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martedì 9 febbraio 2021

Secondi pensieri - 441

zeulig


Cupidigia
– “La cupidigia dei beni di sostentamento e di vita è motivo-base nelle viscere dei singoli: ognuno tende ad appropriarsi di ciò che gli serve: i poveri non meno dei ricchi”, Carlo Emilio Gadda, “La casa dei ricchi”, 13.
 
Dio
– “Gli stessi dei vengono dopo la creazione”, recitano i “Rig Veda”: “Quindi chi può sapere davvero come nacque la creazione?” Dio non creatore, dunque, ma ordinatore.
Ma, è la creazione? Sia pure del caos della fisica.
 
Natura
– “Il mondo è un insieme infinito di leggi galleggianti nel caos, un’immensa scatola chiamata natura” – lo dice Scalfari ma è vero: “L’esistente soggiace ad una  norma che è soltanto la sua”, “la regola dell’essere non è altro che l’assenza di regole o la loro inconciliabilità”. E: “L’esistente ha un suo linguaggio ma l’essere non si esprime se non con le forme esistenti che lo frantumano. L’esistente si distingue da tutto ciò che è se stesso e per questo non è da noi definibile se non come caos che contiene un numero infinito di leggi potenziali senza soggiacere ad alcuna”.

Si insegna in America – dove altro? – che la catastrofe ecologica è effetto delle religioni del Dio Unico, del dominio dell’uomo sulla natura. Del cristianesimo, naturalmente, in gran parte. La fede in Dio comportando, chissà perché, arroganza e distruzione. E non delle centrali a carbone dell’Asia non monoteista, dove è difficile vedersi anche di giorno. Questo fa parte del complesso di colpa occidentale, conseguente al suicidio dell’Europa nelle due grandi guerre, e alle terapeutiche distruttive di Marx e di Freud. Ma si alimenta dell’illibatezza della natura.  

   

Anche adesso, che un effetto naturale fa vittime a milioni, si vuole idealizzare la natura – l’albero, il giardino, la campagna, un ristoro della clausura forzata. Stranamente, la natura ritorna in una concezione non lontana da quella volgare, della nuova ecologia: di un mondo che sta lì fuori, incontaminato, se non per l’umana cattiveria, di per sé bello e buono. Tutto ciò che è “naturale” è migliore – più salubre meno infetto, meno sporco – dell’artificiale. Il parto “naturale” è “migliore” di quello assistito: fa madri più resistenti al dolore e più forti – nel senso fisico, della robustezza. I detergenti naturali (biodegradabili) che intasano gli scarichi sono migliori di quelli sintetici.
Una concezione volgare ma colta: è la natura naturans, la “deista” dell’illuminismo russoviano, divina di per sé. Rilanciata nell’Ottocento in chiave naturista, in ambiti teutonico e americano. Qui con una distinta qualità morale, da Woodsworth, Thoreau: valorizzando la natura diventeremo migliori, e faremo decisioni migliori per tutti.
Un argomento difficile da controbattere. Anche se è alla base del rifiuto dei vaccini – molto più diffuso di quanto si dica, e le vaccinazioni di massa in corso lo confermano: il vaccino non è naturale, anzi si connota per essere anti-naturale. Un sofisma, ma non controvertibile logicamente. Una stranezza, difficile da rimuovere. Seppure, passeggiando in città, solitari e non, succede d’imbattersi nel gabbiamo elegante, veloce, eretto, che sbudella il gatto per mero istinto, l’occhio truce, come il becco, la voce cattiva – il gatto e non il cane, il suo è un istinto di fame che prende le misure. O il corvo gli uccelli, più piccoli s’intende – ma per questo bisogna passeggiare in campagna. 
La natura, lei, non dice niente. Non interroga e non dà risposte. Non dà spiegazioni e non cerca giustificazioni. Qualche volta allaga e terremota, e neanche lei sa perché – in questi casi si dice solitamente che è colpa dell’uomo, che non ha saputo guardarsi dalle acque e dai terremoti, con la difesa del territorio con un’edilizia adeguata, ma il rimedio (mai comunque adeguato) non intacca la sostanza della cosa. Il disastro naturale c’è – prima o poi ci sarà anche un asteroide – come ci sono le stagioni, le fioriture, le maturazioni.

 
Nichilismo (tedesco) - Commentando un discorso del pastore Niemöller sul nichilismo tedesco, Malaparte , 292 segg, “Journal d’un étranger à Paris”, il suo diario parigino del 1947, 292 segg., torna sulla rimozione della colpa collettiva, che Norimberga prima, e poi, nello stesso arco di tempo, il filosofo Jaspers avevano elaborato. Per spiegare che non avrebbe fatto presa: “Il nichilismo tedesco è una delle forme del Cristo” – Nietzsche-Zarathustra è, si vuole anche, un altro Cristo. Che Malaparte, progenie di tedeschi, fa derivare da questa asserzione-constatazione: “La famosa crudeltà tedesca è, come quella degli Spagnoli, una crudeltà di natura metafisica: essa suppone un’abitudine, se si può chiamare con questo nome banale, a riportare tutto a problemi metafisici: nulla di personale, l’adesione è istintiva, irriflessa”. Non un caso di duplicità: “Il senso di responsabilità non s’accompagna mai, nei Tedeschi, al senso del peccato. Ne è indipendente”. I Tedeschi che ha visto in azione, in rappresaglie o altre azioni belliche violente, erano del tutto immuni da sessi di colpa – né del resto mostravano di obbedire a un ordine, a un regolamento, uccidevano a freddo: “Hanno mai avuto il senso della loro colpevolezza? Credono di avere ragione. Il Cristo è con loro, almeno così credono… Non è nel loro proprio interesse che i Tedeschi soffrono e fanno soffrire. È nell’interesse della verità, della giustizia, in una parola del Cristo. Sono (credono di esserlo, e basta crederlo per esserlo) la civiltà contro la barbarie, la kultur contro la sauvagerie dei popoli inferiori, o condannati. Tentare di spiegare loro, di persuaderli, che sono colpevoli, è pena perduta. Hanno perduto al guerra: è una prova?”
Malaparte insiste su questa autodivinizzazione: “Il Cristo stesso ha perso la sua guerra terrestre…Il popolo tedesco è il Cristo. È stato crocifisso? È salito al cielo”. E ancora: “Non ho mai visto il dubbio morale sfiorare le loro anime. Mai ho visto un Tedesco esitare, dirsi: «Sono un assassino?», o: «Sono in accordo con le leggi di Dio?», o ancora: «Forse h offeso Dio?» Al contrario, ho sempre notato in essi la nozione che compivano un rito, un sacrificio a Dio. La macelleria li lasciava calmi, sicuri, sereni, come se avessero ucciso in onore di dio”.
 
Razzismo - Il razzismo non è – non à stato e non è – solo europeo. L’antirazzismo invece è solo europeo. “Occidentale”, oggi tipicamente e furiosamente americano – è in America, al “New York Times” un giornalista scientifico molto stimato è licenziato su pressione di 150 redattori di colore perché (non) avrebbe usato un epiteto razzista – cioè come un atto di forza, dei redattori di colore contro un bianco. Lo stesso si può dire dell’Asia triumphans, mussulmana o cinese, al cinema e nelle arti figurative, anche senza corruzione.
Ma il razzismo antirazzista cancella la storia (oggi quella “occidentale”, ma ne ha cancellate altre, di storie, africane e asiatiche e “latine”), cancella il sesso (genere), cancella la riproduzione e la famiglia, cancella il sentimento e la passione. Solo i geni contano – oggi quelli femminili, meglio se di colore.  
Questa critica è reazionaria. Ma non abbastanza.
 Montezuma, Atahualpa non furono abbastanza reazionari contro il progresso europeo, che videro nelle armi da fuoco – gli bastava niente per annientare Cortés e Pizarro. Come invece lo fu il negus Menelik, che contro il 91 italiano che non si poteva usare (era segreto…) e il Vetterli svizzero a ripetizione che non si sapeva usare,  si era comprato i residuati di guerra di Bismarck, già all’opera a Sadowa trent’anni prima – non c’è niente di divino nella guerra.
 
Storia –  È il solco della speranza. Nella postura, certo, di Klee e W.Benjamin, dell’angelo che vola guardando all’indietro: “Un passato non tramontato e un futuro fatto di speranze da realizzare. Da qui muove chi vuole studiare la storia”, Adriano Prosperi, “Un tempo senza storia”.


zeulig@antiit.eu

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