giovedì 22 aprile 2021

Il dark web in chiaro, degli adulti

Un film violento. Dispetti, crudeltà, perfino morti, sono la vita normale di piccole famiglie in piccole villette residenziali, di piccola periferia, a Roma. Non c’è cattiveria che i padri si neghino sotto l’apparente normalità, pranzi insieme, nuotate, gite, pagelle scolastiche.  Compresi i professori che a Scienze insegnano come si fa una bomba, e l’uso del pesticida killer. Sullo sfondo dell’infanzia innocente, studiosa, pacata, obbediente.
Il sacrificio, anche, degli innocenti. Il racconto s’intende ricalcare un diario, probabilmente fanciullesco, scritto con inchiostro verde, quindi di una ragazza. I ragazzi sono interlocutori, spettatori e vittime di un mondo senza dialogo, incomprensibile nella sua violenza.
Un mondo senza orizzonte. Vivendo a Roma, si può pensarlo un racconto delle nuove periferie, quelle della sindacatura Raggi, assertive-istruttive. Ma non c’è morale, non sociologica – non è nemmeno una critica della famiglie, né del consumismo. È una condizione umana subumana.
Una critica radicale. Accentuata da un romanesco inafferrabile ai più, talvolta solo accennato, per troncamenti, e nemmeno, per mimica. O disteso, ma allora per dire scemenze. Dialoghi di suoni senza senso, se non di ira e invidia. Si capisce che abbia sorpreso i giurati del festival di Berlino e abbia mietuto Nastri d’argento, Globi d’oro, Ciak d’oro.
La canzone che chiude il film ne ha segnato la traccia. S’intitola “Passacaglia della vita” e wikipedia spiega che è di Stefano Landi, scuola romana del primo barocco, fine Cinquecento-primo Seicento. Cantata da una voce infantile, che è invece il contro-tenore Benoît Dumon, ripete in piano: “Bisogna morire, bisogna mrire”.
Una produzione coraggiosa di Agostino Saccà. Un film molto colto, e molto cattivo. Il dark web tirato in chiaro, degli adulti.
Damiano e Fabio D’Innocenzo, Favolacce, Sky Uno

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