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martedì 26 gennaio 2021

Letture - 446

letterautore

Bach – Anche lezioso, lo leggeva Vernon Lee, la narratrice che fu anche studiosa della musica del Settecento (“La vita musicale nell’Italia del Settecento”). In “The spirit of Rome” ha “un organo a canne ben suonato, che fa un’imitazione musette di Bach. Una cerimonia piuttosto come i 6\8 del musette, forse un pizzico troppo dell’elemento danzante, ma grave e quasi perfetta”.
Bach ha un musette, almeno uno, nei “Pezzi facili”, che certamente la scrittrice conosceva. Vuol dire che Bach può essere lieve anche nei pezzi gravi.
 
Bronte
– Il massacro dei contadini a opera d Nino Bixio, che Florestano Vancini rivelò al grande pubblico col film del 1962, vede Sciascia in opposizione a Verga – cui peraltro si deve la sola testimonianza di quell’evento per molti anni. Nella novella “Libertà”, poco dopo i fatti, 1882, Verga rappresentava la vicenda – l’occupazione delle terre e le violenze sui padroni seguite dalla repressione garibaldina – come una tragedia, un evento del destino. Sciascia ha nobilitato nel film (secondo quanto del suo contributo ha testimoniato Vancini) la parte moderata, borghese, della rivolta, che Verga aveva rimosso.
 
Cinema
– “Movimento senza la vita” lo vuole Sciascia (“Angelo Musco e il comico”, in “«Questo non è un racconto»”, 114), nostalgico del cinema muto. E per ciò portato al comico, alla “comicità di Charlie Chaplin, Harold Lloyd, Buster Keaton, Ridolini, nell’ureo silenzio del cinema, che era limite atto a potenziare il loro «meccanismo». Come pure “dei fratelli Marx, Eddie Cantor, Jerry Lewis, Totò, Macario e altri comici, il cui «»meccanismo  si avvantaggiava o scapitava della parola, consisteva in atteggiamenti, movimenti, gesti”.  
 
Coro
– Nella tragedia greca è la piazza italiana, spiega Virginia Woolf, “Non sapere il greco”, 9. Per capire Sofocle, argomenta, bisogna cambiare paesaggio: “Affilare il contorno delle colline. Vagheggiare una bellezza di pietra e terra, piuttosto che di boschi e vegetazione”. Ma col sole caldo, per molti mesi, è tutta un’altra vita: “Si sposta fuori dalle abitazioni, con il risultato, noto a chiunque visiti l’Italia, che i piccoli fatti vengono discussi in strada, piuttosto che in casa, e diventano teatrali; le persone sono loquaci”, irridenti, gioviali, sciolte “di lingua e di spirito”. E “questa è la qualità che per pima ci colpisce nella letteratura greca: il piglio fulmineo, beffardo, di strada”. Nela tragedia è il ruolo del coro.  
 
Dante
– Niccolò Tommaseo (“mi dolgono i tommasei”, lamentava lì’amico Manzoni, di cui era assiduo quasi ogni pomeriggio) ha ben tre volumi di “ragionamenti e note” attorno alla “Commedia”, di pp. 622, 735 e 732 rispettivamente, per un totale di oltre duemila pagine.

Humour – È intraducibile? È uno dei lampi di Virginia Woolf alle prese con l’inafferrabile greco, la lingua e la letteratura (“No sapere il greco”), nel punto in cui si domanda: “Dove dobbiamo ridere leggendo il greco?” Non ha la risposta, ma sa che “lo humour è il primo dono a svanire in una lingua straniera”.
 
Mussolini
– “Napoleone”, “poeta scienziato”, “va dando una nuova coltura al popolo italiano”, “ha debellato l’accademia nell’ultima delle sue incarnazioni: l’accademia del decadentismo”. Non si pone limiti Giacomo Debenedetti nell’elogio di Mussolini scrittore sul settimanale “Meridiano di Roma” il 9 maggio 1937 – un breve saggio riproposto integralmente dalla rivista “Paragone” nel 2007 e ora introvabile.
 
Pasolini
– “Una specie di sismografo” lo diceva Sciascia nel 1965, commentando il film “Il Vangelo secondo Matteo”: “Pasolini fa il «Vangelo: ed ecco che comincia il dialogo tra comunisti e cattolici. Il che, confesso, mi dà grande inquietudine”.
 
Riso
– Si sottovaluta nei tanti riferimenti quello a Hobbes, che pure è il più radicale: “tratto caratteristico della pusillanimità” lo dice, di chi è vanitoso e insieme aggressivo, presume di se stesso in confronto con gli altri specie se inermi o menomati.
 
Per Pascal invece, che lo usa contro i gesuiti - il lassismo morale -  smaschera il fatuo e l’inutile.
 
Shakespeare
– “Insuperabile nella crudeltà” lo dice Tabucchi (“Viaggi e altri viaggi”). In effetti.
Ma Marlowe lo supera, e gli altri concorrenti – gli “elisabettiani” non precorrevano la guerra civile e il macellaio Cromwell?
Oppure: tutto non è già in Seneca?
 
Sherlock Holmes – È don Chisciotte, col fedele Watson-Sancho Panza. La versione stravolta di Robert Downey, stralunato, folle, imaginifico, guitto, saltimbanco, rinvia al modello originale della coppia: don Chisciotte e Sancho Panza. Più o meno inconscio in Conan Doyle – ma era un gran lettore d a ragazzo.  
 
Viaggio – È una riscoperta. “Ogni luogo nel quale arriviamo in un viaggio è un sorta di radiografia di noi stesai”, Tabucchi, Viaggi  altri viaggi”, 183: “Un luogo non è mai solo «quel» luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi”.
Tabucchi ci arriva sul verso di Rilke: “Mi riconosci tu, aria, tu che consci i luoghi che una volta erano miei?”. Il luogo, continua, “in qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati” – il suo luogo del cuore erano le Azzorre.
 
“Il massimo piacere del viaggiare si raggiunge quando allo spostamento nello spazio si unisce lo spostamento nel tempo”, nota Mario Praz mettendo a confronto un viaggio in America e uno in Sicilia.

Zola - La moglie di Zola, Alexandrine, ragazza-madre a vent’anni, ha dovuto abbandonare la sua neonata agli enfants trouvés e non ha più potuto avere figli. Si attaccherà a quelli che del marito, Denise e Jacques. Che Zola aveva avuto, in costanza di matrimonio, con la lavandaia. Lei contentandosi di vivere la sua vita grazie ai soggiorni autunnali, i tre mesi settembre-novembre, dagli amici in Italia. Devotissima e amatissima dai figli di lui, sempre molto materna.

etterautore@antiit.eu

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