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Il cinema, prima passione di Sciascia
“Questo non è un racconto” è per
Sergio Leone, il regista - “l’incipit è di Diderot”. È “un soggetto per un
film”, che diverte Sciascia e lo impegna anche: dà il tono, se non i particolari
della storia, di “C’era una volta l’America”, nientemeno. Anche se
Squillacioti, che ha curato la raccolta, e Vito Catalano, il nipote di Sciascia
che ha recuperato i materiali tra gli inediti, sviliscono la sua partecipazione al capolavoro di Leone – Catalano già nel lungo scritto “Quello scrittore che
disse «no» a Sergio Leone”, sul “Messaggero” del 20 gennaio 2019. Sviliscono il
rapporto tra Sciascia e Leone. E perfino il gusto dello scrittore per il
cinema: tanto amato, spiegano, fino ai vent’anni, ma rifiutato ai quaranta. Il
che non è falso, Sciascia lo scrive netto nel 1965, a proposito di “Antonioni,
Bergman, Pasolini”, p. 84: “Non c’è film, per quanto buono, che valga un libro
anche mediocre”, Va al cinema di rado, scrive anche, e quasi mai resiste fino
alla fine.
Un biografo obietterebbe: non è
credibile. Squillacioti stesso richiama una testimonianza di Sciascia in un
articolo su “La Stampa” del 1989, “Requiem per il cinema” – repertoriato nel
secondo volume Adelphi delle “Opere”, col titolo “C’era una volta il cinema”: “Fin
oltre i vent’anni sognai di fare il regista, il soggettista, lo sceneggiatore”.
Sciascia dice anche che non vede i film tratti dai suoi libri. Non è una civetteria
– o un modo per non imbarazzare produzioni e registi con i quali ha trattato i
diritti e che quindi meritano rispetto? Mentre continua a scrivere critiche e
ricordi di film vecchi e nuovi. Questa ne è la raccolta, di note per lo più non
antologizzate altrove, con alcuni inediti, tra essi i soggetti da film.
Con questa incongruenza, una
serie di note di Sciascia sul cinema, dunque, a partire dai versi – i soli
versi conosciuti di Sciascia? – in morte di Jules Berry e di Gary Cooper. Note
sapide, come tutto di Sciascia, stimolanti, godibili. Di buona lettura anche i tre racconti
da film, che aprono la raccolta: oltre al “trattamento” per Leone, spigliato,
andante con moto, professionale, due soggetti, uno per Lina Wertmueller, 1968,
su una donna di famiglia di mafia che rompe l’omertà, che la regista poi non riuscì
a realizzare, e uno per Carlo Lizzani, per un film di mafia. Catalano segnala
anche un quarto trattamento cinematografico, per “Viva l’Italia” di Roberto
Rossellini, 1959, trovato tra le carte di Sciascia: la sceneggiatura di tre
episodi che non avrebbero trovato poi posto nel film (ma Catalano non ne è
sicuro), poiché il nome non figura nei crediti - “Sessantadue fogli
dattiloscritti”, che lo scrittore conservò ordinati, “tre grandi scene, della Sicilia
al momento dello sbarco di Garibaldi”. Partecipò anche, con almeno un testo recepito
dal regista Vancini, nel 1962 al film “Bronte. Cronaca di un massacro che i
libri di storia non hanno raccontato”.
Cinema o non cinema, è però vero
che un altro Sciascia il volumetto fa emergere: non il raziocinante moralista,
ma uno umorale. Voltairiano ma non del tutto, non cinico. Per essere spontaneo,
e anzi poco riflessivo. Squillacioti ricorda l’infatuazione per Marylin Monroe
in testi qui non ricompresi. Ma basta l’eulogia “I miti del cinema”, per il
film “The Misfits”, a proposito del concetto di “inadeguatezza” oggi imperante
in psicologia: “Il ritratto della donna inadatta
vien fuori non per merito di Houston: ma di Miller che ha scritto il ritratto
di Marylin, e di Marylin che recita se stessa…. Un’americana che cerca
«qualcosa», che chiede se «c’è qualcosa che resta». Crepuscolare mito
dell’America: che non sa, quando la bellezza sfiorisce, velare gli specchi e
guardare dentro di sé”. L’America che Sciascia non conosceva e non ha voluto
conoscere, se non sui libri, e al cinema.
Sciascia esce dal guscio Sciascia,
uno scrittore multiforme?
Leonardo Sciascia, “Questo non è un racconto”, Adelphi,
pp. 170 € 13
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