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A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (455)
Giuseppe Leuzzi
“Esiste
la nostalgia del Sud?”, chiede Valerio Cappelli, romano, a
Sergio Rubini, di Grumo Appula, periferia di Bari. “In senso traslato, per la
fanciullezza che mi riporta a un’età trascorsa lì”, è la risposta: “Come dice
Proust, il passato è fatto di luoghi astratti, ciò che li distingue sono le
persone con cui hai condiviso quei luoghi. Quando non esistono più quelle
persone, non esistono quei luoghi” – “quelle persone”, cioè i familiari, gli
amici d’infanzia.
Veramente
Proust dice e pratica il contrario, ma non
ci sono passati che si rifiutano – non si può.
Una “Anna I, che pure era stata in India”, la bambinaia di un appunto dei “Ricordi
d’infanzia”, là dove descrive il trasloco estivo a Santa Margherita del Belice,
dodici ore di viaggio nella polvere e il solleone, Tomasi di Lampedusa trasforma
– precisandosi il ricordo? - nella versione definitiva del “Gattopardo” in “mademoiselle
Dombreuil, la governante francese, completamente disfatta e che memore degli
anni passati in Algeria pr esso la famiglia
del maresciallo Bugeaud andava ripetendo: ‘Mon
Dieu, mon Dieu, c’est pire qu’en Afrique”.
La
cornamusa viene dal Sud, spiega a Rumiz (“La leggenda dei monti naviganti”) “il
barbuto vignaiolo Nanni Barbèro da Sarzana”: “La cornamusa viene dal mondo
arabo-mediterraneo, e quando arrivò in Spagna prese il nome di gàita. Poi viaggiò ancora. È arrivata in
Scozia e Irlanda nel Settecento, dall’Appennino”. Almeno quella.
“Costava
poco”, ecco la chiave, “al contrario del violino. Così i nordici l’hanno fatta
venire dall’Italia”.
Calvino e il Sud
A
proposito di Calvino e Vittorini, Elsa de’ Giorgi, che li conosceva bene, e di
Calvino fu anche la materna amante, dice alla fine del suo “Ho visto partire il
tuo treno”: “Il letterato Vittorini” non “attraeva fino in fondo” Calvino. Più
in generale: “Per la verità, se si toglie Verga, al quale peraltro preferiva
Svevo, Calvino soffriva qualche conflittualità col sud”.
Perfino
col paesaggio: “Fui io a imporgli la contemplazione del paesaggio meridionale.
Sosteneva che la bellezza costiera è la prerogativa ligure e della Provenza,
prima che del meridione d’Italia”. Preconcetto, per un precedente: “Mi
raccontava come la prima volta che aveva visitato il sud era stato colto
da disturbi viscerali imponenti,
diagnosticati psicosomatici, tanto aveva sofferto il ribrezzo della gente che
viveva in ozio per la strada e all’elemosina”.
L’elemosina
al Sud per la verità non usava – eccetto, forse, che a Napoli. Ma questo è
plausibile: non molti a sinistra conoscevano la povertà, de visu, per pratica.
Qualcosa
però non gli tornava, a Calvino: “Lo intrigava e lo incuriosiva il rapporto dei
meridionali con le loro donne del nord: Mimise con Guttuso, e Ginetta che
conosceva meglio per frequentare i Vittorini” a Milano. Casi di mésalliance? Interraziali?
Il
brigante Garibaldi
Il “cippo” di Garibaldi ai piani
d’Aspromonte in Calabria, dove fu ferito con due pallottole mentre tentava di
prevenire lo scontro armato con le truppe piemontesi, è ora una costruzione in
pietra, ferro e cemento, molto chiusa, tipo mausoleo e poco significativa, ma
usava essere fino all’inaugrazione del monumento quindici anni fa, un pino
enorme, a base biforcuta, con una cavità, una bruciatura, dove i proiettili del
generale Cialdini che ferirono l’Eroe dei Due Mondi si sarebbero conficcati.
Come di un carbonaio qualsiasi, vittima del fuoco amico-nemico, di una
sparatoria fra compari, di un alterco fra ubriachi, di una vendetta. Oppure
colpito come un bandito.
Non si è riflettuto a questo, ma fu un’azione
anti-brigantaggio. Con i metodi che il generale Cialdini aveva applicato ai briganti. Era il 29 agosto
del 1862. Era cioè nel tempo della prima guerra contro i briganti. Che lo stesso
Cialdini, inviato espressamente da Torino, dal re Vittorio Emanuele II, aveva
aperto un anno prima. Con metodi così brutali che lo si era dovuto sostituire
subito, dopo appena sei settimane, con il generale Lamarmora. nel luglio di un
anno conduceva.
Lo spiegamento di forze contro
Garibaldi, comprese le guardie civiche, o Guardia Nazionale, di Pedavoli e Paracorio
che consentirono ai “piemontesi” di stanarlo, era quello della lotta ai briganti.
Storia facile del ritardo del Sud - 2
Il
fossato sarà allargato e approfondito con l’unità, dopo un primo, brevissimo,
periodo di espansione. Con la lunga stagnazione avviata dal “corso forzoso” del
1866. Più tasse, fino al “macinato”. Più debito. Meno investimenti pubblici. Appropriazione
e svendita, durata fine a fine secolo, dei beni ecclesiastici, “la maggior parte
dei quali era situata nel Mezzogiorno”, erano per il Sud il “terzo settore” di
oggi, “con la conseguenza che si registrò un maggiore drenaggio di capitali dal
Sud”. L’impoverimento fu generale. Ma di più in agricoltura, e quindi al Sud:
“Fu l’agricoltura a sostenere la maggiore pressione fiscale”. E poi l’abbandono,
l’emigrazione, dalle regioni alpine e appenniniche, e presto, in massa, dal Sud
– l’Italia, il debito, il corso forzoso, si sosterranno con le rimesse degli
emigranti…. L’emigrazione che sempre
priva dele energie migliori.
Cipolla
lo dice, e lo certifica. Ma poi ha una resipiscenza: “Gli storici non hanno ancora
spiegato, in maniera convincente, la ragione per la quale due aree contigue
imboccarono strade tanto diverse”, dopo l’unità. Ripete che il divario era
antico. E nota che “al momento dell’unità”, il “dualismo era incontrovertibile”:
tutti gli indici, natalità, mortalità, alfabetizzazione, infrastrutture,
manifatture, reddito pro capite, “erano favorevoli alle regioni settentrionali”.
Ma non vuole dire che il corso forzoso e le politiche doganali del Regno
svuotarono il Sud. Finisce di occuparsene, in breve, in tutto un paio di pagine,
rilevando con soddisfazione che la Repubblica ha cambiato, un po’, sembra che
abbia cambiato, la deriva: “Mentre alla vigilia della prima Guerra Mondiale si
poteva valutare il ritardo del Sud in mezzo secolo, oggi il ritardo si è
ridotto a circa venti anni”. E conclude rifacendosi ai termini delle analisi del
sottosviluppo del Terzo Mondo allora ancora in auge: tra Nord e Sud d’Italia
non è un caso di “dualismo”, di sistemi economici diversi e incoerenti, ma di
“sviluppo ineguale”, nell’ambito di uno stesso “modello di sviluppo”, da colmare
con apposite politiche di indirizzo e aggiustamento
Oggi,
nel 1990. Allora, nel secondo dopoguerra
e fino agli anni 1980, probabilmente grazie all’impulso della Cassa del Mezzogiorno, che
si è dismessa con ignominia ma senza colpa, e di cui una storia resta ancora da
fare – a trent’anni da quando lo storico ne lamentava la mancanza. Modellata
nel 1946 sulla Tennessee Valley Authority del presidente americano F.D. Roosevelt,
che tanto aveva contribuito a tirare gli Usa fuori dalla recessione post crac
del 1929, con un migliore equilibrio territoriale e sociale. Il fatto è, notava
lo storico pavese, che “per la prima volta dall’unificazione, il Mezzogiorno
d’Italia uscì dal suo profondo isolamento e sperimentò una crescita del reddito
uguale alla media nazionale”. E oggi 2021?
(fine)
Sicilia
Volendo
fare il Balzac a Palermo, ne “Il mattino di un mezzadro”, uno dei quattro
“Racconti”, Tomasi di Lampedusa si arrischia a dire che nel 1901, “in un paese
come la Sicilia”, l’economia “era, come nelle città-stato antiche,
esclusivamente fondata sull’usura”.
Nelle
città-stato no, e neanche in Sicilia probabilmente. L’economia degli
aristocratici, forse, dei nullafacenti.
Non
gli piaceva molto, la Sicilia, al nobiluomo sfaccendato infine autore del
“Gattopardo”. Nello stesso racconto, “Il mattino di un mezzadro” (o “I gattini
ciechi”), avendo dato a un ragioniere “teneri sentimenti” (è uno di casa,
“impiegato nell’amministrazione Salina ai tempi burrascosi del vecchio principe
Fabrizio”) specifica: “Varietà umana rarissima in Sicilia”.
Nello
stesso racconto, ambientato nel 1901, garantisce che “impunito era, allora,
motivo di estimazione, l’aureola dei Santi siciliani essendo sanguigna”.
Verga,
Pirandello, lo stesso Capuana, Tomasi di Lampedusa, la “robba” fanno oggetto di
spregio. Non c’è lavoro onesto, c’è accumulo sordido e avarizia. Tutti aristocratici
snob (ma non è una contradictio in terminis?)
gli scrittori nell’isola.
Ragusa,
Modica, Scicli, Santa Croce Camerina, Donnalucata…. Una miniera, aperta da
Sironi e Carlo degli Esposti, il regista e il produttore di Montalbano. Una
riserva di turismo integralmente inventata e alimentata, senza alcun impegno
locale, al regista e al produttored dei “Montalbano”, un lombardo e un
emiliano.
Catania,
a lungo centro industriale e agrumario dell’isola, è ora un deserto. Della farmaceutica
e della meccanica non è rimasto nulla. Sopravvive solo StMicroelectronics,
joint-venture italofrancese a capitale pubblico. Le arance vengono da Ribera e
altri luoghi dell’agrigentino. La geografia economica è mobile, basta poco.
L’agrigentino
è stato l’ultima grande area d’emigrazione negli anni 1990, con la chiusura delle
ultime miniere, quelle di salgemma dopo quelle di zolfo, e l’abbandono dei
fosfati. Con l’agrumistica a Ribera, si è inventata e sviluppata l’uva Italia a
Castelvetrano. Perfino il deserto di Bronte si è rivitalizzato, attorno ai
legnosi pistacchi. E la valle dei Templi ora si riconosce per quello che è, un
miracolo di conservazione. Chiudendo la favola di Agrigento, dove nessuno andava,
dagli anni 1950 prototipo senza più dell’abusivismo edilizio.
Quanto
del boom dell’agrigentino e del
ragusano è basato sull’effetto Montalbano, un effetto di autostima? Il
ragusano, un deserto polveroso, ha tradotto l’insolazione in motore di sviluppo.
Con poca acqua si fanno due e tre raccolti l’anno, di primizie e produzioni tardive.
La calcinata Siracusa ancora negli anni 1990 è probabilmente il caso più
riuscito in Italia di turismo culturale. Senza i danni del turismo di massa, ma
sostenuto, tutto l’anno.
Un
sicilianismo diffuso, messo in circolo dalla lirica siciliani degli esordi, con
presa ampia, è “disio”. Si potrebbe identificarvi l’isola, desiderante, quindi inappagabile.
“Non
solo sono artisti come gli antichi greci, ma anche ospitali come i Saraceni e
fastosi come i Normanni” – Alexandre Dumas dei siciliani.
Catania,
nota Carlo Levi a passeggio per la via Etnea, ama le “tipizzazioni”, che dice
“una delle tendenze dell’ellenistico spirito catanese”: “C’è, pare, chi passa
il suo tempo a creare nella realtà dei tipi, influenzando e foggiando, secondo
un suo piano, qualche sua vittima, per il solo piacere di poterla descrivere”.
Bronte
è in Esiodo, “Teogonia”, un ciclope, che
con i fratelli Sterope e Arge fabbricò la folgore di Giove. Figli, allo stesso
modo dei Titani, di Urano e Gea, del cielo e della terra.
leuzzi@antiit.eu
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