Il narratore a caccia del personaggio
Un racconto pirandelliano, “chi è
chi?”, senza saperlo, che va veloce come un giallo. Come l’autore stesso mette
sull’avviso prima di cominciare, naturalmente negandolo – il giallo, non
Pirandello, di cui non c’è menzione. Chi è Smurov, che pure è un personaggio
d’autore? Un agente provocatore, una spia di Lenin, un imbroglione, un
profittatore di amori ancillari, un “mancino sessuale” (omosessuale represso),
un cleptomane? Di tutto e di più: i personaggi devono essere memorabili, ma a
volte, riflette lo stesso loro creatore, “tutta la loro esistenza non è stata
altro per me che sfarfallio su uno schermo”. Per un autore epico, o tragico, un
nodo, più inestricabile che di Nordio, per Nabokov, specialista di lepidotteri,
uno sfarfallio.
Un suicidio fallito fa del
narratore lo spettatore di se stesso. E gli apre la porta del possibile, al
gioco delle sliding doors, del “che
cosa sarebbe successo se…”. “L’occhio” è del narratore, che tutto vede
naturalmente, benché sfuocato. Innamorato della donna di cui è innamorato il
personaggio di cui racconta. Sia lui che lei essendo “in tutto per tutto una mia creazione”, si consola a un
certo punto il narratore. E sarà un trionfo dell’amore, la storia deve pure
concludersi. La storia di un amore, allora, “l’amaro dell’amore travagliato”,
Nabokov conclude beffardo la sua presentazione.
Ma non è finita. “Scoprire
all’improvviso che la vita reale è un sogno è terrorizzante, ma quanto più è
terrorizzante è il momento in cui ciò che si credeva un sogno - fluido e irresponsabile – comincia
all’improvviso ad aggrumarsi in realtà!”. Insomma, un distillato di Pirandello:
il narratore diventato personaggio tra
i personaggi della sua narrazione: non si può dire il “colpevole”, ma si sa chi
è.
Vladimir Nabokov, L’occhio, Adelphi, pp. 101 € 10
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