La santità come gioia
Un’agiografia, ma umana. Di
personaggi in carne: persone – donne giovani - come tanti, senza lagne né
giaculatorie. Fatte interloquire con naturalezza da un’ottima sceneggiatura – a
parte il farsesco del Tribunale vaticano – e dal casting, tutte facce azzeccate.
Chiara, maestra a Trento, a fine
1943 sotto i bombardamenti decide di dedicarsi alla Vergine e a Cristo, per un
impegno di fratellanza e di reciproco rispetto, pur continuando la sua vita
normale, di maestra, animatrice di un gruppo di amiche. La sua “casa
dell’Amore” è subito attiva a Trento, per affamati, orfani, vedovi. Una
psicologia franca, diretta, aiutando – Cristiana Capotondi ne è interprete
quasi naturale, espressivamente: un viso che ride.
Questa semplicità poco si confà
alla chiesa, gerarchica. E alla stessa psicologia dei beneficiari, che solo
riconoscono l’autorità. Ha quindi creato più di una contestazione, già subito,
alla fine della guerra. Ma il movimento prospera ugualmente.
Campiotti ha scelto la via
semplice – dell’agiografia appunto. Poteva appesantire la storia con gli
equivoci, le minacce, i ricatti,
eccetera. Come anche le regole della suspense vorrebbero. Ha scelto la via
piana, della semplicità e la gioia, e ne ha ricavato un ottimo film: veritiero oltre che riposante.
Ottimo anche il contesto: i bombardamenti (i bombardamenti... quando se ne farà la storia, anche solo la cronistoria?), la fame, i tedesshi nemici in città, i convivi all’aperto alla Liberazione.
Giacomo Campiotti, Chiara Lubitch, Rai 1
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