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Un marziano a teatro
La guerra sia lunga, “ognuno potrà
guardare con una certa tranquillità al futuro”. Anzi, sia sempre guerra, così
non si sprecano mezzi e tempo per fare la pace. E “quante nazioni non si possono
permettere la guerra per mancanza di mezzi?”. Una provocazione, nel 1946, ma
evoca la tristemente famosa “gloriosa macchina di guerra” di Occhetto nel 1994,
ma è pur sempre quello che, non solo i cattivi, anche i “belli-e-buoni” della
Repubblica si augurano e praticano: l’annientamento di qualcuno. Nel loro
piccolo, s’intende, magari solo abbaiando.
I paradossi non mancano – molti bizzarramente
d’attualità, oggi più che allora. Nell’ultimo testo della raccolta, “La
conversazione continuamente interrotta”, che la Nota dell’autore all’edizione
Einaudi del 1971 dice “scritti a varie riprese dal 1968 a oggi”, dalla rottura
con Fellini, fanno da basso ostinato al lavoro degli sceneggiatori, cioè al non
lavoro, di nessun impegno, con un regista che non sa quello che vuole - e
tratta male sua moglie come Fellini con Giulietta Masina. Questi sulla guerra,
il primo testo teatrale messo a punto da Flaiano, rappresentato all’Arlecchino
nello stesso ‘46, “La guerra spiegata ai poveri”, sono
anche geniali. La guerra che si alimenta da sola è il moto perpetuo dei fisici,
soluzione quindi geniale: “La guerra che si alimenta da sé è certo la più
grande invenzione dopo la Guerra dei Cent’anni”. O: “Una guerra senza religione
disonorerebbe l’umanità”. Già, non combattiamo tutti per la libertà?
Ne è ancora più locupletato il
testo più famoso, “Un marziano a Roma”. In virtù del cui sbarco, al Pincio, è,
un po’ come oggi con Grillo, “tutto da cambiare”. Soprattutto le donne, quelle
che uno si porta a letto – questo oggi non è concepibile dirlo, non ché farlo,
ma giusto per dare l’idea del cambiamento, che sia capriccioso. Una catastrofe
si addensa cupa, il marziano è un raggio di sole. E allora: “Abbracciamoci. Siamo
tutti fratelli, tutto deve cambiare”, proprio come dice il papa Francesco. O come
si vuole che sia dopo – se ci sarà - la pandemia: “Non ci sono più bandiere!
Non c’è più popolo! Non c’è più niente! C’è l’uomo, nudo! È il primo giorno del
mondo!” Dimenticato? Era ieri, è oggi: il marziano è l’angelo
dell’annunciazione .
“Un Marziano” è ambizioso: è
molto lavorato (costruito), con versi, odi, inni, preghiere. Il marziano
esordisce in tedesco, citando Goethe che non nomina, delle “Elegie romane”: “Strassen, redet ein Wort! Genius, regst du
dich nicht?”, strade, parlate! genio, non ti scuoti? Il “giovane di
trentacinque anni” Adriano-Flaiano, a corto di sigarette, e “senza un soldo”, fantastica “un mondo
possibile”: “Potremo allungare la nostra vita, combattere le malattie, il male,
l’ignoranza, evitare le guerre, mettere fine ai nazionalismi, dare pane a
tutti, vivere come in un Eden ritrovato? Io dico di sì”.
Molte ambizioni, e molte
freddure, ma non funziona. Flaiano elaborò la commedia da un racconto più felice
incluso in “Diario notturno”, il primo della rubrica che con questo titolo curava
per “Il Mondo” a partire dal 1954. Sollecitato da Fellini, ne preparò varie
sceneggiature per un film, senza esito. Le stesse, probabilmente, ha poi
ridotto per la scena. La commedia è stata portata im teatro nel 1960, subito appena
scritta, dal Teatro Popolare Italiano di Gassman, Lucignani e Codignola, e poi
al cinema vent’anni dopo da Bruno Rasia. Al Lirico di Milano, ricorda la
comprimaria Ilaria Occhini, fu “la più clamorosoa disavventura teatrale”
capitata a lei, e a Gassman, “il fiasco più memorabile della storia del teatro
italiano”: “ Al termine ci fu una specie d’insurrezione del pubblico”. Occhini
tende oggi a vederci una manifestazione d’insofferenza verso “Roma”, un
protoleghismo. Ma la commedia ha rare riprese, non integrali, e Flaiano ci coniò
sopra una delle sue battute più ricordate: “L’insuccesso mi ha dato alla testa”.
A leggerla, è un papocchio divagazioni lunghe,
tra una miriade di personaggi-non personaggi, senza nerbo e senza filo.
L’espressione ha fatto e fa testo:
“marziano a Roma” è Zeman, è Marino, è il genovese Grillo – e naturalmente l’“americano”
Sordi. Ma non a teatro. Le proposte di Flaiano sono state sempre rappresentate,
in sedi anche importanti, all’Arlecchino di Roma, al Lirico di Milano, a
Spoleto al Festival dei due mondi a Spoleto, al Gobetti di Torino. Ma senza
riprese. La produzione teatrale non è molta – Flaiano è stato soprattutto uno
sceneggiatore di cinema. Ma non occasionale, anzi provata e riprovata, dal 1945
alla morte nel 1972. L’esito però sembra da disappetente, svogliato. Impegnato
nelle minime cose, ma non nel tessuto. Anche le punte brillanti non sono sviluppate.
La tragicommedia sempre si scioglie nella bonaccia “romana”.
Oltre ai testi citati, la raccolta
comprende un breve giallo, “La donna nell’armadio”, e l’eterno Romeo e
Giulietta parlato dalla tomba, “Il caso Papaleo” – trovata eccezionale, ma…
Flaiano, abruzzese, quindi di “fuori
porta”, dal nome molto romano, Ennio, è più titolato: si può dire lui stesso il
primo “marziano a Roma”. Per Roma intendendo il teatro. Vi si è avventurato, e
si è perduto. Per un fatto caratteriale? Si voleva un po’ Orazio, anche in
virtù dell’impegnativo Ennio, disappetente benché goloso. È un atteggiamento che
porta in letteratura. Autore di un solo romanzo, giovanile, poi di pezzi –
idee, squarci, battute, quadri. Buono per il cinema, dove i tanti (piccoli)
contributi poi sono messi insieme e animati dal regista. Ma non per il teatro.
Che amava e avrebbe voluto esercitare. Ma il teatro richiede impegno.
Il suo è un teatro di divagazioni.
Sarcito – è la parola giusta, il suo teatro è una “satura” alla latina – di tutto
ciò che gli sovviene al momento in cui scrive, anche di elementi curati, versi,
sonetti rovesciati, rime baciate, calchi e pastiches,
da Shakespeare o altri ingegni. Ma non costruito: senza personaggi a rilievo -
hanno nomi e professioni, ma restano indistinti: si conoscono per quello che sono
solo per le note di regia. Si va per temi, da conversation piece, come lo stesso Flaiano chiama nella nota
editoriale l’ultima composizione della raccolta, “La conversazione
continuamente interrotta”. Si direbbe un teatro dell’assurdo. Ma di parole copiose
e sentenziose, non in libertà come in Ionesco o Adamov che allora facevano
testo. Una mimesi piuttosto del teatro dell’assurdo. Non voluta – non ironica,
non il giusto – e spenta.
Il “Taccuino del marziano” è un’edizione
per bibliofili. A cura di Anna Longoni, la maggiore studiosa di Flaiano. È un
vero taccuino, di piccolo formato, su cui Flaiano ha trascritto con cura 58 aforismi,
non tutti presenti nella commedia – “farsa”, la dice Longoni.
Ennio Flaiano, Un marziano a Roma e altre farse
Taccuino
del marziano,
Henry Beyle, pp. 60 € 25
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