Letture - 446
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Bach – Anche
lezioso, lo leggeva Vernon Lee, la narratrice che fu anche studiosa della
musica del Settecento (“La vita musicale nell’Italia del Settecento”). In “The spirit of Rome” ha “un organo a canne ben suonato,
che fa un’imitazione musette di Bach. Una cerimonia piuttosto come i 6\8 del musette, forse
un pizzico troppo dell’elemento danzante, ma grave e quasi perfetta”.
Bach ha un musette,
almeno uno, nei “Pezzi facili”, che certamente la scrittrice conosceva. Vuol
dire che Bach può essere lieve anche nei pezzi gravi.
Bronte – Il massacro dei contadini a opera d Nino Bixio, che Florestano Vancini
rivelò al grande pubblico col film del 1962, vede Sciascia in opposizione a
Verga – cui peraltro si deve la sola testimonianza di quell’evento per molti
anni. Nella novella “Libertà”, poco dopo i fatti, 1882, Verga rappresentava la
vicenda – l’occupazione delle terre e le violenze sui padroni seguite dalla
repressione garibaldina – come una tragedia, un evento del destino. Sciascia ha
nobilitato nel film (secondo quanto del suo contributo ha testimoniato Vancini)
la parte moderata, borghese, della rivolta, che Verga aveva rimosso.
Cinema – “Movimento senza la vita” lo vuole Sciascia (“Angelo Musco e il comico”,
in “«Questo non è un racconto»”, 114), nostalgico del cinema muto. E per ciò
portato al comico, alla “comicità di Charlie Chaplin, Harold Lloyd, Buster
Keaton, Ridolini, nell’ureo silenzio del cinema, che era limite atto a
potenziare il loro «meccanismo». Come pure “dei fratelli Marx, Eddie Cantor,
Jerry Lewis, Totò, Macario e altri comici, il cui «»meccanismo si avvantaggiava o scapitava della parola,
consisteva in atteggiamenti, movimenti, gesti”.
Coro – Nella
tragedia greca è la piazza italiana, spiega Virginia Woolf, “Non sapere il
greco”, 9. Per capire Sofocle, argomenta, bisogna cambiare paesaggio: “Affilare
il contorno delle colline. Vagheggiare una bellezza di pietra e terra,
piuttosto che di boschi e vegetazione”. Ma col sole caldo, per molti mesi, è
tutta un’altra vita: “Si sposta fuori dalle abitazioni, con il risultato, noto
a chiunque visiti l’Italia, che i piccoli fatti vengono discussi in strada,
piuttosto che in casa, e diventano teatrali; le persone sono loquaci”, irridenti,
gioviali, sciolte “di lingua e di spirito”. E “questa è la qualità che per pima
ci colpisce nella letteratura greca: il piglio fulmineo, beffardo, di strada”.
Nela tragedia è il ruolo del coro.
Dante – Niccolò
Tommaseo (“mi dolgono i tommasei”, lamentava lì’amico Manzoni, di cui era assiduo
quasi ogni pomeriggio) ha ben tre volumi di “ragionamenti e note” attorno alla
“Commedia”, di pp. 622, 735 e 732 rispettivamente, per un totale di oltre
duemila pagine.
Humour – È intraducibile? È uno dei lampi di Virginia Woolf alle prese con l’inafferrabile
greco, la lingua e la letteratura (“No sapere il greco”), nel punto in cui si
domanda: “Dove dobbiamo ridere leggendo il greco?” Non ha la risposta, ma sa
che “lo humour è il primo dono a svanire in una lingua straniera”.
Mussolini – “Napoleone”, “poeta scienziato”, “va dando una nuova coltura al popolo
italiano”, “ha debellato l’accademia nell’ultima delle sue incarnazioni: l’accademia
del decadentismo”. Non si pone limiti Giacomo Debenedetti nell’elogio di Mussolini
scrittore sul settimanale “Meridiano di Roma” il 9 maggio 1937 – un breve
saggio riproposto integralmente dalla rivista “Paragone” nel 2007 e ora
introvabile.
Pasolini – “Una specie di sismografo” lo diceva Sciascia nel 1965, commentando il
film “Il Vangelo secondo Matteo”: “Pasolini fa il «Vangelo: ed ecco che comincia
il dialogo tra comunisti e cattolici. Il che, confesso, mi dà grande
inquietudine”.
Riso – Si sottovaluta
nei tanti riferimenti quello a Hobbes, che pure è il più radicale: “tratto
caratteristico della pusillanimità” lo dice, di chi è vanitoso e insieme
aggressivo, presume di se stesso in confronto con gli altri specie se inermi o menomati.
Per Pascal invece, che
lo usa contro i gesuiti - il lassismo morale - smaschera il fatuo e l’inutile.
Shakespeare – “Insuperabile nella crudeltà” lo dice Tabucchi (“Viaggi e altri
viaggi”). In effetti.
Ma Marlowe lo
supera, e gli altri concorrenti – gli “elisabettiani” non precorrevano la guerra civile
e il macellaio Cromwell?
Oppure: tutto non è
già in Seneca?
Sherlock Holmes – È don Chisciotte, col fedele Watson-Sancho Panza. La versione stravolta
di Robert Downey, stralunato, folle, imaginifico, guitto, saltimbanco, rinvia
al modello originale della coppia: don Chisciotte e Sancho Panza. Più o meno
inconscio in Conan Doyle – ma era un gran lettore d a ragazzo.
Viaggio – È una riscoperta. “Ogni luogo nel quale arriviamo in un viaggio è un
sorta di radiografia di noi stesai”, Tabucchi, Viaggi altri viaggi”, 183: “Un luogo non è mai solo
«quel» luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi”.
Tabucchi ci arriva sul verso di Rilke:
“Mi riconosci tu, aria, tu che consci i luoghi che una volta erano miei?”. Il
luogo, continua, “in qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un
giorno, per caso, ci siamo arrivati” – il suo luogo del cuore erano le Azzorre.
“Il
massimo piacere del viaggiare si raggiunge quando allo spostamento nello spazio
si unisce lo spostamento nel tempo”, nota Mario Praz mettendo a confronto un
viaggio in America e uno in Sicilia.
Zola - La moglie di
Zola, Alexandrine, ragazza-madre a vent’anni, ha dovuto abbandonare la sua
neonata agli enfants trouvés e non ha
più potuto avere figli. Si attaccherà a quelli che del marito, Denise e
Jacques. Che Zola aveva avuto, in costanza di matrimonio, con la lavandaia. Lei
contentandosi di vivere la sua vita grazie ai soggiorni autunnali, i tre mesi
settembre-novembre, dagli amici in Italia. Devotissima e amatissima dai figli
di lui, sempre molto materna.
etterautore@antiit.eu
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