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Sartre a nudo
“Il dramma dei suoi ultimi anni”,
di Sartre, una lettura mozzafiato. Un decennio di decadimento fisico, quasi
ricercato, tra alcol e fumo. Raccontato da una delle sue tante donne, la più
fedele malgrado tutto, la più avvertita e compassonevole – e migliore
scrittrice. Che ne fu la badante per tutto il lungo declino. E diretta, non
addolcisce la minestra dopo: “Il dramma dei suoi ultimi anni”, a partire dal
1970, dai suoi 65 anni, “è la conseguenza della sua vita tutta intiera. È a lui
che si può applicare la parola di Rilke: «Ognuno porta la sua morte, in sé,
come il frtto il suo nocciolo»”.
Un racconto compassionevole, o onesto, “La
cerimonia degli addii”. Sartre, quasi cieco, resta attivo nelle discussioni redazionali
alla sua rivista “Le Temps Modernes”. ma non può scrivere, né leggere – gli legge
il pomeriggio Simone de Beauvoir.
Nei “Colloqui” Simone de Beauvoir
interroga Sartre a lungo sull’infanzia e su ogni altro aspetto della sua vita,
privata e di scrittore, sul mondo, se non va a cambiare radicalmente, presto,
per esempio nella concezione della letteratura, e sulla letteratura, il
mestiere che gli sta a cuore. Non la filosofia, benché sollecitato: i concetti
per cui Sartre è Sartre, la continenza, la ricorrenza, l’immigrato, il partito,
sono inerti. Il debutto in letteratura, che qui più ricorre, con “La nausea”,
fu d’altronde rifiutato dalle case editrici, fu Simone a sostenerlo e imporlo.
Molto ricorrono gli amici, le amiche, la malattia, la
vecchiaia, che rifiuta, malandato e tutto, e quasi non autosufficiente, la boxe
(alla Scuola Normale…, in palestra, con incontri anche da dilettante), Camus,
Merleau Ponty, Aron. Il rifiuto per tutta la vita del pomodoro e della frutta. L’abuso
degli eccitanti, anfetamine e altri prodotti – “ne ho abusato molto, per
vent’anni”, scrivendo di filosofia, spesso tutto il tubetto, venticinque
compresse ingurgitate insieme la mattina. Con una crisi, nel 1958, “abbastanza
grave”. De Beauvoir: “Scrivevate al galoppo, pensavate più veloce di quanto
scrivevate”. Sartre: “Correvo, prendevo non una pasticca di corydrane ma dieci
alla volta… un tubetto d’ortedrina mi faceva un giorno”. Manca, curiosamente, il
rapporto con la madre, con cui pure ha voluto vivere da adulto - a parte il
rifiuto del patrigno.
Ma, poi, tanto pensatore, all’epoca
“maoista”, nel 1974, l’anno dei colloqui, prima e dopo, la rivoluzione prospetta
in riferimento ai Russi, ai Cinesi. E questo la dice tutta sul giudizio
politico, sul giudizio di Sartre. Appunti
non costruiti, ma danno questa idea: Sartre non ne esce bene - non da eroe, da
“Pardaillan”, come si fantasticava da bambino con questo nome di eroe inventato.
La “Cerimonia”, scandita anno
dopo anno dal 1970 al 1980, è stata scritta dopo la morte di Sartre, su
appunti che Simone de Beauvoir aveva via via evidentemente preso, tanto sono
dettagliati e vividi, giorno per giorno. Le lunghe “Conversazioni” (che in
questa traduzione danno l’impressione di essere state abbreviate) sono state registrate
in albergo a Roma nel 1974, la solita vacanza romana di agosto-settembre di de
Beauvoir e Sartre.
I due racconti sono anche una storia,
tra le righe, delle tante donne, qui soltanto nominate, che accudiscono Sartre,
comunque gli si accompagnano anche nel crollo fisico: Michelle Vian, Olga e
Wanda Kosakiewicz (Wanda, amante di Sartre, ebbe una storia con Camus, e questo fu fra le cause del distacco fra i due), Liliane Siegel, a Roma nel 1979 “una
giovane americana”, la giovane greca Melina, che era venuta a Parigi per uno
studio su Sartre. Questi a un certo punto la dice “troppo interessata”, spiega
di averle dato “un po’ di denaro per vivere”, e di averla allontanata. Ma c’è
anche dopo. “C’erano molte donne nel su entourage”,
nota de Beauvoir nel 1977: “Le sue vechie amiche, nuove amiche. Mi diceva con
un tono gioioso: «Non sono mai stao così attorniato dalle donne»”. Con quella
che sarà la sua figlia adottiva, Arlette Elkaïm, studia l’ebraico.
Ma ancora nel 1978 de Beauvoir
nota: “Frequentava sempre molte giovani: Melina”, la ragazza greca che l’anno
prima aveva deciso di lasciare, “e numerose altre. Siccome un giorno si
lamentava di lavorare troppo, gli ho detto ridendo: «Troppe giovani». «Ma mi è
utile!», mi ha risposto. E in effetti penso che ad esse che doveva molto il
gusto di vivere. Con un compiacimento ingenumi ha dichiarato: «Non sono mai
piaciuto tanto alle donne»”. Donne che anche manteneva. Nel 1978, nota ancora de
Beauvoir, “versava regolarmente ogni mese somme abbastanza consistenti a
giovani persone”. Si faceva rifornire dalle giovani amiche di whisky e vodca, e
li nascondeva dietro i libro o in un cassetto.
A Olga, apprendiamo, ha scritto
una lettera di dodici pagine su Napoli – non confluite in “La regina Albermarle”,
la compilazione postuma degli scritti di Sartre su Napoli e Venezia. Olga Kosakiewicz
aveva sposato Jacques-Laurent Bost, che era stato amante di Simone de Beauvoir,
e la coppia è in rapporti molto amichevoli con Sartre e Simone, li vanno a
incontrare anche a Roma. Da ragazza era stata circuita al liceo da Simone de
Beauvoir professoressa, e a un certo punto aveva lamentato che il rapporto a
tre, con de Beauvoir e Sartre, l’aveva danneggiata psicologicamente. Come le coetanee
Bianca Lamblin (ci scriverà sopra, dopo la morte di Sartre e de Beauvoir, un libro
indispettito, ma circostanziato, “Mémoires d’une jeune-fille dérangée”) e
Natalie Sorokin. Su denuncia della madre di quest’ultima, Simone era stata sospesa dall’insegnamento nel 1943 – sarà riabilitata ala
Liberazione, ma non insegnerà più.
Si glissa sull’adesione al Pcf,
il partito comunista francese, nel 1952. Dopo tutto quello che Sartre aveva
scritto contro lo stesso partito per il caso Nizan – e che riprenderà a
scrivere dopo la prima rottura col Partito, nel 1956. Un rapporto a più
riprese, un lascia e prendi. Ma con una costante: ogni anno Sartre farà un
viaggio in Russia, ospite del Pcus, il partito comunista sovietico, fino al
1965.
Si fa la questione dei premi, che
Sartre dice di non aver mai voluto accetare per principio, a aprtire dalla
Legione d’onore, il cavalierato francese. E naturalmente si parla del rifiuto
del Nobel nel 1964 (che veniva otto anni dopo il Nobel a Camus….). De Beauvoir
ricorda che un premio l’ha accettato, in Italia, del Pci, con soldi. Sartre ne
dà una curiosa motivazione – ricordando che altri piccoli premi li ha accettati,
“per esempio uno nel 1940, un premio populista”, quando era mobilitato: “Non me
ne fregava niente di un premio populista, dato che non avevo assolutamente
niente in comune con gli scrittori populisti. E così ho accettato”. Il Pci
premiava “chi, durante l’occupazione, aveva dato prova di coraggio e
d’intelligenza”. Il premio, “evidentemente, non era del tutto conciliabile con
la mia teoria”, spiega, ma “i comunisti italiani mi piacevano molto”. Che il
premio, a lui che non aveva fatto la Resistenza, venisse su indicazione di
Mosca non lo sfiora nemmeno.
Sobrio e anzi reticente sugli
Schweitzer, la famiglia materna, di alsaziani cattolici intransigenti. La madre
che pure adorava. Il nonno, che l’ha cresciuto. Il cugino della madre poi
famoso, il dottor Albert Schweitzer. Di cui non ricorda nulla, limitandosi a
dire del nonno: “Stimava il nipote ma non lo capiva”.
A parte le donne, una vita a
caso. Alla filosofia arriva per caso, benché allievo all’Ècole Normale di
Alain, e compagno e amico di Merleau-Ponty e di Aron. Per letture casuali,
durante l’anno passato in Germania, di Heidegger, qualche pagina, e di Husserl. Tutta
la sua formazione cuturale fa sembrare casuale, da autodidatta. Compra i primi libri quando
va ad abitare con la madre rimasta vedova, in rue Bonaparte, dopo il 1945, nella casa che lui le ha comprato, quindi a quarant’anni. E li acquista in “edizioni complete”, tutta Colette, tutto
Proust. Il primo viaggio all’estero fa con Simone de Beauvoir, a 28 anni, in
Spagna, invitati e ospiti di Gérassi. Ma la guerra di Spagna li lascerà indifferenti,
allora e nel ricordo. Entra nella Resistenza tardi, prima della Liberazione,
nel gruppo di Camus. Che all’epoca è quello che si potrebbe dire un amico – passavano
le serate insieme, giravano per i locali, bevevano. L’amicizia però dice sconoscuta,
dopo Nizan - Simone de Beauvoir gli attribuisce come amici due suoi ex amanti,
Bost e Lanzmann, e Camus. Anche con le donne, la cui compagnia pure predilige.
Mme Morel, la madre di un ragazzo a cui il suo amico Guille dava ripetizioni e
ne era diventata l’amante, e con lo stesso Sartre aveva avuto qualche
“colloquio riservato”, dice “la sola amica donna che ho avuto”. Fin da ragazzo,
per il senso acuto di essere brutto, e perciò solitario. Il rapporto con gli
altri vuole aggressivo piuttosto che passivo – e in questo rapporto, il
rapporto con gli altri, “sentirsi belli”, essere “bene nella propria pelle”. Dà
mance enormi, gli fa osservare Simone, perfino ridicole. Di tutte “le sue donne”,
solo con una, “la più notevole” (probabilmente quella detta “Camille”, Simone
Jollivet, una escort in una casa di tolleranza di lusso di Toulouse, quando
Sartre vi insegnava), ricorda di avere avuto “rapporti egualitari”. Ha accettato
solo tre inviti “sociali”, dice – “a pranzo fuori”. Di Genet, con cui ha
pranzato fuori, ricorda “il cattivo odore”.
A parte le donne, una vita a
caso. Alla filosofia arriva per caso, benché allievo all’Ècole Normale di
Alain, e compagno e amico di Merleau-Ponty e di Aron. Per letture casuali,
durante l’anno passato in Germania, di Heidegger, qualche pagina, e di Husserl. Tutta
la sua formazione cuturale fa sembrare casuale, da autodidatta. Compra i primi libri quando
va ad abitare con la madre rimasta vedova, in rue Bonaparte, dopo il 1945, nella casa che lui le ha comprato, quindi a quarant’anni. E li acquista in “edizioni complete”, tutta Colette, tutto
Proust. Il primo viaggio all’estero fa con Simone de Beauvoir, a 28 anni, in
Spagna, invitati e opsiti di Gérassi. Ma la guerra di Spagna li lascerà indifferenti,
allora e nel ricordo. Entra nella Resistenza tardi, prima della Liberazione,
nel gruppo di Camus, all’epoca quello che si potrebbe dire un amico – passavano
le serate insieme, giravano per i locali, bevevano. L’amicizia però dice sconoscuta,
dopo Nizan - Simone de Beauvoir gli attribuisce come amici due suoi ex amanti,
Bost e Lanzmann, e Camus. Anche con le donne, la cui compagnia pure predilige.
Mme Morel, la madre di un ragazzo a cui il suo amico Guille dava ripetizioni e
ne era diventata l’amante, e con lo stesso Sartre aveva avuto qualche
“colloquio riservato”, dice “la sola amica donna che ho avuto”. Fin da ragazzo,
per il senso acuto di essere brutto, e perciò solitario. Il rapporto con gli
altri vuole aggressivo piuttosto che passivo – e in questo rapporto, il
rapporto con gli altri, “sentirsi belli”, essere “bene nella propria pelle”. Dà
mance enormi, gli fa osservare Simone, perfino ridicole. Di tutte “le sue donne”,
solo con una, “la più notevole” (probabilmente quella detta “Camille”, Simone
Jollivet, una escort in una casa di tolleranza di lusso di Toulouse, quando
Sartre vi insegnava), ricorda di avere avuto “rapporti egualitari”. Ha accettato
solo tre inviti “sociali”, dice – “a pranzo fuori”. Di Genet, con cui ha
pranzato fuori, ricorda “il cattivo odore”.
Egotista, senza
convinzione: “Non voglio essere l’adulto maschio”. E: “Non sono nemmeno un
adulto, sono uno della terza età”. Passerà quattro mesi in America, ospite di
un programma americano per l’opinione europea, nel 1944, da dove avrebbe
scritto delle corrispondenze, forse per “Le Figaro” (ma qui figura inviato per
“Combat”, il giornale di Camus, su sollecitazione dello stesso Camus con
l’ambasciata americana), senza sapere l’inglese, e senza impararlo. Ora col
ricordo di una serie impressionante di lavori non portati a termine, non conclusi – lo stesso
capolavoro, le mileduecento pagine su Flaubrt, “l’idiota della famglia”,
sarebbe rimasto a metà. Mentre manca del tutto il ricodo di “Orfeo negro”, il saggio
del 1948 con cui introduceva l’“Anthologie de la poésie nègre et malgache” di Senghor,
che fece epoca: del razzismo antirazzista.
Un Sartre rimbambito che obietta
sempre: “Mi credi rimbambito ma non è
vero”. E: “Mai mi sono sentito vecchio”. Vittima anche di cure e medicamenti
sbagliati – tra essi ce ne furono che portavano all’incontinenza urinaria e al mancato
controllo degli intestini. Si fa coccolare dalle donne, amanti o ex, che a
turno lo accudiscono durate tut la giornata, nei vari giorni dela settimana, perché,
dice, gli piace “dipendere”. Di ego sempe immenso – che giustifica: “Troppo ogoglioso
per essere vanitoso”.
Con moltissima politica. Ma
confusa. Manca in generale l’ambientazione: l’epoca, gli eventi, chi è chi. Molto
Sartre discetta della libertà. Ma cose come “liberale è una parola ignobile”.
Salvo viaggiare ogni anno, invitato, a Mosca fino per una dozzina di anni - e nel 1968 intrupprsi
entusiasta con i “mao”, i gruppi comunisti
di obbedienza cinese post-Sessantotto. E non spiegare mai, se non per aneddoti
disinvolti, l’adesione al Pcf e alla ragioni di Mosca Della Resistenza, che non ha fatto, dà un
quadro paradossale: “Alla Liberazione, ho sentito che le forze liberate erano
della stessa natura delle forze naziste,
non che avessero gli stessi scopi, che utilizzassero procedimenti come
l’assassinio di milioni di Ebrei, di milioni di Russi; ma la forza collettiva,
l’obbedienza agli ordini era della stessa specie. E l’esercito americano che arrivava
in Europa apparve a molti, me tra essi, come una tirannia”. Si può dire Sartre
la personificazione nefasta – ambigua – dell’“impegno”. In altro scritto peraltro,
quello su Veneza (pubblicato di recente in ora in “La regina Abermarle”) il teorico,
appena sei anni prima, dell’impegno, così lo irrideva: “Tutti militano oggi, è
la regola: ho visto vecchie carcasse sfinite reimpegnarsi per dieci anni
nell’«Arte per l’Arte» per militare contro l’«Arte impegnata». Si è militante o
miliziano o militare”.
Un curioso quadro, a effetto, questo
delle seicento pagine dei “Colloqui”: si passa da sorpresa in sorpresa. Anche
per i ruoli assunti per l’occasione dalla coppia, perfino esagaratamente
definiti, squilibrati: il genio e l’interprete, il maestro e l’allieva, il re,
anche capriccioso, e la serva paziente, il paziente e la badante – il paziente
pieno di sé.
Simone de Beauvoir non ha buona fama
in molto femminismo, mangiatrice d’uomini e di ragazze, “interessata” a un
rapporto con Sartre – le sue stesse biografe sono perplesse. Ma è certamente
forte scrittrice, si continua a leggere con interesse. Qui capitalizza Sartre, senza
dubbio, ma lo fa lasciandone due quadri memorabili – che si possono leggere
anche non avendo letto Sartre, qualora Sartre non si leggesse più.
Simone de Beauvoir, La cerimonia degli addii. Seguita da
“Conversazioni con Jean-Paul Sartre”,
Einaudi, pp. 540
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