L’invenzione della salvezza
Un aneddoto promettente: un
ragazzo belga rastrellato dalle SS nella caccia agli ebrei, sfugge alla
fucilazione immediata e poi ai lavori forzati e alla deportazione inventandosi
persiano. Qualcuno gli ha dato in cambio di un panino un libro persiano, e
questo basta. Il tenente SS addetto alla mensa progetta di andarsene alla fine
della guerra a Teheran, a ritrovare il fratello, e vuole imparare il farsì, le
SS canaglia scambiano il ragazzo con un paio di carne in scatola, e il gioco è
fatto: la lingua il ragazzo se la inventa, da ultimo coniando un vocabolario
fatto coi nomi dei deportati.
Un tipico aneddoto da commedia
all’italiana. Ma Perelman, ucraino naturalizzato canadese, forse per non
ripetere Benigni (“«La vita è bella» naturalmente l’ho visto, ma non mi è
piaciuto e non ha niente a che fare con la mia pellicola”), forse deviato da
una sceneggiatura frettolosa, di luoghi comuni, lo sciupa. In un racconto interminabilmente
lungo, benché i tedeschi siano di una sola pasta, stupidi tanto quanto crudeli.
Con un finale inavvertitamente rovesciato: il tedesco buono (di famiglia
poverissima, vivevano vendendo “acqua calda”, si è arruolato perché le camicie
brune sfilavano erette, pasciute e cantavano, e perché il fratello aveva creato
problemi al regime, finché non era fuggito a Teheran) è gabbato dall’ebreo
furbo.
Vadim Perelman, Lezioni di persiano
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