sabato 6 marzo 2021

Il mondo com'è (423)

astolfo

Analfabetismo di ritorno – È un problema, fra tutti i paesi più industrializzati, soprattutto dell’Italia, di gran lunga più grave che negli altri paesi più ricchi. L’ultimo “Survey of Adult Skills” dell’Ocse, l’organizzazione dei paesi industrializzati, per la valutazione delle competenze nella popolazione adulta, relativo agli anni 2015-2016, dava per l’Italia due milioni di analfabeti, 13 milioni di semianalfabeti, che sanno firmare ma non capiscono quello che leggono, e 13 milioni di analfabeti di ritorno. Poco meno della metà della popolazione. È un dato costante nelle rilevazioni dell’alfabetismo: l’Italia mantiene una sorta di record negativo quanto ad “analfabetismo funzionale” o “analfabetismo di ritorno”
Il mondo si può dire alfabetizzato. Una indagine Unesco dà il mondo alfabetizzato, cioè scolarizzato, all’85 per cento – dati del 2015. Gli analfabeti calcolando in 757 milioni. Distribuiti per lo più in Africa, Asia e America Latina. Ma per un decimo, circa 80 milioni, europei: in questo caso non analfabeti integrali, senza cioè alcuna istruzione, ma “funzionali” o di ritorno”. E di questi 80 milioni, il numero più elevato, circa 28 milioni, si calcolava in Italia, il 47 per cento della popolazione.
Per analfabetismo funzionale o di ritorno si intende “l’incapacità di servirsi della lettura, la scrittura e la capacità di calcolo per il proprio sviluppo cognitivo e per quello della comunità”, del gruppo familiare, di lavoro, e sociale in cui si vive, benché si siano frequentate le scuole dell’obbligo. Secondo la definizione del rapporto Piaac (Programme for the International Asssessment of Adult Competencies), sempre dell’Ocse, sono persone che non riescono a “comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”.
Le stime del rapporto Piaac sono più precise, riguardano la popolazione compresa tra i 15 e i 65 anni, le classi di età “produttive”. Con numeri quindi più contenuti nel totale della popolazione, ma ugualmente pesanti. Solitamente, l’analfabetismo di ritorno funzionale si registra per le cassi di età più elevate. Ma in Italia riguarda anche i giovani; uno su sei, il 17 per cento degli italiani fra i 15 e i 30 anni, non capisce ciò che legge.
In particolare, ciò viene in risalto nei social: la ricerca Ocse ha rilevato che una parte dei giovani italiani anche più larga di questo 17 per cento non è in grado di leggere “tra le righe” di un testo, di capirne il significato implicito. Sia alla ricezione che nell’eventuale intervento o risposta: si ha difficoltà a elaborare un pensiero critico o compiuto sul testo che si intende commentare.
L’ultimo “Human Development Report”, sulla “popolazione che manca di capacità di lettura funzionale”, dell’Unpd, United Nations Development Programme, è vecchio del 2009 e riguarda il decennio 1994-2003. È il primo segnale del ritardo italiano, poi cristallizzato nelle successive ricerche. Il rapporto registra da un minimo in Svezia, il 7,5 per cento, al 47 per cento dell’Italia. A seguire, ma con percentuali molto più basse, sono i paesi a forte immigrazione: Gran Bretagna, 21, 8 per cento, Stati Uniti, 20,0, Belgio (area fiamminga) e Nuova Zelanda, 18, 4, Australia, 17,0, Svizzera, 15,9, Canada, 14,6, Germania, 14,4.
Una ricerca dell’Istituto Carlo Cattaneo per la Fondazione Feltrinelli, di fine 2018, “Istruzione e futuro: un gap da colmare”, conferma il problema italiano: il 98,6 per cento degli italiani è alfabetizzato, ma sfiora il 30 per cento la quota di cittadini tra i 25 e i 65 anni con scarse capacità di comprensione, lettura e calcolo. Il Cattaneo prova a individuare la causa del fenomeno, e la trova nella scarsa o nulla meritocrazia: la perdita di “capitale umano” è “sia causa che effetto di un sistema economico il cui premio per la competenza è nettamente minore che in altri Paesi”. Un handicap pesante, spiega la ricerca Feltrinelli-Cattaneo: “Una bassa scolarizzazione determina costi a livello individuale: esclusione sciale, insicurezza, mancanza di autonomia, precarietà”. In aggiunta pesano “i costi sociali propriamente definiti: scarsa partecipazione al processo democratico, criminalità, maggior spesa per la salute”. E “i costi economici: livello di sviluppo limitato, bassa propensione all’innovazione, scarsa produttività”.
 
Bronte – Le fucilazioni ordinate da Bixio nel 1860 contro i contadini e i liberali borghesi che reclamavano la distribuzione delle terre infeudate, fu un risarcimento dovuto da Garibaldi agli inglesi? L’ipotesi è adombrata da Carlo Levi nel capitolo “Bronte” dei suoi racconti di viaggio in Sicilia, “Le parole sono pietre”, là dove spiega che la rappresaglia di Bixio fu pretestuosa. C’erano stati eccessi – incendi, assalti alle persone – ma erano stati domati. “Agli occhi dei contadini di Bronte la conquista garibaldina non poteva avere che un senso:  il possesso delle terre, la libertà dal feudalismo”, questo il presupposto della rivolta, guidata da avvocati liberali. Ma “Garibaldi, pressato dal console inglese di Catania timoroso per le sorti della Ducea, mandò Nino Bixio a rimettere ordine Nino Bixio giunse a cose già calme, dopo che un altro garibaldino, il colonnello Poulet con una compagnia di soldati era già pacificamente entrato in Bronte. Bixio fu feroce. Con una parvenza di processo, fucilò immediatamente i capi della rivolta”. Cinque fucilazioni, compreso il pazzo del paese. Levi conclude con una coda velenosa - come a dire: “quello che non avevano fatto i Borboni fece Bixio, o Garibaldi”: “Tra essi un avvocato, Nicolò Lombardo, un liberale che aveva già guidato in Bronte i moti del ’48”.
Garibaldi, legato al governo inglese per via massonica, era stato favorito allo sbarco a Marsala, dalla presenza nel porto delle navi da guerra inglesi “Argus” e “Intrepid”. Una presenza non casuale: le due navi erano state fatte salpare da Palermo, incrociare per più giorni al largo di Marsala, ed entrare in porto, impedendo il cannoneggiamento da parte delle batterie borboniche di terra, tre ore prima dell’arrivo dei Mille. 
Bronte era da 60 anni ducea di Nelson, della discendenza dell’ammiraglio. “Questo feudo, ottenuto dal cinico ammiraglio inglese per aver versato il sangue dei giacobini rivoluzionari napoletani (egli personalmente impiccò all’albero della sua nave l’ammiraglio Caracciolo), fu sempre difeso dai suoi discendenti con la repressione e il sangue” - Vincenzo Consolo, nella presentazione all’edizione corrente di “Le parole sono pietre”.

 
Juju – Un luogo o un albero, un cespuglio, un fiore, o anche solo un oggetto, viene tuttora considerato sacro in molte parti dell’Africa, e per molteplici occasioni. V.
http://www.antiit.com/2014/08/il-mondo-come-183.html
La pratica è stata mantenuta fino a tutto l’Ottocento dai neri americani originari del golfo di Guinea.  Nella condizione di schiavi e anche di liberi. A lungo gli afroamericani praticarono un sincretismo di religione rivelata, compresi i testi sacri, soprattutto la Bibbia, e di animismo: mentre praticavano i riti cristiani, li accompagnavano con riti africani. Tra questi le riunioni all’aperto, in quel che chiamavano arbor church, una radura in mezzo ad alberi considerati sacri, le invocazioni alternando ai canti, e ai movimenti del corpo.

astolfo@antiit.eu

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