Il dark web in chiaro, degli adulti
Un film violento. Dispetti, crudeltà,
perfino morti, sono la vita normale di piccole famiglie in piccole villette
residenziali, di piccola periferia, a Roma. Non c’è cattiveria che i padri si
neghino sotto l’apparente normalità, pranzi insieme, nuotate, gite, pagelle
scolastiche. Compresi i professori che a
Scienze insegnano come si fa una bomba, e l’uso del pesticida killer. Sullo
sfondo dell’infanzia innocente, studiosa, pacata, obbediente.
Il sacrificio, anche, degli
innocenti. Il racconto s’intende ricalcare un diario, probabilmente
fanciullesco, scritto con inchiostro verde, quindi di una ragazza. I ragazzi
sono interlocutori, spettatori e vittime di un mondo senza dialogo,
incomprensibile nella sua violenza.
Un mondo senza orizzonte. Vivendo
a Roma, si può pensarlo un racconto delle nuove periferie, quelle della
sindacatura Raggi, assertive-istruttive. Ma non c’è morale, non sociologica –
non è nemmeno una critica della famiglie, né del consumismo. È una condizione
umana subumana.
Una critica radicale. Accentuata
da un romanesco inafferrabile ai più, talvolta solo accennato, per troncamenti,
e nemmeno, per mimica. O disteso, ma allora per dire scemenze. Dialoghi di suoni
senza senso, se non di ira e invidia. Si capisce che abbia sorpreso i giurati
del festival di Berlino e abbia mietuto Nastri d’argento, Globi d’oro, Ciak d’oro.
La canzone che chiude il film ne
ha segnato la traccia. S’intitola “Passacaglia della vita” e wikipedia spiega
che è di Stefano Landi, scuola romana del primo barocco, fine Cinquecento-primo
Seicento. Cantata da una voce infantile, che è invece il contro-tenore Benoît Dumon,
ripete in piano: “Bisogna morire, bisogna mrire”.
Una produzione coraggiosa di
Agostino Saccà. Un film molto colto, e molto cattivo. Il dark web tirato in chiaro, degli adulti.
Damiano e Fabio D’Innocenzo, Favolacce, Sky Uno
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