma dopo il Sacco – ucciso da un discepolo, Tono (“Tonno”, dice wikipedia) Calabrese, durante un tentativo di rapina. Un ragazzetto, per come lo ha lasciato dipinto Polidoro nell’“Adorazione dei pastori” a Capodimonte, uno dei tanti. Nel primo catalogo del secolo d’oro, di Giovan Paolo Lomazzo, “Idea del Tempio della Pittura”, 1590, Polidoro da Caravaggio è tra i sette “governatori dell’arte”, lui con Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Mantegna ,Tiziano, e Gaudenzio Ferrari.

leuzzi@antiit.eu

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