Che paura, la libertà dell'Fbi
La storia della guardia
privata che all’Olimpiade di Atlanta evitò una strage localizzando per tempo un
ordigno esplosivo e allontanando la folla dei partecipanti all’evento musicale
cui presenziava nel servizio d’ordine. Che l’Fbi, per mostrarsi sollecita e capace, si sforza in tutti i modi, anche illeciti, s’incolpare dell’attentato. Un giovanottone appassionato di armi e di
polizia, con qualche problema fisico e di locuzione.
Un film agghiacciante
– asciutto, spietato, come è dell’ultimo Eastwood. È stato presentato come una
critica dello strapotere dei media. Che ci sono, importuni, fastidiosi. Ma non
cattivi. Il film è un atto d’accusa contro la polizia federale. Sdegnato, perfino
eccessivo - si fatica a credere a tanta disumanità: si fanno riunioni come nel “Padrino”,
e senza eufemismi o circonlocuzioni. Ma senza che l’Fbi abbia potuto protestare,
i fatti evidentemente sono andati come Eastwood li racconta.
Un film come questo
si dirà che solo l’America può produrlo e apprezzarlo, un paese libero. Ma nessuno
ha pagato per il falso processo a Jewell – non c’è stato in realtà processo, l’Fbi
non aveva elementi, lo ha fatto condannare con indiscrezioni pilotate ai media.
Con Jewell come, ultimamente, con il Russiagate, costruito dall’Fbi, e
alimentato attraverso i media, su un dossier di un ex agente britannico,
pagato. O come con l’arresto dieci anni fa di Strauss-Kahn per “tentata
violenza sessuale”, su confidente della stessa Fbi. Il paese delle libertà è il
paese delle libere, incontrollabili, polizie.
Clint Eastwood, Richard Jewell, Sky Cinema
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