È Biden vs. Cina
È
sempre più palese e globale la strategia internazionale della presidenza Biden:
un confronto a tutto campo con la Cina. Avviato da Trump, ma ora sistematico. Un
confronto politico (e militare), oltre che economico, commerciale e monetario.
Tutti i segnali sono convergenti. Il rilancio del legame atlantico. La mobilitazione
delle rotenze asiatiche, Giappone, Corea del Sud, India. Il blocco effettivo, seppure
senza le coloristiche intemperanze di Trump, della presenza cinese in Occidente, Europa compresa, nell’economia digitale e
dell’intelligenza artificiale. Il passaggio perfino drammatico dal bening neglect sulla questione Taiwan,
all’affermazione – poco ci manca – delle due Cine, anatema a Pechino. Il rinnovo
della presenza in Medio Oriente, a partire dalla Libia – non in confronto con
la Cina, che non vi ha interesse, ma della Russia, considerata sua proxy.
La
Cina non ha particolare interesse dal Medio Oriente. Né ha le portaerei per
frequentarlo. Ma Biden proverà a tenerla lontana anche dall’area prospiciente, l’Asia
centro-occidentale, ex sovietica e ora aperte all vie della Seta. Secondo un vecchio
progetto (2011) di Obama e Hillary Clinton, di fare soprattutto del
Turkmenistan, col Kazakistan, un presidio di avanguardia integrato nell’economia
occidentale, e fascia protettiva di Afghanistan, Pakistan e India. Qui si
scontrerà con la Cina, che invece quelle aree si prospetta come Stati cuscinetto,
economicamente dipendenti.
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