lunedì 22 marzo 2021

Umorismo svizzero

Una galleria di figure, di paese per lo più. Un mosaico. Un puzzle: completandolo, un signor Walser un po’ bislacco un po’ divertito, solitamente nei campi, o in paese, con qualche gita in città, buonannulla, buontempone, si ricompone. Un autoritratto per pennellate vaghe. Svagato ecco, apparentemente, gnomico a ogni passo – un insieme di “pensierini” se ne possono collezionare.
“Camuffate confessioni”, insinua di queste piccole prose la presentazione, “in una sequenza di autoritratti”, e così le trova il lettore. I pezzi al centro della raccolta, “Erich” e “Titus”, lo dicono: “Tutto lo riguardava molto e per niente. Non essere mai d’accordo con sé stesso era una delle sue peculiarità”, un tipo singolare, che si vede (vuole) singolare. E: “Del fatto di essermi un tantino istupidito vado decisamente fiero. Sono orgoglioso e limitato”. O: “Per chi non abbia la buona volontà di mentire non  c’è più niente da fare. Di rado è decente essere sinceri”.
Prose umoristiche, sui dolori di Werther, sugli amori di Parsifal, sulla ragazza fine, a se stessa. Malinconiche, ripetitive. Sull’esempio di Gottfried Keller, molto citatoPopolari anche, völkisch: Preziosa, la giovane bella che s’intrattiene al caffè con lo sicimmiotto, all’improvviso è “l’ebrea”. Di un viandante senza posa, più spesso nell’atto del lèche-vitrine, che molto si diverte a guardare, dall’esterno, senza domandarsi o congetturare. Che a un certo punto evoca lui stesso l’“Idiota” di Dostoevskij, solo bighellone. Con un pizzico d’ironia: “Io non sono assolutamente idiota (idiota “in assoluto”, n.d.r.?), anzi sono sensibile a ogni cosa ragionevole. Non sono all’altezza di un simile ruolo, solo, talvolta, leggo un po’ troppo”.
Robert Walser, La rosa, Adelphi, pp. 146 € 13

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