Come collassa l'Italia
Nel primo anno della pandemia l’Europa ha
visto il monte salari ridursi dell’1,9 per cento. Malgrado il peso negativo
dell’Italia, dove invece la riduzione è stata del 7,47 per cento. Sette punti e
mezzo, una valanga. Pari in valore a 39 miliardi di euro. A una decurtazione
del reddito distribuito che, nella forma del salario, è pari pari una decurtazione del consumo.
Il monte salari italiano è passato da 526
miliardi nel 2019 a 486 nel 2020. Muoiono così le economie. Quella italiana con
ogni evidenza.
I raffronti con i singoli paesi europei sono
già dimostrativi. In Germania la flessione è stata di meno dell’1 per cento, di appena 13 miliardi su oltre 1.500
miliardi di monte salari. In Francia del 3,4 per cento, ma poco in cifra
tonda, essendosi il monte salari ridotto da 930 a 898 miliardi. In Italia invece
la riduzione è stata talmente forte da riportare i salari al di sotto del
livello del 2016 (491 miliardi).
È l’ultimo passo di una riduzione dei redditi
da lavoro ormai trentennale in Italia – un sistema produttivo che collassa,
come una (piccola) stella, un “buco nero”. Outsourcing
o lavoro esterno (partite Iva, contratti a termine, appalti, subappalti) e
delocalizzazione dequalificano, rispettivamente, e rimpiccioliscono l’Italia: la
indeboliscono, sono un moltiplicatore di debolezza. Arricchiscono nel breve
periodo qualcuno, di più fra i ceti improduttivi (intermediari di varia
risma), che poi mette il fieno in cascina a Montecarlo o alle Bahamas, ma senza futuro, per l’ambiente
che lo circonda, e anche per quello a lui più vicino: l’economia è un gioco di
squadra.
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