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Innamorati
S’incontrano ad aprile, si lasciano a ottobre. Il freddo lei preferisce
viverlo a casa sua. Viene dal Nord, un paese che nessuno le ha mai chiesto e
lei non ha detto. Può anche darsi che non si scrivano, e in che lingua poi,
ammesso che lui sappia scrivere? Né che comunichino nell’assenza, per quanto
ora usi il telefono. Ma si ritrovano come se si fossero appena lasciati. Lui
ripassa la calce, sostituisce i legni marciti, fissa i chiodi, la porta tiene
aperta e la finestra per purgare l’aria. Di una casa che non è una casa, ma una
grotta che ha recintato, da tempo immemorabile, vivendo sulla spiaggia, e ora è
suo domicilio. Lei arriva, se non il primo sabato di aprile il secondo, e
riprendono quella loro vita in comune che però è anche in parallelo, mostrandosi
insieme a una certa ora la sera, un tempo da Black ora nel loro locale, o a
tutte le cerimonie, sacre e profane, e talvolta sulla spiaggia, d’estate, la
mattina presto. Lei non disdegna un colpo, pare, con chiunque le va, anche
senza aver bevuto. Ma, se è vero, la storia finisce con l’atto: lei ama lui,
che i compagni d’infanzia ricordano avventuroso e solitario, senza ragazze, e
sospettano impotente, e lui ama lei. Si amano con tenerezza sdolcinata per il
luogo, che è al fondo ancora villico, riservato.
Lei arriva con i pennelli e i colori, e coscienziosa dipinge, su ogni
materiale, anche tavole appena piallate, cartoni, carta, stoffe, a olio, a
tempera, a penna, ad acquerello, limoni, viti, la cuccarda di palazzo Murat,
finestre senza imposte o con la grata bombata, con o senza vite americana, verde
o rossa, saggi di calore nella luce. È il suo secondo mestiere, poiché per sei
mesi è medico al suo paese in ospedale, che esercita senza presunzione,
volentieri cedendo per qualsiasi prezzo i suoi lavori, e quelli non venduti
imballa con cura e si porta dietro alla partenza. Con gli anni gli ha insegnato
a far fruttare i suoi piatti, dapprima su pochi tavoli all’uscio, ora in un capannone
adiacente alla casa-grotta. È l’unica abilità di lui, definendosi egli
pescatore per tradizione familiare, ma di suo incapace di ogni attività, senza
barca, senza soci, di nessuna famiglia, che in un paese è quasi impossibile,
senza amici e senza nemici. Di più ha dovuto lei faticare per vincerne la
rustichezza, che allontanava i clienti. Malgrado la lingua, la professione e le
diverse abitudini, lei ama conversare, guardando gli interlocutori con occhi
allegri. Nicola ha infine imparato a servire, tenendo un aiuto in cucina, ha la
pelle del viso distesa attorno agli occhi e alle narici, e anche lui guarda in
viso le persone quando gli parlano. Gli occhi di Agnes sono oro con riflessi
bruni, sotto la capigliatura biondo paglia, quelli di lui di un azzurro
cristallino.
Per qualche tempo ha portato i figli, in vacanza dalla scuola. Stava
allora in albergo, e con loro faceva la ruota la mattina in spiaggia. La bambina
imparava competitiva, il bambino obbediva senza entusiasmo, insieme riempivano
la spiaggia, a quell’ora ancora vuota, e più per lo sfavillio dello sguardo
sereno e l’agilità che per l’estensione dei corpi. Agh-nes è nella memoria
collettiva questa immagine naturale della bellezza, che la ruota amplia, la bionda
criniera slanciandosi al di là delle lunghe gambe e le braccia, e il comune
rapporto di amore familiare quietamente ingigantisce. Sono Agh-nes e Nicola,
loro e non altri, che il paese e anche i forestieri identificano, seppure non
ne hanno ancora tracciato con precisione la storia. Certi che il desiderio,
quello quotidiano, quasi istintuale, pianticella diffusa, e il rispetto ne
fanno una. C’è riconoscenza, più che invidia, per il loro ruolo modesto e
testato, una promessa di felicità ordinaria proprio nell’amore, che nella
storia del mondo è motivo principale di sofferenza.
Si fanno racconti di vicende ordinarie.
Gli amori modesti non sono infelici.
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