sabato 30 gennaio 2021

Il cinema, prima passione di Sciascia

“Questo non è un racconto” è per Sergio Leone, il regista - “l’incipit è di Diderot”. È “un soggetto per un film”, che diverte Sciascia e lo impegna anche: dà il tono, se non i particolari della storia, di “C’era una volta l’America”, nientemeno. Anche se Squillacioti, che ha curato la raccolta, e Vito Catalano, il nipote di Sciascia che ha recuperato i materiali tra gli inediti, sviliscono la sua partecipazione al capolavoro di Leone – Catalano già nel lungo scritto “Quello scrittore che disse «no» a Sergio Leone”, sul “Messaggero” del 20 gennaio 2019. Sviliscono il rapporto tra Sciascia e Leone. E perfino il gusto dello scrittore per il cinema: tanto amato, spiegano, fino ai vent’anni, ma rifiutato ai quaranta. Il che non è falso, Sciascia lo scrive netto nel 1965, a proposito di “Antonioni, Bergman, Pasolini”, p. 84: “Non c’è film, per quanto buono, che valga un libro anche mediocre”, Va al cinema di rado, scrive anche, e quasi mai resiste fino alla fine.
Un biografo obietterebbe: non è credibile. Squillacioti stesso richiama una testimonianza di Sciascia in un articolo su “La Stampa” del 1989, “Requiem per il cinema” – repertoriato nel secondo volume Adelphi delle “Opere”, col titolo “C’era una volta il cinema”: “Fin oltre i vent’anni sognai di fare il regista, il soggettista, lo sceneggiatore”. Sciascia dice anche che non vede i film tratti dai suoi libri. Non è una civetteria – o un modo per non imbarazzare produzioni e registi con i quali ha trattato i diritti e che quindi meritano rispetto? Mentre continua a scrivere critiche e ricordi di film vecchi e nuovi. Questa ne è la raccolta, di note per lo più non antologizzate altrove, con alcuni inediti, tra essi i soggetti da film.
Con questa incongruenza, una serie di note di Sciascia sul cinema, dunque, a partire dai versi – i soli versi conosciuti di Sciascia? – in morte di Jules Berry e di Gary Cooper. Note sapide, come tutto di Sciascia, stimolanti, godibili. Di buona lettura anche i tre racconti da film, che aprono la raccolta: oltre al “trattamento” per Leone, spigliato, andante con moto, professionale, due soggetti, uno per Lina Wertmueller, 1968, su una donna di famiglia di mafia che rompe l’omertà, che la regista poi non riuscì a realizzare, e uno per Carlo Lizzani, per un film di mafia. Catalano segnala anche un quarto trattamento cinematografico, per “Viva l’Italia” di Roberto Rossellini, 1959, trovato tra le carte di Sciascia: la sceneggiatura di tre episodi che non avrebbero trovato poi posto nel film (ma Catalano non ne è sicuro), poiché il nome non figura nei crediti -  “Sessantadue fogli dattiloscritti”, che lo scrittore conservò ordinati, “tre grandi scene, della Sicilia al momento dello sbarco di Garibaldi”. Partecipò anche, con almeno un testo recepito dal regista Vancini, nel 1962 al film “Bronte. Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato”.
Cinema o non cinema, è però vero che un altro Sciascia il volumetto fa emergere: non il raziocinante moralista, ma uno umorale. Voltairiano ma non del tutto, non cinico. Per essere spontaneo, e anzi poco riflessivo. Squillacioti ricorda l’infatuazione per Marylin Monroe in testi qui non ricompresi. Ma basta l’eulogia “I miti del cinema”, per il film “The Misfits”, a proposito del concetto di “inadeguatezza” oggi imperante in psicologia: “Il ritratto della donna inadatta vien fuori non per merito di Houston: ma di Miller che ha scritto il ritratto di Marylin, e di Marylin che recita se stessa…. Un’americana che cerca «qualcosa», che chiede se «c’è qualcosa che resta». Crepuscolare mito dell’America: che non sa, quando la bellezza sfiorisce, velare gli specchi e guardare dentro di sé”. L’America che Sciascia non conosceva e non ha voluto conoscere, se non sui libri, e al cinema.
Sciascia esce dal guscio Sciascia, uno scrittore multiforme?  
Leonardo Sciascia,
“Questo non è un racconto”, Adelphi, pp. 170 € 13

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