martedì 23 marzo 2021

Dante gigante a Parigi

Dante proscritto a Parigi nel 1308. In compagnia di un efebo angelico, uno dei tanti Godefroid dei romanzi di Balzac, col quale condivide una stanza dalla guardia Tirechair, tiracarne, sul Terrain che è l’attuale piazza Notre Dame, il quale non sa chi sono i suoi ospiti e li sospetta di magia o eresia. È il Dante ascetico profetico della maschera mortuaria di Ravenna, o del ritratto mortuario del “Trattatello” di Boccaccio: “un nibbio”, dall’“occhio d’aquila”, con un “non so che di dispotico e di penetrante”, presente e remoto,  “intrepido e serio”, mani “da guerriero”, naturalmente autorevole, “al pari dello sguardo, i suoi gesti emanavano una potenza irresistibile”, e “benché fosse di statura media, sembrava alto; ma guardandolo in volto, era gigantesco”. Dante è a Parigi per ascoltare Sigieri di Brabante – di cui ha salvato la posterità nominandolo nel “Paradiso”. Nel varo di una nuova religione che Balzac, sotto l’influsso di Madame Hanska, immagina di aver trovato in un Sigieri-Swedenborgh, di corrispondenze arcane tra paradiso e inferno, sogni, angeli.
Un racconto poco noto, il meno noto dei tre che compongono il “Livre mystique” del 1835, con “Louis Lambert” e “Séraphita”. Balzac lo scrisse nel 1831, insieme col “Lambert”, incerto sul futuro della sua opera, se far evolvere le narrative caratteriali e sociali verso lo spirituale. Dante lo soccorrerà anche nella ricerca del nome complessivo da dare alla sua opera, tra “Studi di costumi” e “Studi filosofici”: la “Commedia umana”.

A Parigi Dante lo manda Boccaccio, nel “Trattatello in laude di Dante”, per rendersi edotto di teologia – sulla traccia di un accenno nella “Cronica” di Villani: dopo l’esilio a Bologna, Dante va a Parigi. Sul fatto ci sono perplessità diffuse. Certamente non andò a Parigi per ascoltare Sigieri di Brabante, la cui memoria è rimasta sepolta fino al secondo Ottocento - tenuta in vita solo dal fatto che Dante lo nomina nel “Paradiso.
Un racconto come un lungo, lento, trattatello di teosofia. Nella prima redazione, il racconto era soprattutto dell’esilio. Questo del 1835 è di una “nuova religione”. Balzac fa parlare Sigieri come Swedenborg, di cui aveva appena letto e che mette ben sopra Dante stesso. Nella prefazione alla seconda edizione del racconto, nel “Livre mystique” del 1835, lo fa continuatore di una “teologia mistica”, cui si riprometteva di dedicarsi egli stesso negli “Studi filosofici”: “Qui vedete Dante venire a far illuminare la sua ‘Divina Commedia’ dall’insigne dottore che sarebbe dimenticato senza i versi in cui il Fiorentino ha consacrato la sua riconoscenza  verso il proprio maestro”.
Ma il Sigieri del racconto parla, appunto, come Swedenborg. Una conferma di come Dante si presti, per la sua stessa complessità, alla “latitudine di abuso” che Gianfranco Contini lamentava.
A suo modo, al modo rapsodico di conoscenza di Balzac, Dante è per lui una costante. In collegamento con Dante dà anche il proprio nome a due delle centinaia di personaggi e figure che animano i suoi racconti e romanzi. Honorino, spiega qui Dante al giovane proscritto suo convivente, per dissuaderlo da cattivi propositi, è al centro di una storia non scritta della “Divina Commedia”: è un suicida per amore della sua sposa, con la quale però per questo non ha potuto congiungersi con lei in paradiso, e vaga fuori della Gerusalemme celeste. Honorina, nel romanzo omonimo del 1843, si difende nelle sue tante incertezze amorose così: “A nessun uomo, foss’anche sant’Agostino, che per me è il più tenero dei padri della Chiesa, è dato entrare negli scrupoli della mia coscienza, che per me sono i cerchi invalicabili dell’inferno di Dante”.   
Con una introduzione irta di Daniela De Agostini. E una postfazione distesa di Andrea Mazzucchi, che si interroga su come Balzac possa essere venuto a conoscenza del “Trattatello”, che ancora non era stato tradotto in francese, e la cui lettura in originale giudica fortemente improbabile. La chiave è il corso di letteratura francese di Villemain, l’iniziatore degli studi di letteratura comparata, pubblicato nel 1830. Qui, per spiegare la popolarità di Dante presso i contemporanei, Villemain traduce alla lettera un altro aneddoto del “Trattatello”, di Dante a Verona, dove alcune donne, sedute davanti casa, vedendolo passare si dicono: “Vedete colui che va ne l’inferno, e ne torna”, riportandone “la barba crespa e il colore bruno per lo caldo e per lo fummo che è là giù”. Che è come Balzac tratteggia l’esule a Parigi, pigionante nello spiazzo di Notre-Dame.

Un racconto dedicato alla Almae sorori, la sorella Laure, la “sorella che dà vita” – soror alma viene dall’“Eneide”, X, 439. Inizialmente, nel 1831, era dedicato a Rossini: in epigrafe recava “O Patria!...”, dal “Tancredi”.
Honoré de Balzac, I proscritti, Salerno, pp. 109 € 8

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