Giuseppe Leuzzi
La terra dell’abbondanza
Italia era il primo
nome della Calabria.
Calabria, terra
dell’abbondanza, era allora il Salento.
La ragazza della
pasticceria di Patrasso, che ci invidia perché torniamo in Italia, richiesta di cosa è per
lei Italia, dopo una riflessione dice: “È grande”. Grandi certo le pianure. per
uno che arriva dalla Grecia, grandi gli ulivi. Grandissimi in Calabria, nella
piana di Gioia.
Un’imposta di scopo contro le imposte
Non decidere la
spesa in base alle proprie entrate, ma fissare le entrate in base alle proprie
spese. Non fare una festa o una grande spesa in base alle entrate, ma la
pressione fiscale decidere in base a quanto si vuole spendere per le feste o
per le guerre.
Federico Zeri,
trovandosi in casi del genere nel suo lavoro di ricercatore d’arte (“Dietro l’immagine”,
253), dice la pratica assurda: “I criteri su cui si fondava questo tipo di
economia oggi parrebbero assurdi”. Ma non lo erano in quella che chiama “economia
precapitalista” – no, semmai prestatalista: sono gli Stati alla fin fine, per
quanto male se ne voglia dire, che hanno introdotto le costituzioni, le leggi,
l’uguaglianza, con le repubbliche, o le monarchie comunque costituzionali.
Ma era un’economia
anche lombarda, milanese.
Zeri vi s’imbatte
cercando i pagamenti di opere commissionate a Milano a Antonello da Messina e a
Petrus Christus, quando li trova iscritti – Antonio Messinese e Pietro di
Bourges (Bruges) – al capitolo “arcieri”. Come mai, si chiede, questa assurdità.
La politica della spesa era fiscale: “Il duca di Milano non spendeva in base
alla proprie entrate, ma fissava le entrate in base alle proprie spese. Non è
che faceva una festa commisurandola al suo reddito: commisurava la pressione
fiscale a quanto gli era costata la festa”. Si vede che per pagarsi il messinese
e il fiammingo aveva messo una tassa per la guerra o per gli arcieri, i
fucilieri di una volta.
Ma non solo il
duca di Milano, bisogna dire. Dappertutto e a lungo, anche tutt’ora, si
impongono tasse per Grandi Opere (si chiama così ora la spesa suntuaria) e guerre - di pacificazione naturalmente, di liberazione. È l’uso che la Scienza delle Finanze ha poi nobilitato in imposta di
scopo. Ma il capriccio era – è - a Milano senza contraccettivi.
O è un vezzo
italiano – italiano per dire “lombardo”, dominante?
No, l’Italia
spende senza curarsi di mettere le tasse. Non si cura nemmeno di quanto spende
di interessi, spende a debito e basta (“tanto i soldi te li buttano dietro”,
oggi, “troppo grande per fallire”, ieri, una ragione si trova). Oppure ha messo talmente tante tasse che non
sa più da dove spremerle - da ultimo il professor Monti dieci anni fa, che ne
ha introdotte in tutti gli interstizi, la spazzatura, la corrente elettrica, il
conto corrente, il conto titoli, il rudere in campagna, la casa dei nonni al
paese, le sigarette, la birra, i bolli, bolli per tutto (ma, certo, Monti è ben lombardo,
milanese, erede del duca, anche se non ha all’attivo né Antonello né i
fiamminghi).
In “Fuori l’Italia
dal Sud”, 1992, facevamo il caso del guidrigildo, la vecchia tassa germanica
che Federico II di Svevia aveva introdotto anche nel suo illuminato regno meridionale,
come mezzo per contrastare le mafie: il risarcimento in denaro di un delitto.
La tassa era stata in vigore in Italia tra i Longobardi e resa legale con l’editto di Rotari,
643. Una vita si pagava in denaro, al danneggiato o ai suoi parenti (per metà,
l’altra metà andava al capo-tribù, o re), secondo coefficienti diversi in base
al sesso e alla condizione sociale. Un uomo (900 solidi) valeva meno di una
donna (1.200), se liberi, se schiavi meno, un ricco valeva più di un povero,
eccetera, e varie cifre erano fissate per i vari arti menomati. “La consuetudine
si estinse”, dice la Treccani, “nel secolo 14° col prevalere dell’autorità
pubblica”.
Oggi i lombardi
non si ammazzano più, e quindi niente guidrigildo. Ma un’imposta di scopo è sempre
possibile – e non sarebbe auspicabile? Un’imposta per abolire le imposte –
insomma ridurle. Si chiama consolidamento, e ci tirerebbe fuori dal fallimento
prossimo venturo. Ma poi Milano, certo, come guadagnerebbe senza debito – si
dice Milano per dire le banche, le assicurazioni, il commercio, la pubblicità?
Pascolo abusivo
“Non
è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno”, ma anche d’estate, di
Corrado Alvaro, l’incipit celebrato di “Gente in Asromonte”, è dire poco: è
difficile e dura. Anche oggi. Il pastore va in Panda o in Jeep, a seguire il gregge, anzi a seguirlo lascia
il cane, lui si limita ala mungitura, quando non la fa meccanica, ma non ha pascolo,
soprattutto dopo l’appropriazione dei terreni comuni per usi civici. Invadente, dannoso,
odiato più che disprezzato.
Oggi
gli armenti si possono nutrire con i mangimi. Che comportano meno fatica e
ingrassano di più e in meno tempo – il gregge non deve scarpinare. Ma i mangimi
costano, e il pastore piccolo non se li può permettere. Altri allevatori invece non li
adoperano per principio: il mangime è composito, può contenere sostanze
animali, e nutrire un mammifero con sostanze animali è pericoloso.
E
insomma, la pastorale è amara - non è come le pastorellerie, musicali e
poetiche, la vogliono. Ed è all’origine di molta delinquenza, la storia delle
origini e cause delle mafie dovrà tenerne conto. Molto brigantaggio è nato e si
è radicato al Sud a partire dal “pascolo abusivo”. Il reato è oggi derubricato,
ma la denuncia comportava arresti e multe - il mancato pagamento delle multe
portava causein Tribunale e altra prigione - e allora tanto valeva ribellarsi.
Milano
Letizia
Moratti, grande volontaria, filantropa, caritatevole, generosa, forse anche buona credente, come
sogliono i lombardi, vuole il vaccino somministrato per prima ai ricchi. Il leghismo
in effetti non è una politica: è un stato d’animo, un modo d’essere. Per gli
altri la carità, perché no.
La
Lombardia era il socialismo in Italia fino a Mussolini. La documentazione
grafica di “Pcd’I 1921”, il libro sulla nascita del partito Comunista, di Gian
Giacomo Cavicchioli e Emilio Gianni, ha una grande Lombardia troneggiante nelle
cartine degli esiti elettorali per i partiti socialisti nel 1921 e nel 1924. Un
quarto dell’elettorato socialista italiano era lombardo: ben il 24,4 per cento
dei suffragi dei due partiti nel 1921, e il 28,7 per cento nel 1924.
Ma
già nella seconda tornata i voti socialisti si erano molto ridotti in Lombardia, da 470 a 300
mila.
“Condanno
sia il neoliberismo sia il populismo”: è tassativo sul “Corriere della sera”, giornale
milanese, l’arcivescovo di Milano Delpini. Si sentirà assediato in mare aperto.
Nella capitale del neoliberismo e del populismo.
“Milano
al buio non male”, Francesco Recami,
milanese di adozione - “Ottobre in giallo a Milano”.
“La
Milanese - Capricci, stili, genio e
nevrosi della donna che tutto il mondo ci invidia”, è titolo dell’editore
Solferino, milanese, scritto da Michela Proietti, che è umbra (parente?) ma è
anch’essa milanese d’adozione. Può quindi pagare il suo tributo da esterna.
Uno
“scenario Bergamo” come metafora di apocalissi evoca il settimanale socialdemocratico
tedesco “Die Zeit” il 12 novembre, lanciando l’allarme che un mese dopo ha
portato il governo Federale della Germania e i Länder alla chiusura totale (lockdown). Ma di questo non si è saputo
nella pur solerte stampa lombarda, attenta a tutti gli echi.
“Case
che si voltano la schiena nei prati di nebbia”, trova a Milano il narratore del racconto di Calvino “Amore
lontano da casa”, 1946. Le case a Milano indispettivano anche l’ingegnere Gadda,
la facciata delle case, senza identità.
Tano
Grasso la assolve anche dall’“episodio” dei bravi nel Seicento: “L’episodio dei
bravi sembra un contesto mafioso ma non lo è”, spiega all’università di
Catanzaro: “Perché non sono autonomi e perché non c’è la rottura dello stato di
diritto, nel Seicento di Manzoni quelle prevaricazioni erano accettate”.
Prodezza
sicula, di dire tre cose e il loro contrario in una sola frase. Oppure: non si
è Tano Grasso, avvocato dell’antipizzo, se non a Milano – è una questione di
pubblicità?
gleuzzi@antiit.eu
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