Per un razzismo africano, antirazzista
Saggio del 1948, scritto come
introduzione alla “Antologia della nuova poesia negra e malgascia”, del grande
poeta senegalese Léopold Sédar Senghor, oggi dimenticato, Nobel 1968 – che ci
lavorò col suo vecchio compagno di liceo Georges Pompidou, il banchiere futuro primo
ministro di Francia. Sartre vi erige un fondamento solido, con argomentazione vivace
e ancora significativa, alla richiesta di pari dignità delle allora colonie
africane. Un contributo importante al movimento di liberazione, che si avrà a
pochi anni di distanza, di contrasto alle buone ragioni dell’imperialismo.
“Una lettura poetica della
negritudine”, dice l’editore. No, questa è l’opera di Senghor, e dei tanti
intellettuali franco-africani del dopoguerra raccolti intorno alla
rivista-editrice parigina Présence Africaine. La proposta di una forma
artistica, espressiva e comunicativa diversa da quella europea d’acquisto: di
fisicità, danza, musica, canto, naturalismo, e memorialistica e comunitaria
(tribale), invece che annalistica, autoriale, archivistica.
Questa “diversità” non ha dato
buoni esiti, il mezzo secolo di indipendenze ha visto la condizione sociale e
morale dell’Africa deteriorarsi invece di migliorare. Ma ha penetrato le (cattive)
coscienze in Europa, e ha contribuito alla fine in pochi anni del colonialismo.
No, Sartre teorizza un razzismo
antirazzista: la liceità del rifiuto della cultura europea, “bianca”, senza se
e senza ma, e senza un motivo preciso. Se la cultura è veicolo di dipendenza,
allora bisogna fare da sé. Una sorta di dialettica introducendo nel rapporto
politico euro-africano, che servì a indebolire l’eurocentrismo. Nel nodo culturale
del rapporto politico, di dipendenza.
Jean-Paul Sartre, Orfeo nero, Marinotti, pp. 100 € 10
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