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sabato 24 aprile 2021

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (455)

Giuseppe Leuzzi

“Esiste la nostalgia del Sud?”, chiede Valerio Cappelli, romano, a Sergio Rubini, di Grumo Appula, periferia di Bari. “In senso traslato, per la fanciullezza che mi riporta a un’età trascorsa lì”, è la risposta: “Come dice Proust, il passato è fatto di luoghi astratti, ciò che li distingue sono le persone con cui hai condiviso quei luoghi. Quando non esistono più quelle persone, non esistono quei luoghi” – “quelle persone”, cioè i familiari, gli amici d’infanzia.
Veramente Proust dice e pratica  il contrario, ma non ci sono passati che si rifiutano – non si può.
 
Una “Anna I, che pure era stata in India”, la bambinaia di un appunto dei “Ricordi d’infanzia”, là dove descrive il trasloco estivo a Santa Margherita del Belice, dodici ore di viaggio nella polvere e il solleone, Tomasi di Lampedusa trasforma – precisandosi il ricordo? - nella versione definitiva del “Gattopardo” in “mademoiselle Dombreuil, la governante francese, completamente disfatta e che memore degli anni passati in Algeria pr esso la  famiglia del maresciallo Bugeaud andava ripetendo: ‘Mon Dieu, mon Dieu, c’est pire qu’en Afrique”.
 
La cornamusa viene dal Sud, spiega a Rumiz (“La leggenda dei monti naviganti”) “il barbuto vignaiolo Nanni Barbèro da Sarzana”: “La cornamusa viene dal mondo arabo-mediterraneo, e quando arrivò in Spagna prese il nome di gàita. Poi viaggiò ancora. È arrivata in Scozia e Irlanda nel Settecento, dall’Appennino”. Almeno quella.
“Costava poco”, ecco la chiave, “al contrario del violino. Così i nordici l’hanno fatta venire dall’Italia”.
 
Calvino e il Sud
A proposito di Calvino e Vittorini, Elsa de’ Giorgi, che li conosceva bene, e di Calvino fu anche la materna amante, dice alla fine del suo “Ho visto partire il tuo treno”: “Il letterato Vittorini” non “attraeva fino in fondo” Calvino. Più in generale: “Per la verità, se si toglie Verga, al quale peraltro preferiva Svevo, Calvino soffriva qualche conflittualità col sud”.
Perfino col paesaggio: “Fui io a imporgli la contemplazione del paesaggio meridionale. Sosteneva che la bellezza costiera è la prerogativa ligure e della Provenza, prima che del meridione d’Italia”. Preconcetto, per un precedente: “Mi raccontava come la prima volta che aveva visitato il sud era stato colto da  disturbi viscerali imponenti, diagnosticati psicosomatici, tanto aveva sofferto il ribrezzo della gente che viveva in ozio per la strada e all’elemosina”.
L’elemosina al Sud per la verità non usava – eccetto, forse, che a Napoli. Ma questo è plausibile: non molti a sinistra conoscevano la povertà, de visu, per pratica.
Qualcosa però non gli tornava, a Calvino: “Lo intrigava e lo incuriosiva il rapporto dei meridionali con le loro donne del nord: Mimise con Guttuso, e Ginetta che conosceva meglio per frequentare i Vittorini” a Milano. Casi di mésalliance? Interraziali?
 
Il brigante Garibaldi
Il “cippo” di Garibaldi ai piani d’Aspromonte in Calabria, dove fu ferito con due pallottole mentre tentava di prevenire lo scontro armato con le truppe piemontesi, è ora una costruzione in pietra, ferro e cemento, molto chiusa, tipo mausoleo e poco significativa, ma usava essere fino all’inaugrazione del monumento quindici anni fa, un pino enorme, a base biforcuta, con una cavità, una bruciatura, dove i proiettili del generale Cialdini che ferirono l’Eroe dei Due Mondi si sarebbero conficcati. Come di un carbonaio qualsiasi, vittima del fuoco amico-nemico, di una sparatoria fra compari, di un alterco fra ubriachi, di una vendetta. Oppure colpito come un bandito.
Non si è riflettuto a questo, ma fu un’azione anti-brigantaggio. Con i metodi che il generale Cialdini  aveva applicato ai briganti. Era il 29 agosto del 1862. Era cioè nel tempo della prima guerra contro i briganti. Che lo stesso Cialdini, inviato espressamente da Torino, dal re Vittorio Emanuele II, aveva aperto un anno prima. Con metodi così brutali che lo si era dovuto sostituire subito, dopo appena sei settimane, con il generale Lamarmora. nel luglio di un anno  conduceva.
Lo spiegamento di forze contro Garibaldi, comprese le guardie civiche, o Guardia Nazionale, di Pedavoli e Paracorio che consentirono ai “piemontesi” di stanarlo, era quello della lotta ai briganti.
 
Storia facile del ritardo del Sud - 2
Il fossato sarà allargato e approfondito con l’unità, dopo un primo, brevissimo, periodo di espansione. Con la lunga stagnazione avviata dal “corso forzoso” del 1866. Più tasse, fino al “macinato”. Più debito. Meno investimenti pubblici. Appropriazione e svendita, durata fine a fine secolo, dei beni ecclesiastici, “la maggior parte dei quali era situata nel Mezzogiorno”, erano per il Sud il “terzo settore” di oggi, “con la conseguenza che si registrò un maggiore drenaggio di capitali dal Sud”. L’impoverimento fu generale. Ma di più in agricoltura, e quindi al Sud: “Fu l’agricoltura a sostenere la maggiore pressione fiscale”. E poi l’abbandono, l’emigrazione, dalle regioni alpine e appenniniche, e presto, in massa, dal Sud – l’Italia, il debito, il corso forzoso, si sosterranno con le rimesse degli emigranti….  L’emigrazione che sempre priva dele energie migliori.
Cipolla lo dice, e lo certifica. Ma poi ha una resipiscenza: “Gli storici non hanno ancora spiegato, in maniera convincente, la ragione per la quale due aree contigue imboccarono strade tanto diverse”, dopo l’unità. Ripete che il divario era antico. E nota che “al momento dell’unità”, il “dualismo era incontrovertibile”: tutti gli indici, natalità, mortalità, alfabetizzazione, infrastrutture, manifatture, reddito pro capite, “erano favorevoli alle regioni settentrionali”. Ma non vuole dire che il corso forzoso e le politiche doganali del Regno svuotarono il Sud. Finisce di occuparsene, in breve, in tutto un paio di pagine, rilevando con soddisfazione che la Repubblica ha cambiato, un po’, sembra che abbia cambiato, la deriva: “Mentre alla vigilia della prima Guerra Mondiale si poteva valutare il ritardo del Sud in mezzo secolo, oggi il ritardo si è ridotto a circa venti anni”. E conclude rifacendosi ai termini delle analisi del sottosviluppo del Terzo Mondo allora ancora in auge: tra Nord e Sud d’Italia non è un caso di “dualismo”, di sistemi economici diversi e incoerenti, ma di “sviluppo ineguale”, nell’ambito di uno stesso “modello di sviluppo”, da colmare con apposite politiche di indirizzo e aggiustamento
Oggi, nel 1990.  Allora, nel secondo dopoguerra e fino agli anni 1980, probabilmente grazie  all’impulso della Cassa del Mezzogiorno, che si è dismessa con ignominia ma senza colpa, e di cui una storia resta ancora da fare – a trent’anni da quando lo storico ne lamentava la mancanza. Modellata nel 1946 sulla Tennessee Valley Authority del presidente americano F.D. Roosevelt, che tanto aveva contribuito a tirare gli Usa fuori dalla recessione post crac del 1929, con un migliore equilibrio territoriale e sociale. Il fatto è, notava lo storico pavese, che “per la prima volta dall’unificazione, il Mezzogiorno d’Italia uscì dal suo profondo isolamento e sperimentò una crescita del reddito uguale alla media nazionale”. E oggi 2021?
(fine)
 
Sicilia
Volendo fare il Balzac a Palermo, ne “Il mattino di un mezzadro”, uno dei quattro “Racconti”, Tomasi di Lampedusa si arrischia a dire che nel 1901, “in un paese come la Sicilia”, l’economia “era, come nelle città-stato antiche, esclusivamente fondata sull’usura”.
Nelle città-stato no, e neanche in Sicilia probabilmente. L’economia degli aristocratici, forse, dei nullafacenti.
 
Non gli piaceva molto, la Sicilia, al nobiluomo sfaccendato infine autore del “Gattopardo”. Nello stesso racconto, “Il mattino di un mezzadro” (o “I gattini ciechi”), avendo dato a un ragioniere “teneri sentimenti” (è uno di casa, “impiegato nell’amministrazione Salina ai tempi burrascosi del vecchio principe Fabrizio”) specifica: “Varietà umana rarissima in Sicilia”.
 
Nello stesso racconto, ambientato nel 1901, garantisce che “impunito era, allora, motivo di estimazione, l’aureola dei Santi siciliani essendo sanguigna”.  
 
Verga, Pirandello, lo stesso Capuana, Tomasi di Lampedusa, la “robba” fanno oggetto di spregio. Non c’è lavoro onesto, c’è accumulo sordido e avarizia. Tutti aristocratici snob (ma non è una contradictio in terminis?) gli scrittori nell’isola.
 
Ragusa, Modica, Scicli, Santa Croce Camerina, Donnalucata…. Una miniera, aperta da Sironi e Carlo degli Esposti, il regista e il produttore di Montalbano. Una riserva di turismo integralmente inventata e alimentata, senza alcun impegno locale, al regista e al produttored dei “Montalbano”, un lombardo e un emiliano.
 
Catania, a lungo centro industriale e agrumario dell’isola, è ora un deserto. Della farmaceutica e della meccanica non è rimasto nulla. Sopravvive solo StMicroelectronics, joint-venture italofrancese a capitale pubblico. Le arance vengono da Ribera e altri luoghi dell’agrigentino. La geografia economica è mobile, basta poco.
 
L’agrigentino è stato l’ultima grande area d’emigrazione negli anni 1990, con la chiusura delle ultime miniere, quelle di salgemma dopo quelle di zolfo, e l’abbandono dei fosfati. Con l’agrumistica a Ribera, si è inventata e sviluppata l’uva Italia a Castelvetrano. Perfino il deserto di Bronte si è rivitalizzato, attorno ai legnosi pistacchi. E la valle dei Templi ora si riconosce per quello che è, un miracolo di conservazione. Chiudendo la favola di Agrigento, dove nessuno andava, dagli anni 1950 prototipo senza più dell’abusivismo edilizio.
 
Quanto del boom dell’agrigentino e del ragusano è basato sull’effetto Montalbano, un effetto di autostima? Il ragusano, un deserto polveroso, ha tradotto l’insolazione in motore di sviluppo. Con poca acqua si fanno due e tre raccolti l’anno, di primizie e produzioni tardive. La calcinata Siracusa ancora negli anni 1990 è probabilmente il caso più riuscito in Italia di turismo culturale. Senza i danni del turismo di massa, ma sostenuto, tutto l’anno.
 
Un sicilianismo diffuso, messo in circolo dalla lirica siciliani degli esordi, con presa ampia, è “disio”. Si potrebbe identificarvi l’isola, desiderante, quindi inappagabile.
 
“Non solo sono artisti come gli antichi greci, ma anche ospitali come i Saraceni e fastosi come i Normanni” – Alexandre Dumas dei siciliani.
 
Catania, nota Carlo Levi a passeggio per la via Etnea, ama le “tipizzazioni”, che dice “una delle tendenze dell’ellenistico spirito catanese”: “C’è, pare, chi passa il suo tempo a creare nella realtà dei tipi, influenzando e foggiando, secondo un suo piano, qualche sua vittima, per il solo piacere di poterla descrivere”.
 
Bronte è in Esiodo, “Teogonia”, un  ciclope, che con i fratelli Sterope e Arge fabbricò la folgore di Giove. Figli, allo stesso modo dei Titani, di Urano e Gea, del cielo e della terra.

leuzzi@antiit.eu

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