skip to main |
skip to sidebar
Umorismo svizzero
Una
galleria di figure, di paese per lo più. Un mosaico. Un puzzle: completandolo,
un signor Walser un po’ bislacco un po’ divertito, solitamente nei campi, o in
paese, con qualche gita in città, buonannulla, buontempone, si ricompone. Un
autoritratto per pennellate vaghe. Svagato ecco, apparentemente, gnomico a ogni
passo – un insieme di “pensierini” se ne possono collezionare.
“Camuffate
confessioni”, insinua di queste piccole prose la presentazione, “in una
sequenza di autoritratti”, e così le trova il lettore. I pezzi al centro della
raccolta, “Erich” e “Titus”, lo dicono: “Tutto lo riguardava molto e per
niente. Non essere mai d’accordo con sé stesso era una delle sue peculiarità”,
un tipo singolare, che si vede (vuole) singolare. E: “Del fatto di essermi un
tantino istupidito vado decisamente fiero. Sono orgoglioso e limitato”. O: “Per
chi non abbia la buona volontà di mentire non
c’è più niente da fare. Di rado è decente essere sinceri”.
Prose
umoristiche, sui dolori di Werther, sugli amori di Parsifal, sulla ragazza
fine, a se stessa. Malinconiche, ripetitive. Sull’esempio di Gottfried Keller, molto citatoPopolari anche, völkisch: Preziosa, la giovane bella che
s’intrattiene al caffè con lo sicimmiotto, all’improvviso è “l’ebrea”. Di un
viandante senza posa, più spesso nell’atto del lèche-vitrine, che molto si diverte a guardare, dall’esterno, senza
domandarsi o congetturare. Che
a un certo punto evoca lui stesso l’“Idiota” di Dostoevskij, solo bighellone.
Con un pizzico d’ironia: “Io non sono assolutamente idiota (idiota “in assoluto”,
n.d.r.?), anzi sono sensibile a ogni cosa ragionevole. Non sono all’altezza di
un simile ruolo, solo, talvolta, leggo un po’ troppo”.
Robert
Walser, La rosa, Adelphi, pp. 146 € 13
Nessun commento:
Posta un commento