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Il silenzio di Ortese
“La capitale del lavoro italiano”
è una “foresta di pietra”. Disumana – “appare,
malgrado il suo volto benigno, cordiale, grandezza e tenebra”. Ortese, dal 1953
esule da Napoli, per le reazioni violente ad alcuni dei suoi racconti, nel 1955
approda a Milano. Affermata quarantenne, già premio Viareggio nel 1953 con la raccolta
di racconti “Il mare non bagna Napoli”, prova a stabilirsi nella capitale morale
come giornalista, nonché scrittrice. Ma l’idillio finisce presto con un rifiuto,
questo: sei articoli, che Ortese riunisce in volume nel 1958 con Laterza,
lontano da Milano.
Il silenzio, si direbbe, era il
suo, la difficoltà di empatizzare. Non sul piano personale: Anna Maria Ortese è
scrittrice di forte carica sociale. Anche qui s’immedesima, e le sa raccontare,
nelle situazioni estreme, d’indigenza, di bisogno. Ma non se ne conoscono altri
trasporti – l’intelligenza dominante sembrerebbe impedirglieli.
Il “silenzio d’autore” è
tipologia psicologica che meriterebbe attenzione. Riscontrabile negli autori
più partecipi dell’attualità, come per esempio Malaparte, Hemingway.
La Milano di Ortese è “città
industriale e medievale insieme, affarista e ascetica, spregiudicata e prudentissima,
che dovunque sospetta un’infrazione alla regola, all’ordine stabilito; e
consiglia continuamente il silenzio, predica incessantemente il silenzio”. Ma
anche il disoccupato del § omonimo, “Antonio venuto su dal sud”, esprime “lo
spavento e il misterioso silenzio del Sud”.
Ortese vincerà anche il premio
Strega nel 1967, con “Poveri e semplici”, pubblicato a Firenze da Vallecchi.
Tornata intanto a Napoli, la sua città del cuore. Prima del ritiro nel 1975 a
Rapallo – insieme con la sorella Maria, con la quale ha sempre vissuto. La
biografia più piana, e misteriosa – o meno misteriosa.
Anna Maria Ortese, Silenzio a Milano, La Tartaruga,
remainders, pp. 140 € 5,25
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