La fine del Pci
Nel
ricordo - che non si ricorda - della fine del Pci all’ultimo congresso di partito,
a Rimini trent’anni fa, può essere utile rileggere quanto se ne scriveva l’8
febbraio 1991:
“La tragicomica conclusione dell’ultimo congresso
del Pci potrebbe essere una buona notizia: dopo il comunismo nulla. I vecchi
che passano da una corrente all’altra, il non
possumus di Garavini (e del «Manifesto», come a dire: «Chi non c’è mai
stato scagli la prima pietra»), i miglioristi che silurano Occhetto, Occhetto
che fa il Machiavelli della Bassa, è tutto da ridere, e forse solo da ridere.
“Persone che sono state comuniste una vita, e
fino a ieri, mentre tutti scappavano disperati, e hanno discusso per un anno e
mezzo di rifondarsi, ma non sanno andare oltre il «Craxi sì, Craxi no», è
meglio perderli. È gente capace di procurare altri guai.
“Forse aveva ragione Craxi – o i suoi
ragazzini. Ma che desolazione! Il XXmo congresso del Pcus era stato la scoperta di Stalin, drammatica, il XXmo congresso del Pci la scoperta del vuoto, che pure non esiste in natura.
“Il partito era finito da tempo, ben prima del
crollo del Muro, arroccandosi sulla «diversità» di Berlinguer. Un leader
carismatico senza una sola idea politica: la «questione morale» è roba di furbastri,
spesso corrotti, il «compromesso storico» una dichiarazione prolissa di resa alla Dc - una
sorta di «entrismo» dissolutorio. Rimini
ne ha preso atto”.
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