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martedì 27 aprile 2021

Letture - 456

letterautore

Asino – Tomasi di Lampedusa lo vuole femmina in siciliano (“Ricordi d’infanzia”): “Attorno caracollavano gli asini (anzi «i scecche» perché in siciliano l’asino è quasi sempre femminile, come le navi in inglese)”.
 
Braciere
– I cugini Piccolo di Tomasi di Lampedusa a Capo d’Orlando non avevano il riscaldamento né il camino, d’inverno si scaldavano al braciere – “Quando conobbi i Piccolo (1953), la loro villa non aveva il riscaldamento centrale e nel salone veniva portata la braciera”, ricorda Gioacchino Lanza Tomasi in nota ai “Racconti” di Tomasi di Lampedusa.
Nella stessa nota GLT spiega il braciere, “braciera” in siciliano, un artefatto indispensabile in tutte le famiglie che non disponevano di una caminetto, in tutto il Sud fino a tutti gli anni 1950, e anche 1960, che è utile ricordare a futura memoria: “Gran parte delle case antiche nella mia giovinezza (GLT è del 1934, n.d.r.) erano ancora riscaldate con la «braciera», consistente in una sorta di grande teglia bassa in lamiera di ferro del diametro di 40-50 centimetri. Questo recipiente aveva bordi larghi che poggiavano su un tripode di misura adeguata in ottone, con piedi a zampa leonina”. GLT lo ricorda anche coperto da una “campana in ottone traforato”, per mantenere e diffondere il calore, che però per lo più era sostituita da una gabbia in ferro ottone, di spazi quadrati o rettangolari molto larghi, per evitare cadute incidentali, specie dei bambini, sulla brace. “La teglia veniva riempita con brace di carbone di legna”, continua GLT: “In inverno la famiglia si disponeva attorno alla braciera: si posavano i tacchi su uno spesso fascione a cerchio in legno di castagno e si appoggiavano le suole sulla campana”. Con l’avvertimento: “Le esalazioni di ossido di carbonio dalla braciera erano evidentemente tossiche, e si doveva stare attenti all’aerazione”.
Ma nessuna abitazione aveva – ha - le imposte a tenuta stagna, gli spifferi possono anche essere notevoli. Si appoggiavano i piedi senza scarpe, in realtà – da cui il rischio di geloni, che colpivano i talloni, per i passaggi repentini dal caldo al freddo (malanno soprattutto dei bambini, scomparso con la scomparsa dei bracieri).
Più spesso il braciere delle case di abitazione aveva il bordo largo in ottone, sbalzato, con maniglie anch’esse in ottone che consentivano di maneggiarlo. Era uno dei manufatti più ricorrenti degli zingari “calderai – allora i rom, quasi stabilizzati in tutto il Sud, avevano mestieri e funzioni: artigiani del ferro e dei metalli (del fuoco), cavallari (fiere di cavalli, muli, asini), mediatori. Il braciere si ad agiava su una base ottagonale o circolare di legno di castagno (il “fascione a cerchio in legno” di GLT), una sorta di pedana larga giro giro, in modo da accogliere la famiglia, di consentire a più persone di poggiare i piedi sul brodo rialzato, e\o tendere le mani al calore della brace.
 
Camurria
– È gonorrea – Gioacchino Lanza Tomasi, nota 89 ai “Racconti” di Tomasi di Lampedusa: “Adoperato per indicare una seccatura cronica”, la parola sta per “malattia venerea (scolo, gonorrea) nel dialetto siciliano”.
 
Doc
– È spesso insincera, o di fantasia. Non solo per i vini. Zuppa inglese, insalata russa sono i più comuni, che non hanno di che spartire con l’Inghiltera e con la Russia. Pochade, parola francese comune  in italiano per dire una commedia leggera, di avventure grasse, non è in uso in Francia, lo stesso “articolo” viene chiamato vaudeville – nel vocabolario francese pochade è “schizzo a colori  dipinto con pochi colpi di pennello”. “All’inglese”, o “all’olandese”, per comportamenti scorretti, sono comuni rispettivamente in olandese (e nelle lingue continentali: italiano, francese, tedesco), e in inglese.
 
Gattopardo
– Un “libello storico” arriva a definirlo Gioacchino Lanza Tomasi, nel suo continuo peregrinare attorno al padre adottivo e al suo vero “figlio”. Forse in un momento di malumore. Però.
 
È il romanzo della delusione. Anche di chi patriota non poteva essere al momento dell’unità - ma probabilmente non lo sarebbe stato, anche a distanza da Teano. Dell’unità che è stata, dice incauto a un certo punto il sabaudo Chevalley di Monterzuolo, “la felice annessione”.
 
Manomorta
– La “facile” costituzione della borghesia italiana dopo l’unità, a danno del patrimonio ecclesiastico comodamente nazionalizzato a favore dei “nuovi ricchi”, è spiegata da Tomasi di Lampedusa, seppure con occhio reazionario, nel racconto “I gattini ciechi”. Il cannibalismo degli Ibba, i nullatenenti diventati con l’unità grandi e grandissimi padroni, faticoso e stentato i primi tempi, esplode con la manomissione dei beni ecclesiastici: “Raggiunto il traguardo delle prime centomila lire tutto si era (poi, n.d.r.) svolto con la precisione di un congegno meccanico: i beni ecclesiastici, acquistati pagando le prime due rate del loro miserevole estimo, si erano avuti per un decimo del loro valore; i caseggiati, le sorgive in essi contenute, i diritti di passaggio che essi possedevano (e di servitù, n.d.r., si può aggiungere) resero quanto mai facile l’acquisto dei beni laici circostanti, svalutati; i forti redditi accumulati permisero la compra o l’esproprio di altri più lontani terreni”.
Questo, l’accumulo facile, è alla base della sostituzione al Sud dell’economia criminale su quella legale, almeno fino a tutti gli anni 1990, malgrado i primi provvedimenti di confisca – fino a 20-25 anni fa le condanne si si risolvevano amministrativamente in “sequestri”, che i beni lasciavano nella disponibilità dei condannati.
 
Pavese
– È sempre hanté dall’inadeguatezza. A lungo, oltre mezzo secolo, come uomo, per via del suicidio. Ora, in questo  revival favorito dalla liberalizzazione dei diritti (ogni editore ha qualche Pavese in catalogo), per via del mancato impegno in guerra: della mancata partecipazione ala Resistenza, benché tesserato del Pci, e anzi della titubanza tra Salò e la Resistenza. Anche se di questa titubanza si sa solo perché lui l’ha voluta testimoniare. In un “diario segreto” che però ha lasciato – e che era noto da almeno trent’anni. Ma vale per lui, come pure per Calvino su altra sponda, la tentazione di vederci il segno, o l’emersione, di una delusione culturale e ideale, prima che ideologica, o politica, a pochi anni dalla fine della guerra. Della caduta delle illusioni. Più forte per gli intellettuali sensibili, Pavese, Calvino, se la speranza era stata coltivata nel Pci, nella sua gabbia di ferro ideologica.
 
È marcato dal suicidio: la sua fine è la sua nascita, come autore. Misterioso, minaccioso. Sotto il sigillo funebre. Di una vita invece vivace, briosa, coraggiosa – perfino sfrontata, nella sicumera con cui affronta Walt Whitman e i suoi scritti nella tesi di laurea, ad appena ventuno anni. Nella scrittura, nel lavoro editoriale, nelle frequentazioni, i gusti. Ma poi presto passiva, perfino impaurita. Scandita singolarmente dai rifiuti in amore. Tutti registrati. Che ogni volta lo lasciavano perplesso, più che reattivo - adirato, sprezzante. Per esempio quello di Constance Dowling, scandito dalle poesie tristi, rassegnate, terribili già nel titolo, “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.
 
Piccolo
– I tre cugini di Tomasi di Lampedusa a Capo d’Orlando, figli di una sorella dell’amatissima Madre, maiuscola, ricordavano all’autore del “Gattopardo” in cerca di “casa” (la sua, comprata con la moglie, non gli piaceva) l’infanzia felice a Santa Margherita Belìce, con l’accento sulla i, e per questo li andava a trovare spesso.
Nelle estati a S. Margherita, annota in “Ricordi d’infanzia”, “al mio capezzale pendeva una specie di bacheca Luigi XV”, con la Sacra Famiglia. “Questa bacheca”, spiega, “si è miracolosamente salvata e pende adesso al capezzale del letto nella stanza della villa in cui dormo dei miei cugini Piccolo a Capo d’Orlando”. Aggiungendo: “In questa villa del resto ritrovo non soltanto la «Sacra Famiglia» della mia infanzia, ma una traccia, affievolita certo ma indubitabile, della mia fanciullezza a S. Margherita e perciò mi piace tanto andarvi”.
Gioacchino Lanza Tomasi ricorda, annotando i “Racconti” di Tomasi di Lampedusa, che Lucio, il poeta, aveva “una serie di aneddoti margaritani” su quella stagione.

letterautore@antiit.eu

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