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A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (453)
Giuseppe Leuzzi
Giuseppe
Smorto fa sul “Venerdì di Repubblica” (e con Antonio Nasso in docufilm sul sito
di “Repubblica”) un quadro della sanità perduta in Calabria. Dopo dieci anni di
commissari (prefetti, generali, questori), che hanno chiuso tredici ospedali e
non ne hanno aperto nessuno. Neanche quelli già costruiti. Mentre altri
finanziati stanno per perdere i finanziamenti per la neghittosità. Di chi? Dei
commissari – ma questo Peppe non lo dice. Coraggio, ancora uno sforzo!
Una
amitié amoureuse avrebbe salvato Pavese
dal senso di inadeguatezza che lo ha portato al suicidio? Quella con Bianca
Garufi sì, nei mesi in cui lavorò a Roma, tra 1945 e 1946. Scrisse con lei un
romanzo a quattro mani, “Fuoco grande”, e
la fece interlocutrice dei “Dialoghi con Leucò” – Leucotea è dea bianca in
greco. Ma non se ne innamorò. Non per timidezza. Perché Bianca era alla Einaudi
come segretaria? O perché era di Letojanni, sotto Taormina? Una compagna oltre
che una (possibile) amante, come si vede dalle lettere ora recuperate, trascurate nelle raccolte pavesiane.
La Cupola dei vaccini
A proposito di mafie, AstraZeneca lo è? Si
direbbe di sì, ne ha gli ingredienti: il guadagno indebito, il raggiro, la
violenza (non spara, ma negando i vaccini dovuti e attesi è come se lo facesse).
Però è inglese e svedese, e quindi non è mafiosa.
AstraZeneca
è anche protetta dai suoi governi, ed ecco la Cupola. Mancava la Cupola al paradigma
di questa mafia, ma eccola. Insomma, c’è tutto. Manca solo una Procura
antimafia che la dichiari. O per essere incolpati di mafia bisogna essere nati
in Sicilia o in Calabria – giustamente i giudici di Roma hanno detto che Buzzi
e Carminati non sono mafiosi?
In
quel caso, basta anche solo aver mercanteggiato i voti della famiglia, venti-trenta
voti, i parenti si prestano, per l’appalto di un marciapiedi, o per un posto da usciere comunale, per
essere acculato alla mafia: “voto di scambio” – l’antimafia è semplice.
La
prova in 60 mila pagine
Al processo Palamara al Csm si producono
60 mila (sessantamila) pagine di chat. Sessantamila – la Treccani, 74 volumi,
non arriva a tanto. Registrate necessariamente in un lungo periodo di tempo:
raccogliere 60 mila pagine richiede anni.
Con notizie di reato, evidentemente. Finali, se si presentano agli atti
d’accusa. Ma anche iniziali, se le intercettazioni sono state autorizzate. Ma senza
intervenire. Una giustizia singolare: non si punisce il reato quando se ne ha notizia
ma quando conviene. A chi?
È il singolare criterio dell’antimafia: non
si interviene subito, su una richiesta di pizzo, un attentato, una minaccia –
provatevi a fare una denuncia: non succede nulla. O nel mercato delle droghe,
che si fa alla luce del sole. Si interviene a distanza, periodicamente, in base
a certi criteri che non si sa quali siano.
Il Sud del Nord
“Era
diffidente come un meridionale”, testimonia Robert Walser di uno dei tanti
mini-autoritratti de “La rosa”, “tanto verso di sé che verso gli altri”. Lo
scrittore svizzero, che in “Würzbug” (“Vita di poeta”) si vestiva da “Italia
del Sud”, cioè colorato, riferisce qui un detto
comune - quanti meridionali avrà potuto frequentare a Berna prima della guerra,
della Grande Guerra?
Walser
ha anche, poco dopo, la “spensieratezza del Sud”: “Ieri ascoltavo un cantante
italiano e la sua canzone mi poneva innanzi al cuore il cielo e la
spensieratezza del Sud”. Dove Walser non è mai stato, non viaggiava.
C’è
– c’era – un Sud del Nord. Spensierato, allegro, colorato, canterino. Come
quello di Robert Walser, che non ha mai viaggiato al di sotto di Berna.
Il nostos
Si
ritorna perché è necessario estraniarsi, così Giorgio Agamben conclude la sua
immersione nella “follia” di Hölderlin (“La follia di Hölderlin”): “Il gesto
eversivo della poesia è anche quello del rivolgimento dall’estraneo verso il
natale (o nazionale)”. Come un riavvolgersi: “Poiché l’originale può apparire
solo nella sua debolezza, esso può essere raggiunto solo attraverso un viaggio
di ritorno che deve prima avere attraversato l’estraneo”. Il filosofo è convoluto
ma il senso è semplice: bisogna uscire per apprezzare ciò che si lascia – l’“originale”,
ciò con cui si convive come dato di fatto, non per scelta.
Agamben
lo dice a proposito della follia del poeta, che non lo convince, e che quindi
ipotizza sia stata una scelta per porsi fuori del proprio ambiente, per poterlo
meglio comprendere e governare, o soltanto per non farsene più ferire. Senza
una estraniazione, non si apprezza l’originale – non si può.
Argomenta
ancora Agamben: “Il possesso dell’origine è possibile solo nella forma «abitiva»
e spossessante di un’abitazione e di un’abitudine”, senza averne piena
coscienza cioè - “Essa non si può avere, ad essa ci si può soltanto assuefare”.
Diverso il caso del nostos, del ritorno da un’esperienza altra,
“estranea”.
Napoli
Gide
a Napoli, il 29 gennaio 1896, in viaggio con la cugina-moglie (poi
proseguiranno per l’Algeria, l’“Oriente”), annota nel “Diario”: “Mi meraviglio
di trovare già qui questo canto d’Oriente così strano, avviato su una nota troppo
acuta, che precipita bizzarramente fino alla tonica in due frasi parallele,
svolte come tra due toni, scandite spasmodicamente e che si fermano in un
soffocamento-troncamento”.
Un
anno dopo Gide, il 20 settembre, saranno a Napoli Oscar Wilde, uscito di prigione,
con mille progetti, col suo giovane Lord, Afred Douglas. Ospiti a spese dei
Douglas, alcuni dei quali risiedono a Napoli, in una villa a Posillipo con
giardino e veduta. Poi Douglas padre convince il figlio con i soldi a tornare a
casa, il 30 di novembre. Dando una buonuscita a Wilde. Che se la spende a
Taormina, e quando torna a Napoli deve alloggiare in pensione di infimo ordine.
Tenterà migliore fortuna a Parigi, il 13 febbraio.
Il
grande cuore di Napoli non fu generoso con Wilde. La coppia fu denunciata poco
dopo l’arrivo, il 7 ottobre, da Matilde Serao sul “Mattino” – una presenza che “ha
messo molte persone, tra le quali l’umile sottoscritta, in una certa
trepidazione confinante col panico”. Costringendo i parenti di Lord Douglas
residenti a Napoli a muoversi per sciogliere la coppia.
A
Napoli Wilde – come poi farà ad Algeri sei anni dopo, iniziandovi il
rispettabile André Gide – cerca “cattive frequentazioni” e “cattivi luoghi”.
Pullula
di edicole, e murali d’autore, di ragazzi morti giovani, la più parte uccisi
per questioni di camorra e di spaccio. Lo Stato chiede al Comune la rimozione
delle immagini di ragazzi morti durante una rapina o altro delitto. Il sindaco
De Magistris, un giudice, obietta. Un appello è pubblicato da artisti e scrittori, in testa
Maurizio De Giovanni, per conservare il murale di Antonio Russo, morto a sedici
anni durante una rapina.
È greca ma pure molto romana. Ospitava
la flotta imperiale a Capo Miseno, le galee, su cui erano imbarcati i galeotti.
Migliaia, decine di migliaia. Che si dispersero nel territorio alla caduta dell’impero.
Anche i disoccupati organizzati
vengono dall’antica Roma: le folle di nullafacenti, mantenute dallo Stato e
dalle famiglie, che ritenevano loro diritto lamentarsi, protestare, e rubare,
da soli o in bande.
Pippo Inzaghi giocò poco nel
campionato 1995-96 perché rifutò al mercato di gennaio il trasferimento al Napoli,
cui il Parma lo destinava – passerà invece poi volentieri, a fine campionato,
all’Atalanta. Ora sopravvive nel calcio per il buonvolere del Benevento, dove aveva
trovato casa in serie B. E col Benevento, ridestinato alla serie B, coglie il
primo, e unico, successo da allenatore, battendo la Juventus a casa sua.
Il
presidente della regione Campania De Luca che “prenota” il vaccino russo
Sputnik è irriso da “la Repubblica”. Che pure sarebbe il “suo” giornale,
filo-Pd. E non ha irriso il presidente della regione Emilia Bonaccini quando ha
chiesto un mese prima di “accelerare” col vaccino russo – le analisi. Il razzismo
è un riflesso condizionato.
Paradossalmente,
De Luca è il personaggio di Crozza con cui il comico si identifica, pur nella
satira. Solidarietà di dannati – la satira non ha più cittadinanza?
leuzzi@antiit.eu
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