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Consigli di lettura di Virginia Woolf, non ortodossi
“Dove dobbiamo ridere leggendo il
greco?”. Sono tanti i problemi: “Non ci sono scuole, né predecessori né eredi”.
Anzi, “è perfettamente inutile leggere traduzioni dal greco”. La traduzione non
può che proporci “echi e associazioni”. E non è possibile rendere “gli accenti
più lievi, il battere e il levare delle parole”. E “dove dobbiamo ridere leggendo
il greco?” Ma poi ci prova, tanti problemi aguzzano l’ingegno.
“Quella greca è la letteratura
dell’impersonale”. Ma “è anche la letteratura dei capolavori. Non ci sono
scuole, né predecessori né eredi” – il che non è vero, ma dà l’idea: non si può
farne una “storia della letteratura”. Con un’eccezione: “Almeno una generazione
in quel tempo fortunato ha prodotto la massima esplosione di scrittori”.
In inglese il titolo del saggio suona
“sul non sapere il greco”, è cioè un invito a un’indagine. Ma si presenta come una lettura dei tragici
greci, ambiziosa e confusa – la mancata traduzione delle citazioni greche non
aiuta. Sul presupposto che “non sappiamo nulla” dei greci, come parlavano, come
recitavano. Sappiamo solo di loro strane morti: Euripide sbranato dai cani,
Eschilo colpito da un sasso. Woolf intanto li situa geograficamente: stanno al
Sud, avevano luce e calore, vivevano un po’ come si vive ora in Italia, con le
piazze e i passeggi, per cui “i piccoli fatti di ogni giorno vengono discussi
in strada piuttosto che in salotto, e diventano teatrali”, roba da “persone
loquaci”, con “quel tono irrisorio, quella giovialità, quella scioltezza di
spirito e di lingua perculiari alle razze del Sud”. Col che non ha risolto nulla,
ma spiega la funzione del coro. E poi: un scrittura senza riscritture.
“L’autore doveva pensare più all’insieme che ai dettagli”. Il suo pubblico
era “un popolo come quello ateniese, che
giudicava a orecchio seduto in un teatro all’aperto, o ascoltando una diatriba
nella piazza del mercato, molto meno incline di noi a spezzare le frasi e ad
apprezzarle slegate dal contesto”.
Quattro saggi umorali, ma
per questo anche originali, qualche dubbio o problema lo lasciano. Quanto sono
fruibili le letterature “altre”, quella inglese per esempio per gli americani, per i letterati americamo, perfino per Henry
James. O quella russa per gli inglesi – e ogni altro, è da supporre: bisogna
sapere molte cose prima di entrare in Cechov, Dostoevskij, Tolstòj – bisogna
scoprire l’“anima” per i primi due, per Tolstòj la cosa è più complessa.
Peggio è con gli elisabettiani,
la cui lettura viene ribaltata nel secondo saggio in più punti: che cosa sono,
tirando le somme, e chi era chi, e chi doveva a chi. “Ci sono, bisogna ammetterlo, alcune aree davvero straordinarie nella
letteratura inglese, una delle quali è quella giungla, foresta o landa
disabitata che è il dramma elisabettiano”. Peggio, “per il lettore comune una
sorta di ordalia, un’esperienza traumatizzante che lo riempie di domande e lo
tormenta di dubbi, deliziandolo e al tempo stesso affliggendolo”. Drammi all’apparenza
“meravigliosi”, pieni di cavalieri, duchi e damigelle, che però “passano l’esistenza
tra intrighi e delitti, si vestono da uomini se sono donne, da donne se sono
uomini, vedono fantasmi. Perdono il senno e muoiono in grandissima profusione
alla minima provocazione, proferendo – mentre cadono (ma non è come sarà
all’opera? n.d.r.) – imprecazioni dal superbo vigore o elegia di disperata
ferocia”. Ma, poi, sono “per lunghissimi tratti così intollerabilmente tediosi”. E
uno: “Gli elisabettiani ci annoiano perché i loro miti sono tutti duchi, le loro
Liverpool tutte isole mitiche o palazzi genovesi” E due: “Gli elisabettiani ci
annoiano perché soffocano la nostra immaginazione, piuttosto che darle da
lavorare”. Anche se, con tutti i loro limiti, sono lontani “dal tedio inflitto
da un’opera teatrale del XVIIImo secolo”. Col recupero di John Ford, “Peccato
che sia aan puttana”, con annotazioni, alle pp. 42-43, che sono note di regia,
di programma di sala.
“Come leggere un libro?”, “saggio letto in una
scuola, il quarto saggio, non aiuta molto. Ma sì in un punto importante:
lasciare che il rapporto col libro – stiamo parlando del romanzo, anche della
poesia – si stabilisca direttamente, non per consiglio o imposizione del discente. Un’idea non male,
specie per le letture estive consigliate.
Virginia Woolf, Non sapere il greco, Garzanti, pp. 91 €
4,90
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