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Dante gigante a Parigi
Dante proscritto a Parigi nel
1308. In compagnia di un efebo angelico, uno dei tanti Godefroid dei romanzi di
Balzac, col quale condivide una stanza dalla guardia Tirechair, tiracarne, sul Terrain che è l’attuale piazza Notre Dame, il
quale non sa chi sono i suoi ospiti e li sospetta di magia o eresia. È il Dante
ascetico profetico della maschera mortuaria di Ravenna, o del ritratto
mortuario del “Trattatello” di Boccaccio: “un nibbio”, dall’“occhio d’aquila”, con
un “non so che di dispotico e di penetrante”, presente e remoto, “intrepido e serio”, mani “da guerriero”, naturalmente
autorevole, “al pari dello sguardo, i suoi gesti emanavano una potenza
irresistibile”, e “benché fosse di statura media, sembrava alto; ma guardandolo
in volto, era gigantesco”. Dante è a Parigi per ascoltare Sigieri di Brabante –
di cui ha salvato la posterità nominandolo nel “Paradiso”. Nel varo di una
nuova religione che Balzac, sotto l’influsso di Madame Hanska, immagina di aver
trovato in un Sigieri-Swedenborgh, di corrispondenze arcane tra paradiso e inferno,
sogni, angeli.
Un racconto poco noto, il meno
noto dei tre che compongono il “Livre mystique” del 1835, con “Louis Lambert” e
“Séraphita”. Balzac lo scrisse nel 1831, insieme col “Lambert”, incerto sul
futuro della sua opera, se far evolvere le narrative caratteriali e sociali
verso lo spirituale. Dante lo soccorrerà anche nella ricerca del nome complessivo
da dare alla sua opera, tra “Studi di costumi” e “Studi filosofici”: la “Commedia
umana”.
A Parigi Dante lo manda
Boccaccio, nel “Trattatello in laude di Dante”, per rendersi edotto di teologia
– sulla traccia di un accenno nella “Cronica” di Villani: dopo l’esilio a
Bologna, Dante va a Parigi. Sul fatto ci sono perplessità diffuse. Certamente
non andò a Parigi per ascoltare Sigieri di Brabante, la cui memoria è rimasta
sepolta fino al secondo Ottocento - tenuta in vita solo dal fatto che Dante lo
nomina nel “Paradiso.
Un racconto come un lungo, lento,
trattatello di teosofia. Nella prima redazione, il racconto era soprattutto dell’esilio.
Questo del 1835 è di una “nuova religione”. Balzac fa parlare Sigieri come Swedenborg,
di cui aveva appena letto e che mette ben sopra Dante stesso. Nella prefazione alla
seconda edizione del racconto, nel “Livre mystique” del 1835, lo fa continuatore
di una “teologia mistica”, cui si riprometteva di dedicarsi egli stesso negli “Studi
filosofici”: “Qui vedete Dante venire a far illuminare la sua ‘Divina Commedia’
dall’insigne dottore che sarebbe dimenticato senza i versi in cui il Fiorentino
ha consacrato la sua riconoscenza verso
il proprio maestro”.
Ma il Sigieri del racconto parla,
appunto, come Swedenborg. Una conferma di come Dante si presti, per la sua stessa
complessità, alla “latitudine di abuso” che Gianfranco Contini lamentava.
A suo modo, al modo rapsodico di
conoscenza di Balzac, Dante è per lui una costante. In collegamento con Dante
dà anche il proprio nome a due delle centinaia di personaggi e figure che
animano i suoi racconti e romanzi. Honorino, spiega qui Dante al giovane proscritto
suo convivente, per dissuaderlo da cattivi propositi, è al centro di una storia
non scritta della “Divina Commedia”: è un suicida per amore della sua sposa, con
la quale però per questo non ha potuto congiungersi con lei in paradiso, e vaga
fuori della Gerusalemme celeste. Honorina, nel romanzo omonimo del 1843, si
difende nelle sue tante incertezze amorose così: “A nessun uomo, foss’anche
sant’Agostino, che per me è il più tenero dei padri della Chiesa, è dato entrare
negli scrupoli della mia coscienza, che per me sono i cerchi invalicabili dell’inferno di Dante”.
Con una introduzione irta di Daniela
De Agostini. E una postfazione distesa di Andrea Mazzucchi, che si interroga su
come Balzac possa essere venuto a conoscenza del “Trattatello”, che ancora non
era stato tradotto in francese, e la cui lettura in originale giudica
fortemente improbabile. La chiave è il corso di letteratura francese di
Villemain, l’iniziatore degli studi di letteratura comparata, pubblicato nel
1830. Qui, per spiegare la popolarità di Dante presso i contemporanei, Villemain
traduce alla lettera un altro aneddoto del “Trattatello”, di Dante a Verona,
dove alcune donne, sedute davanti casa, vedendolo passare si dicono: “Vedete
colui che va ne l’inferno, e ne torna”, riportandone “la barba crespa e il colore
bruno per lo caldo e per lo fummo che è là giù”. Che è come Balzac tratteggia l’esule
a Parigi, pigionante nello spiazzo di Notre-Dame.
Un racconto dedicato alla Almae sorori, la sorella Laure, la “sorella
che dà vita” – soror alma viene dall’“Eneide”, X, 439. Inizialmente,
nel 1831, era dedicato a Rossini: in epigrafe recava “O Patria!...”, dal “Tancredi”.
Honoré de Balzac, I proscritti, Salerno, pp. 109 € 8
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