Secondi pensieri - 440
zeulig
Ambiguità – “L’ambiguità è
il metodo dell’intelligente univocità”, L. Sciascia, “Un conato di morte” (in
“«Questo non è un racconto»”).
Creazione – Adolfo Bioy
Casares, narratore e poeta esimio, che ebbe una collaborazione quarantennale
con Borges, cui lo accomunavano le letture fantasy e il gioco delle opere e
degli autori immaginari, oggi è egli stesso scrittore praticamente immaginario.
Esiste solo nelle opere firmate – spesso con pseudonimi, normalmente doppi –
con Borges. Come nome immaginario di Borges. La letteratura porta all’astrazione,
quindi alla negazione di sé?
La poesia e il racconto sono creazioni libere e totali, o disincarnazioni
dell’autore? Con (Pessoa, Voltaire, Shakespeare) e senza pseudonimo? Incarnazione
e non disincarnazione?
Sono l’una e l’altra: creazione attraverso la disincarnazione. Tanto
più che l’autore è dei suoi critici – il suo pubblico, i suoi editori, i suoi
recensori.
Realtà – L’irrealtà della
realtà è la stessa cosa che la realtà dell’irrealtà. Tutto nell’universo
concorre ai concetti di infinito e eterno: se opera nella finitezza, ha però qualche
mistero, cioè è infinito e eterno. Il mondo nudo, non al coperto di regole e
limiti, anche solo linguistici, vi rimanda, cioè all’inconoscibile.
Si preparano le spedizioni sulla Luna, e poi su Marte. Che
prenderanno alcun secoli. Per fare che? Un nuovo West.
Riso – Quello
di Bergson, “movimento senza la vita” (“Il comico è quell’aspetto della persona
per il quale essa rassomiglia a una
cosa, quell’aspetto degli avvenimenti umani che imita, con la sua rigidità di un genere tutto
particolare, il meccanismo puro e semplice,
l’automatismo, insomma il movimento senza la vita”, etc., ma è una correzione,
“è un certo gesto sociale, che sottolinea e reprime una certa distrazione
speciale degli uomini e degli avvenimenti”) Leonardo Sciascia collega al cinema
muto, che era allora (1899) il veicolo più diffuso della comicità. “Né va dimenticato”,
aggiunge lo scrittore, “che il cinema peculiarmente nasce come «movimento senza
la vita», puro e automatico movimento”.
Si sottovaluta
nei tanti riferimenti quello a Hobbes, che pure è il più radicale: che si ride
perché ci si sente superiori - “tratto caratteristico della pusillanimità” lo
dice nella parte iniziale del “Leviatano”, trattando delle passioni: “Una gloriola improvvisa è la passione che fa quelle Smorfie
chiamate risata; ed è causata o da qualche azione imprevista da parte propria,
che piace; o dall’assunzione di qualcosa di deformato in altri, al cui paragone
si applaude d’un tratto se stessi” (“Sudden glory, is the passion that maketh those Grimaces called LAUGHTER; and is caused
either by some sudden act of their own, that pleaseth them; or by the
apprehension of some deformed thing in another, by comparison whereof they
suddenly applaud themselves”).
Di Hobbes Sciascia
dice che “buona opinione dei propri simili non aveva” – Hobbes si vuole
hobbesiano. Del riso si occupò poco, e sempre in effetti negli stesi termini,
riduttivi, anzi spregiativi, negli “Elementi di Legge” e nel “De Homine” (“universalmente
la passione del riso è un improvviso autocompiacimento a fronte del difetto di un
estraneo” – “universally the passion of laughter is sudden self-commendation
resulting from a stranger’s unseemliness”). Ma personalmente i contemporanei concordano
a dotarlo “di uno humour naturale allegro e piacevole”.
Voltaire diceva di no, “chiunque rida prova unicamente gioia in quel
momento”, disgiunta da misure – Voltaire sapeva, e non approvava, che “gli
studiosi hanno sostenuto che questo riso nasce dall’orgoglio, che ci si crede
superiori rispetto all’oggetto della nostra derisione”. Il riso non è
comparativo, comparativa è semmai l’ironia – che però è dissacratoria
(distruttiva) ma anche dolente (partecipe). In Rabelais, che non era un guitto
ma uno studioso, è tutto il contrario della supponenza, Gagantua e Pantagruele
gigioneggiano per non piangere.
Però, è vero, Umberto Eco avrebbe avuto problemi, lui scherzoso
maestro di scherzi, a tratteggiare il riso nella sua abbazia medievale - hanté peraltro dalla perdita del trattato di Aristotele sulla commedia (sarebbe stato diverso dalla risata - o era un rictus? - di Democrito?).
Reincarnazione – Le reincarnazioni
sono ripetitive - l’altro lo stesso, camuffato. Per il meccanismo. E per un difetto
d’immaginazione: per accontentarsi di poco, di vivere qualche altro annetto.
Storia – “Tempo dotato di
significato”, G. Steiner, “Una certa idea dell’Europa”.
O anche: “Quel grande museo dei sogni del passato”, ib..
Il tedesco ha la Geschichtsmüde,
la stanchezza della storia.
Tempo - È un metronomo.
Scandisce una materia immateriale, inafferrabile. Una delle forme dell’informe.
Uno dei titanismi (?) dell’uomo: chiamare l’innominato, misurare
l’immisurabile. E calcolare, controllare (misurare), progettare, rivedere, fabbricare.
Il tempo misurato (calcolato, progettato) è metronomo
dell’intemporale. Si vuole dare una traccia visibile (si vogliono dare tracce
visibili) all’intemporale.
zeulig@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento