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A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (448)
Giuseppe Leuzzi
Presentando
entusiasta Nietzsche sul “Pensiero Romagnolo”, la rivista del partito Repubblicano
regionale, dell’ultimo trimestre 1908, Mussolini gli trovava questo limite: “Nietzsche non ha mai dato una forma schematica
alle sue meditazioni. Era troppo francese, troppo meridionale, troppo «mediterraneo»
per «costringere» le speculazioni novatrici del suo pensiero nei quadri di una
pesante trattazione scolastica”.
A Bari dopo
Palermo un bambino dopo una bambina muoiono per i “giochi” di Tik Tok. La
maestra della bambina di Palermo dice: “Tutti hanno il gioco”. Cioè hanno il cellulare,
tutti i bambini di dieci anni, in libertà totale, con Tik Tok. Si penserebbe il
Sud molto familiare, di genitori legati ai figli, attenti, vigili. Ma non è
così – forse è un malinteso, dare ai figli il cellulare quando cominciano a
compitare, il sogno-segno del benessere, ma forse il Sud è totalmente disorientato.
“Offrendosi
a Draghi, Conte ha seguito una regola del
Sud: bacia la mano che non puoi tagliare”, Francesco Merlo, da Catania. Mah!
È
vero che l’autoflagellazione è un rito del Sud.
Si
è scritto in questa crisi politica di “sudismo grillino”. Per dire di una
politica delle mance. Senza progetto. Senza un quadro di riferimento,
nazionale, europeo. Meritata? A
giudicare dal voto sì: è stata una scelta, non si può dire sia stata
imposta.
L’inverno
demografico scende al Sud
Meno
nascite e meno immigrati al Sud nel Millennio. Il calo demografico che pesa sul
futuro dell’economia italiana, che è stato a lungo fenomeno da area ricca,
quindi settentrionale – con Genova e Trieste punte di diamante delle nascite
zero – in questo primo quinto di milennio è diventato un fatto meridionale, del
Sud e delle Isole.
Un’analisi
di Piermaria Davoli su “Lotta Comunista”, che accorpa per grandi aree i dati Istat, Nord-Ovest ,
Nord-Est, Centro, Sud, Isole, al 2001, al 2010 e al 2020, con la popolazione
residente divisa fra italiani e stranieri, mostra il Sud e le Isole nei venti
anni in calo costante. Meglio: in forte calo gli italiani, con una presenza di
stranieri debole, non sufficiente a colmare la diminuzione.
Anche
il Nord-Ovest mostra saldi negativi nei due decenni per i residenti italiani,
meno 94 mila e meno 64 mila. Ma l’afflusso degli stranieri è stato tale che i
saldi sono ampiamente positivi in entrambi i decenni, per 727 e 448 mila unità.
Al
Sud il calo di residenti italiani è stato largo, di 150 mila unità nel primo
decennio e di 406 mila nel secondo. Compensato dall’immigrazione solo nel primo
decennio, con un saldo positivo di 62 mila unità. Ma non nel secondo, quando il
saldo resta negativo, per 93 mila unità. Lo stesso nelle isole: gli italiani residenti
diminuiscono nei due decenni, di 34 e di 165 mila unità, con un saldo – tenendo contro degli immigrati – positivo nel primo decennio, per 38 mila unità, e
negativo nel secondo per 40 mila.
La
tabella conferma che il Sud e le Isole sono di nuovo terre di emigrazione. E che
la fecondità della donna al Sud è ora anch’essa al livello della fecondità
media italiana, 1,18 figli, la più bassa in Europa e al mondo (insieme con
quella tedesca). Mentre si conferma che gli immigrati puntano alle aree di maggior
ricchezza : l’incidenza dei residenti stranieri sul totale della popolazione al
Centro e al Nord si situa poco sopra l’11 per cento – al livello medio europeo.
Mentre al Sud è del 4,6 per cento, e nelle Isole del 3,9. Una presenza marginale che poco può
correggere la più che probabile presenza nelle stesse aree del maggior numero di
quel quasi milione di stranieri “irregolari” o “regolari non residenti”, cioè
stagionali.
Il controllo del
territorio
Si
fa molto il caso delle mafie “provvidenziali”, che controllano il territorio perché
dispensano reddito e lavoro. Questo è sempe avvenuto, ma con affiliati e familiari,
non oltre. Le mafie non sono sono giustiziere, non combattono i ricchi e
potenti (le Anonime Sequestri furono bande di montagna, della Barbagia (con
ramificazioni nel grossetano) e dell’Aspromonte, non grandi, anzi piccole e
ristrette, e i sequestri sono finiti con loro). Si attaccano, e li distruggono,
ai piccoli, deboli, isolati.
Le
mafie prosperano non perché socialmente provvide, ma proprio perché la minaccia
ai piccoli e isolati l’apparato repressivo non contrasta con immediatezza e
efficacia – mentre lo fa, lo farebbe, per i potenti, nei rari casi la reazione
è stata immediata e corposa. Chiunque viva in zona di mafia – le mafie non sono
segrete, sono pubbliche: minacciano, agiscono, si agitano anche – lo sa: c’è
bisogno di protezione. Il “controllo del territorio” è l’inadeguatezza della
repressione. In Calabria, in Aspromonte, si faceva, e si fa, militarmente, con
uno squadrone di Cacciatori, ex Carabinieri a cavallo, che si muovono come da regole
d’ingaggio, in plotoni e con elicotteri.
I
rapimenti di persona in Aspromonte, o confluiti in Aspromonte, opera di poche
persone, tra Delianuova e San Luca, si operarono furbescamente a danno di
ricchi non potenti - anche quelli padani furono scelti con questa accortezza. Non
contrastati per questo dall’apparato repressivo, sotto la ragione speciosa di
non mettere a rischio l’incolumità della persona rapita.
Mafie e
guapperie
Usano
a Napoli e in Sicilia le canzoni di gesta di guappi e mafiosi. Fa senso, a
ripensarci, ritrovarle di mano di Borges, in ottonari cantanti, al modo dei cantastorie.
Di uno scrittore cioè alieno dal realismo, anzi narratore fantatsico di
fantasie.
Usavano
un secolo fa a Napoli, le canzoni “di giacca” – il guappo doveva, a Napoli come
a Buenos Aures, essere lesto di coltello e di abbigliamento elegante, anzi ricercato.
Non all’altezza di Borges, si dovrebbe dire, e invece no: la canzone eponima di
Libero Bovio, “Guapparia”, mette su tutto un teatro attorno al solito lamento mortuario
del guappo, elegante e ricercato. Che si è potuto riprendere a distanza, da
Merola negli anni 1970, e poi da Arbore, Massimo Ranieri, Lina Sastri.
Guappi
e guapperia tanto sono parte della camorra e della mafia quanto assenti, anzi
disprezzati, nella ‘ndrangheta. La quale si può dire nata sulla definizione che
della mafia Sciascia redasse dopo “Il giorno della civetta” per l’edizione 1963
e successive dell’“Enciclopedia dei ragazzi” Mondadori: “La mafia è
un’associazione per delinquere, con scopi di arricchimento per i propri
associati, che si pone come intermediazione parassitaria, ed imposta con mezzi
di violenza, tra la proprietà e il lavoro, tra la produzione e il consumo, tra
il cittadino e lo Stato”. Non un mistero, diceva lo stesso Sciascia.
Napoli
Il
Comune fa rimuovere un grande murale dedicato a Luigi Carafa, un diciassettenne
rapinatore rimasto ucciso durante una rapina finita male. Fa rimuovere anche un
“altarino”, con foto, fiori e lumini. “Il Comune ha deciso di far rimuovere”,
scrive “la Repubblica”, che pubblica la foto della grande parete dedicata al
ragazzo, “questi omaggi abusivi a baby rapinatori e capoclan che costellano le
facciate di molti edifici a Napoli”. Nel 2021.
È
la “Foresta Vergine” per Massimo, uno dei personaggi di La Capria, “Ferito a
morte” – il romanzo del dubbio giovanile, se lasciare Napoli, per Roma, per
Milano, o restare.
Il
tema di “Ferito a morte”, 1961, si trova anticipato da Luigi Compagnone sul
primo numero di “Sud”, rivista a cui anche La Capria partecipava, 15 novembre
1945. Con un corsivo che intitolava: “Essi se ne vanno da Napoli”.
Un’altra
città che pone questo dilemma, se lasciarla o no? Si parte sempre, ma in genere
senza dilemmi. L’incertezza significa che partire non è obbligato, forse
nemmeno conveniente, non dal punto di vista materiale.
“Sud”,
un quindicinale che visse tre anni, è la prima e più aperta sul mondo rivista
culturale del dopoguerra. Napoli era stata liberata prima delle altre
metropoli, R oma, Milano, ma “Sud” propone già uno sguardo diversificato e
approfondito sul mondo, dopo la lunga autarchia.
Di
“Sud” si fecero solo sette numeri, in tre anni. Ma a opera di giovani e
giovanissimi: Pasquale Prunas, 21 anni nel 1945, che fungeva da direttore,
Compagnone, 30, Patroni Griffi, 24, La Capria, 23, Ortese, 31, Rosi, 23,
Scotellaro, 22, Domenico Rea, 24, Tommaso Giglio, 22.
Della
redazione fece parte anche Vasco Pratolini, il più vecchio, 32 anni nel 1945,
che fu a Napoli fino al 1952 professore
di storia dell’arte al liceo artistico Boccioni-Palizzi.
“Quando
vivevo a Napoli, alla porta del mio palazzo c’era una mendicante alla quale
gettavo qualche moneta prima di salite
in carrozza. Sorpreso che non mi
ringraziasse mai un giorno osservai la mendicante; allora vidi che ciò che
avevo scambiato per una mendicante era invece una cassa di legno, dipinta di
verde, che conteneva terra rossa e qualche banana mezza marcia”, Max Jacob, “Le
carnet à dés”, 1917.
Non
piace a De Giovanni, che non ama il pittoresco: la maleducazione, la sporcizia,
il disordine, l’arroganza e il servilismo, il vittimismo, l’anarchia (andare contromano, senza
casco…). È la maggiore differenza in tv, negli sceneggiati, fra le due serie
“meridionali” di richiamo, i “Montalbano” di Camilleri, che ama i suoi luoghi, malgrado le mafie, e i “Settembre” di De Giovanni.
Non
è la sola differenza. I caratteri locali Camilleri ritrae, calati nella
provincia, belli e brutti (per lo più), furbi (per lo più) e semplici, ma
ognuno nel suo ruolo o modo di essere. Mentre maleducazione, spocchia, cattiveria,
menefreghismo De Giovanni impersona al femminile – di donne tirate all’ultimo cliché: tatuaggi, colorature, cellulari
in bocca, tutte boutique e parrucchiere.
Ci sarà un motivo?
leuzzi@antiit.eu
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