Ecobusiness
Il World
Resources Institute dà l’Italia a secco di acqua nel 2040.
È un dato italiano. Fermo, non una proiezione.
E noto da tempo. Per un eccesso di consumi. E per le troppe perdite negli
acquedotti – poco meno del 50 per cento dell’acqua recuperata alle sorgenti e
negli invasi si disperde negli acquedotti. Si direbbe una situazione criminale,
prima che suicida. Ma, rilevata già nei primi anni 1990, quando si cominciò a
parlare dell’acqua come un business, niente
è stato fatto per rimediare, né è in programma, nemmeno in agenda di
discussione.
Non si investe negli acquedotti. Tanto meno
dacché l’acqua è tornata bene pubblico inalienabile.
“I ladri d’acqua assetano l’Europa” è il tema
del supplemento “Green & Blue” di ”la Repubblica”. Non sono banditi, sono le dighe.
Che “rubano” l’acqua, e uccidono la biodiversità: “In Europa una barriera
formata da un milione di dighe ha causato la perdita dell’80 per cento della
biodiversità”. Non è vero, cioè è detto male: uccidono la biodiversità le tante
dighe in aree protette, in essere o progettate. Ma l’energia rinnovabile di
fonte idrica (dighe) è la fonte maggiore tra le energie rinnovabili: dei 129
terawattora di energia elettrica prodotta nel 2019 in Italia da fonti rinnovabili, il 40
per cento è idroelettrico, di gran lunga più di eolico, fotovoltaico, biomasse,
geotermia.
L’ecologia è un serpente che si morde la coda?
Quella industriale sì – l’ecologia è oggi, pur con Greta e ogni integralismo, un
settore industriale, il più ricco di soldi (pubblici, gratuiti).
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