mercoledì 13 gennaio 2021

Un marziano a teatro

La guerra sia lunga, “ognuno potrà guardare con una certa tranquillità al futuro”. Anzi, sia sempre guerra, così non si sprecano mezzi e tempo per fare la pace. E “quante nazioni non si possono permettere la guerra per mancanza di mezzi?”. Una provocazione, nel 1946, ma evoca la tristemente famosa “gloriosa macchina di guerra” di Occhetto nel 1994, ma è pur sempre quello che, non solo i cattivi, anche i “belli-e-buoni” della Repubblica si augurano e praticano: l’annientamento di qualcuno. Nel loro piccolo, s’intende, magari solo abbaiando.
I paradossi non mancano – molti bizzarramente d’attualità, oggi più che allora. Nell’ultimo testo della raccolta, “La conversazione continuamente interrotta”, che la Nota dell’autore all’edizione Einaudi del 1971 dice “scritti a varie riprese dal 1968 a oggi”, dalla rottura con Fellini, fanno da basso ostinato al lavoro degli sceneggiatori, cioè al non lavoro, di nessun impegno, con un regista che non sa quello che vuole - e tratta male sua moglie come Fellini con Giulietta Masina. Questi sulla guerra, il primo testo teatrale messo a punto da Flaiano, rappresentato all’Arlecchino nello stesso ‘46, “La guerra spiegata ai poveri”,   sono anche geniali. La guerra che si alimenta da sola è il moto perpetuo dei fisici, soluzione quindi geniale: “La guerra che si alimenta da sé è certo la più grande invenzione dopo la Guerra dei Cent’anni”. O: “Una guerra senza religione disonorerebbe l’umanità”. Già, non combattiamo tutti per la libertà?
Ne è ancora più locupletato il testo più famoso, “Un marziano a Roma”. In virtù del cui sbarco, al Pincio, è, un po’ come oggi con Grillo, “tutto da cambiare”. Soprattutto le donne, quelle che uno si porta a letto – questo oggi non è concepibile dirlo, non ché farlo, ma giusto per dare l’idea del cambiamento, che sia capriccioso. Una catastrofe si addensa cupa, il marziano è un raggio di sole. E allora: “Abbracciamoci. Siamo tutti fratelli, tutto deve cambiare”, proprio come dice il papa Francesco. O come si vuole che sia dopo – se ci sarà - la pandemia: “Non ci sono più bandiere! Non c’è più popolo! Non c’è più niente! C’è l’uomo, nudo! È il primo giorno del mondo!” Dimenticato? Era ieri, è oggi: il marziano è l’angelo dell’annunciazione .
“Un Marziano” è ambizioso: è molto lavorato (costruito), con versi, odi, inni, preghiere. Il marziano esordisce in tedesco, citando Goethe che non nomina, delle “Elegie romane”: “Strassen, redet ein Wort! Genius, regst du dich nicht?”, strade, parlate! genio, non ti scuoti? Il “giovane di trentacinque anni” Adriano-Flaiano, a corto di sigarette,  e “senza un soldo”, fantastica “un mondo possibile”: “Potremo allungare la nostra vita, combattere le malattie, il male, l’ignoranza, evitare le guerre, mettere fine ai nazionalismi, dare pane a tutti, vivere come in un Eden ritrovato? Io dico di sì”.
Molte ambizioni, e molte freddure, ma non funziona. Flaiano elaborò la commedia da un racconto più felice incluso in “Diario notturno”, il primo della rubrica che con questo titolo curava per “Il Mondo” a partire dal 1954. Sollecitato da Fellini, ne preparò varie sceneggiature per un film, senza esito. Le stesse, probabilmente, ha poi ridotto per la scena. La commedia è stata portata im teatro nel 1960, subito appena scritta, dal Teatro Popolare Italiano di Gassman, Lucignani e Codignola, e poi al cinema vent’anni dopo da Bruno Rasia. Al Lirico di Milano, ricorda la comprimaria Ilaria Occhini, fu “la più clamorosoa disavventura teatrale” capitata a lei, e a Gassman, “il fiasco più memorabile della storia del teatro italiano”: “ Al termine ci fu una specie d’insurrezione del pubblico”. Occhini tende oggi a vederci una manifestazione d’insofferenza verso “Roma”, un protoleghismo. Ma la commedia ha rare riprese, non integrali, e Flaiano ci coniò sopra una delle sue battute più ricordate: “L’insuccesso mi ha dato alla testa”. A  leggerla, è un papocchio divagazioni lunghe, tra una miriade di personaggi-non personaggi, senza nerbo e senza filo.
L’espressione ha fatto e fa testo: “marziano a Roma” è Zeman, è Marino, è il genovese Grillo – e naturalmente l’“americano” Sordi. Ma non a teatro. Le proposte di Flaiano sono state sempre rappresentate, in sedi anche importanti, all’Arlecchino di Roma, al Lirico di Milano, a Spoleto al Festival dei due mondi a Spoleto, al Gobetti di Torino. Ma senza riprese. La produzione teatrale non è molta – Flaiano è stato soprattutto uno sceneggiatore di cinema. Ma non occasionale, anzi provata e riprovata, dal 1945 alla morte nel 1972. L’esito però sembra da disappetente, svogliato. Impegnato nelle minime cose, ma non nel tessuto. Anche le punte brillanti non sono sviluppate. La tragicommedia sempre si scioglie nella bonaccia “romana”.
Oltre ai testi citati, la raccolta comprende un breve giallo, “La donna nell’armadio”, e l’eterno Romeo e Giulietta parlato dalla tomba, “Il caso Papaleo” – trovata eccezionale, ma…
Flaiano, abruzzese, quindi di “fuori porta”, dal nome molto romano, Ennio, è più titolato: si può dire lui stesso il primo “marziano a Roma”. Per Roma intendendo il teatro. Vi si è avventurato, e si è perduto. Per un fatto caratteriale? Si voleva un po’ Orazio, anche in virtù dell’impegnativo Ennio, disappetente benché goloso. È un atteggiamento che porta in letteratura. Autore di un solo romanzo, giovanile, poi di pezzi – idee, squarci, battute, quadri. Buono per il cinema, dove i tanti (piccoli) contributi poi sono messi insieme e animati dal regista. Ma non per il teatro. Che amava e avrebbe voluto esercitare. Ma il teatro richiede impegno.
Il suo è un teatro di divagazioni. Sarcito – è la parola giusta, il suo teatro è una “satura” alla latina – di tutto ciò che gli sovviene al momento in cui scrive, anche di elementi curati, versi, sonetti rovesciati, rime baciate, calchi e pastiches, da Shakespeare o altri ingegni. Ma non costruito: senza personaggi a rilievo - hanno nomi e professioni, ma restano indistinti: si conoscono per quello che sono solo per le note di regia. Si va per temi, da conversation piece, come lo stesso Flaiano chiama nella nota editoriale l’ultima composizione della raccolta, “La conversazione continuamente interrotta”. Si direbbe un teatro dell’assurdo. Ma di parole copiose e sentenziose, non in libertà come in Ionesco o Adamov che allora facevano testo. Una mimesi piuttosto del teatro dell’assurdo. Non voluta – non ironica, non il giusto – e spenta.
Il “Taccuino del marziano” è un’edizione per bibliofili. A cura di Anna Longoni, la maggiore studiosa di Flaiano. È un vero taccuino, di piccolo formato, su cui Flaiano ha trascritto con cura 58 aforismi, non tutti presenti nella commedia – “farsa”, la dice Longoni.
Ennio Flaiano, Un marziano a Roma e altre farse
Taccuino del marziano
, Henry Beyle, pp. 60 € 25

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