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Il Gattopardo sono io
La riedizione dei “Racconti”
dell’autore (postumo) del “Gattopardo” si fece a suo tempo, cinque anni fa,
perché si poteva disporre nell’integralità dei “Ricordi d’infanzia”, la parte più
estesa della raccolta – collaziona anche i tre racconti della prima edizione:
“Lighea”, “La gioia e la legge” e “I gattini ciechi”, l’ultimo scritto
dell’autore del “Gattopardo”, marzo-aprile 1957. La vedova era intervenuta
pesantemente nella prima pubblicazione, 1961, dice Gioacchino Lanza Tomasi, che
ha voluto la riedizione e l’ha curata con la moglie Nicoletta Polo, sui
“Ricordi” – aveva anche cambiato il titolo dei “Gattini ciechi” in “Il mattino
di un mezzadro”: questa riedizione è più lunga di un buon quarto. E in effetti
un altro Tomasi di Lampedusa emerge, ma non più allettante.
Tomasi, dice il figlio adottivo
ed erede Gioacchino, è un autore in
progress, a mano a mano che se ne decifrano le carte, “la sterminata mole di
libri e carte sparsi nel palazzo di via Butera”. Decise di “scriversi” dopo la rilettura di
“Henry Brulard”, i “Ricordi di egotismo” di Stendhal. Ma questi “Ricordi”,
tanto dettagliati quanto acritici, ne fanno un non affascinante passatista,
prigioniero di un’infanzia perduta per inettitudine di generazioni, compresa la
paterna e la sua. “I genitori dello scrittore vissero soprattutto sulla dote di
Beatrice”, annota di passata Gioacchino, della madre dello scrittore - e non
seppero gestirla, disperdendola in liti giudiziarie e in rendite pubbliche
rimborsate alla fine della guerra in lire svalutate.
L’apertura è promettente. Tomasi
ha perduto la casa della vita e dei sogni nei bombardamenti del 1943, e ora non
ne ha più una: “Tutte le altre case (poche del resto, a parte gli alberghi)
sono state dei tetti che hanno servito a ripararmi dalla pioggia e dal sole, ma
non delle CASE nel senso arcaico e venerabile della parola. Ed in specie quella che ho adesso, che non mi piace affatto, che ho
comperato per far piacere a a mia Moglie e che sono stato lieto di intestare a
lei, perché veramente essa non è la mia casa”.
Molto diretto. Ma i ricordi sono
poi degli ultimi fuochi del feudo, che la borghesia smantellava assecondandone
i complessi di superiorità: servitù, banchetti, e debiti. Della Madre e del
Padre maiuscoli, tanto quanto inetti. Arrivando a Santa Margherita del Belice,
al palazzo con trecento camere, il paradiso della Mamma e quindi della sua
propria infanzia, Giuseppe nota “lo smisurato paesaggio della Sicilia del
feudo, deserto”, ma nulla più, è solo una notazione geografica. Si leggono
questi ricordi, così autogratificanti, perfino esaltati, come lacerti di un
tempo e una storia non gloriosi. Di un’incapacità, non di un destino avverso.
Perfino ottusa.
L’interesse si sposta, volendosi
applicare, anche solo per snobismo, all’apparato di note: Gioacchino Lanza
Tomasi delucida ogni riferimento, un lavoro erculeo. E correda i ricordi di una
genealogia Corbera Filangeri del Misilindino-Filangeri di Cutò Mastrogiovanni
Tasca di Almerita. Si può imparare, avendo pazienza, che Giuseppe Tomasi di
Lampedusa era pronipote di un Alessandro Filangieri che aveva due famiglie, una
adulterina con la soprano Teresa Merli Clerici – la nonna dello scrittore era
la figlia legittima. Che i Filangieri sono i figli di Angerio, cavaliere
normanno al seguito di Roberto il Guiscardo. Che Tomasi di Lampedusa in realtà
si chiama Tomasi e Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò – in seconda battuta
11° principe di Lampedusa, 12° duca di Palma, barone di Montechiaro, barone
della Torretta, grande di Spagna di I classe.
A Alessandra Wolff Stomersee
Balbi, la moglie dello scrittore, che pure aveva qualche titolo, Gioacchino non
ne dà nessuno, una commoner.
A un certo punto ricorre il
principe Francesco Ruffo di Motta Bagnara, nonno della nonna paterna di
Gioacchino Lanza Tomasi, Luisa Sarah (poi sposa di un Lanza), che ha sposato
una Filangeri. Quindi Gioacchino Lanza Tomasi in qualche modo era già del
casato Tomasi di Lampedusa.
Il racconto “I gattini ciechi” si
segnala perché la borghesia è sempre quella, in Sicilia, della “robba”, vista
da destra e vista da sinistra, da Verga e Pirandello come da Tomasi di
Lampedusa. Da questi con una speciale ottica, ancora settecentesca. Che le note
caratteriali e gli interessi letterali che GLT segnala confermano: il “Gattopardo”
è ancorato al mondo prima della Rivoluzione. Al Goethe della ballata “Il re di
Thule” mentre prepara il “Viaggio in Italia”, e al Mozart giovane, che si
prepara, in Italia, al “Flauto magico”- “Come diceva Giuseppe: erano i tempi
più alti della civiltà umana”. Con un soprassalto, dopo, per D’Annunzio: una passione, attesta GLT – che
risate invece di Carducci.
Racconti a parte – e interesse
precipuo dell’edizione – sono in effetti le note e le introduzioni di GLT, sui
tempi, i luoghi, l’evoluzione delle scritture, sulle loro vicende editoriali.
L’introduzione a “Lighea”, qui intitolato “La sirena”, dà conto dell’estremo
interesse dei Tomasi di Lampedusa per la scomparsa di Majorana, il fisico, che
quindi il principe aveva semplicemente adattato al suo personaggio, ellenista
principe e senatore, sdegnoso, La Ciura.
GLT testimonia anche l’avidità
dei Savoia come percepita da Tomasi di Lampedusa. E quindi dell’unità come
processo abusivo. Tomasi è con i suoi una sorta di nobiltà nera, che di tutti i
misfatti fa capaci i Savoia: nella fattispecie che Umberto I concepisce lo stato
come “patrimoniale”, con “affidamenti” (tangenti) su ogni appalto pubblico. C’è
anche “l’arroganza del Parlamento dei generali piemontesi”. In un caso, amava
raccontare, di un personaggio minore della dinastia, su cui il Parlamento dei
“generali piemontesi” era chiamato a indagare in segreto, in commissione, si
arrivò a due possibili motivi di incolpazione: o l’interesse o l’omosessualità.
L’aneddoto (wicked joke), termina col
presidente della commissione, “un generale piemontese per l’appunto” che
conclude: “Noi siamo per il culo”. È lo spirito oggi al Sud degli ex fascisti
neo leghisti.
Un’ottima edizione, che fa venire
voglia di altro (naturalmente buttata via dall’editore, che in quarta richiama cone
un invito quella che nel testo è una deprecazione – “Il riccio deve sapere
anche di limone, lo zucchero anhe di cioccolata, l’amore anche di paradiso”, per
dire che no, non va bene: “Voialtri, sempre con i vostri sapori accoppiati!”
Tomasi di Lampedusa, I racconti, Feltrinelli, pp. 197 € 9
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