Si
parte dal Mille: l’Europa è depressa, in senso assoluto e in rapporto ai vicini
bizantini e arabi. E con l’Europa, sottinteso, è depressa l’Italia, la
penisola, sotto le Alpi. E qui forse meritava dire che la parte dell’Italia che
era araba e bizantina se la passava meglio, se non bene. Questa parte non era
poca, era la Sicilia e la Calabria. Anche i longobardi del Sud, il ducato di Benevento,
il principato di Salerno, erano vicini
ben governati, abbastanza. Ma la “Storia “ non ne fa cenno. Dopo un promettente
avvio: Nord e Sud
nascono nel Basso Medioevo. Con i Normanni, cioè col baronato, e con i loro
successori, Svevi e Angioini. Poi più nulla, il Sud scompare, è una storia del Centro-Nord Italia – il Centro peraltro limitato a
Firenze.
L’arricchimento
del Nord avvenne grazie alle città e nelle città. Che da borghi per secoli abbandonati, quasi sempre
tenuti in vita da una curia vescovile (o da un convento: il ruolo della chiesa
nell’economia e nella democrazia, già accertato per summa da Alessandro Passerin d’Entrèves e Hannah Arendt tra i
tanti, in Italia resta da riscoprire) diventarono centri urbani da 50 e 100
mila anime. Dove la rendita urbana, gli scambi, l’artigianato, cioè la
produttività, fecero da rapido moltiplicatore. Dal Trecento e fino a tutto il
Cinquecento il Nord Italia fu l’area più ricca, o tra le più ricche, dell’Europa,
cioè del “mondo”. Il fiorino (Firenze) e il ducato (Venezia) erano i dollari di
quei secoli, universalmente accettati.
Non una ricerca, una esposizione dei fatti
noti – un rimemorazione dei fatti. Una storia semplice, e istruttiva, molto.
Per esempio nella spiegazione della “questione meridionale”, nata e
accumulatasi per quasi un millennio: un millennio di un Nord industrioso e
banchiere e di un Sud che sopravvive con la rendita agricola, dei padroni.
Alcune verità ripescando cadute nell’incultura generale – nella perdita della
storia, e anche della storia economica: “La rendita fondiaria e i profitti
dell’attività manifatturiera e mercantile furono le fonti principali
dell’accumulazione del capitale”. Furono e sono - la rendita fondiaria, cioè l’urbanizzazione,
il grande motore del capitale.
Un’opera costruita nell’ottica del divario
Nord-Sud – perché la questione meridionale è, era vent’anni fa, il problema
centrale dell’economia. Che il Sud però dimentica subito dopo, alla seconda
pagina. Uno dei due nodi creati dalla unità - il primo essendo il debito, che ogni paio di anni stringe il cappio.
Un’opera a più mani? L’edizione in libro
non lo spiega, limitandosi a elencare una ventina di “contributi” di economisti
e storici, Diaz, de Rosa, De Cecco, Vera Zamagni et al.. È la serie di
lezioni sulla storia economica volute da Gianni Locatelli al “Sole-24 Ore”,
nell’inserto domenicale, per sei anni, dal gennaio 1989 al settembre 1994. Che
a un certo punto dice: “Poi, come ricorda Carlo M. Cipolla…”.
Una storia scorrevole. Nella prima parte.
Con verità anche facili, ma inedite in Italia. L’attività dell’uomo dipende
dalle fonti di energia – le braccia, il bue, il cavallo, la ruota, il mulino…
L’Europa fu depressa a lungo dopo le invasioni e ancora attorno al Mille, in
senso assoluto e in rapporto “alle più evolute società confinanti, la bizantina
e l’araba”. Il boom dopo la peste 1348-1351, che decimò la popolazione, 25
milioni di morti su 80 in Europa: dall’eccesso di manodopera ai salari alti e
con redistribuzione del reddito e rilancio della domanda. Il fiorino e il
ducato ovunque accettati e anzi privilegiati, e il fallimento, tra il 1341 e
il 1347, di tutte le banche fiorentine, che facevano il mercato, anche in Nord
Europa.
La
seconda parte, postunitaria, è irta. Centrata sull’altro problema, in
aggiunta al Sud, anch’esso grave e insoluto dell’Italia: la questione
monetaria. La quale si riproduce inalterata ogni pochi anni dal 1866, qando si
manifestò la prima volta, col finanziamento della guerra all’Austria e il corso
forzoso – qui sembra di reperire il furore e il disincanto di De Cecco, profeta
tanto realistico quanto inascoltato: una stretta alla cinghia, un’altra, nel
nome della compatibilità, del patto di stabilità, delle “riforme”, e più tasse,
indirette se dirette sembrano ingiuste, ancora mezzo punto, ancora un punto,
fino alla prossima crisi. I capitali esteri affluiscono volentieri in Italia,
che li paga con generosità e in tutta sicurezza, salvo ritrarsi ai primi venti
di crisi, dall’Italia come dalle altre “economie periferiche”, obbligando a
nuove tasse e nuovi tagli, bilanci di sacrificio (“attivi di bilancio”), senza
più investimenti, nemmeno i più necessari. Moltiplicando il costo del debito….
- il differenziale (il “ritiro” fa parte del “gioco”: accrescere i rendimenti -
ma questo è un altro tema, dei mercati finanziari da due secoli in qua, dell’Europa
post-1789, e quindi dell’Occidente e del “mondo”).
La storia è centrata su questi due grandi
blocchi: l’Italia post-Mille, il grande prolungato boom fino alla crisi a
Seicento inoltrato, e l’economia postunitaria nel mezzo secolo fino alla Grande
Guerra. Il fascismo e la Repubblica prendono du brevi capitoli finali – si
arriva alla caduta del muro di Berlino ma giusto per dirlo.
Carlo M. Cipolla, Storia facile dell’economia italiana dal Medioevo a oggi, Oscar,
pp. 201 € 13
L’arricchimento del Nord avvenne grazie alle città e nelle città. Che da borghi per secoli abbandonati, quasi sempre tenuti in vita da una curia vescovile (o da un convento: il ruolo della chiesa nell’economia e nella democrazia, già accertato per summa da Alessandro Passerin d’Entrèves e Hannah Arendt tra i tanti, in Italia resta da riscoprire) diventarono centri urbani da 50 e 100 mila anime. Dove la rendita urbana, gli scambi, l’artigianato, cioè la produttività, fecero da rapido moltiplicatore. Dal Trecento e fino a tutto il Cinquecento il Nord Italia fu l’area più ricca, o tra le più ricche, dell’Europa, cioè del “mondo”. Il fiorino (Firenze) e il ducato (Venezia) erano i dollari di quei secoli, universalmente accettati.
Non una ricerca, una esposizione dei fatti noti – un rimemorazione dei fatti. Una storia semplice, e istruttiva, molto. Per esempio nella spiegazione della “questione meridionale”, nata e accumulatasi per quasi un millennio: un millennio di un Nord industrioso e banchiere e di un Sud che sopravvive con la rendita agricola, dei padroni. Alcune verità ripescando cadute nell’incultura generale – nella perdita della storia, e anche della storia economica: “La rendita fondiaria e i profitti dell’attività manifatturiera e mercantile furono le fonti principali dell’accumulazione del capitale”. Furono e sono - la rendita fondiaria, cioè l’urbanizzazione, il grande motore del capitale.
Un’opera costruita nell’ottica del divario Nord-Sud – perché la questione meridionale è, era vent’anni fa, il problema centrale dell’economia. Che il Sud però dimentica subito dopo, alla seconda pagina. Uno dei due nodi creati dalla unità - il primo essendo il debito, che ogni paio di anni stringe il cappio.
Un’opera a più mani? L’edizione in libro non lo spiega, limitandosi a elencare una ventina di “contributi” di economisti e storici, Diaz, de Rosa, De Cecco, Vera Zamagni et al.. È la serie di lezioni sulla storia economica volute da Gianni Locatelli al “Sole-24 Ore”, nell’inserto domenicale, per sei anni, dal gennaio 1989 al settembre 1994. Che a un certo punto dice: “Poi, come ricorda Carlo M. Cipolla…”.
Una storia scorrevole. Nella prima parte. Con verità anche facili, ma inedite in Italia. L’attività dell’uomo dipende dalle fonti di energia – le braccia, il bue, il cavallo, la ruota, il mulino… L’Europa fu depressa a lungo dopo le invasioni e ancora attorno al Mille, in senso assoluto e in rapporto “alle più evolute società confinanti, la bizantina e l’araba”. Il boom dopo la peste 1348-1351, che decimò la popolazione, 25 milioni di morti su 80 in Europa: dall’eccesso di manodopera ai salari alti e con redistribuzione del reddito e rilancio della domanda. Il fiorino e il ducato ovunque accettati e anzi privilegiati, e il fallimento, tra il 1341 e il 1347, di tutte le banche fiorentine, che facevano il mercato, anche in Nord Europa.
La seconda parte, postunitaria, è irta. Centrata sull’altro problema, in aggiunta al Sud, anch’esso grave e insoluto dell’Italia: la questione monetaria. La quale si riproduce inalterata ogni pochi anni dal 1866, qando si manifestò la prima volta, col finanziamento della guerra all’Austria e il corso forzoso – qui sembra di reperire il furore e il disincanto di De Cecco, profeta tanto realistico quanto inascoltato: una stretta alla cinghia, un’altra, nel nome della compatibilità, del patto di stabilità, delle “riforme”, e più tasse, indirette se dirette sembrano ingiuste, ancora mezzo punto, ancora un punto, fino alla prossima crisi. I capitali esteri affluiscono volentieri in Italia, che li paga con generosità e in tutta sicurezza, salvo ritrarsi ai primi venti di crisi, dall’Italia come dalle altre “economie periferiche”, obbligando a nuove tasse e nuovi tagli, bilanci di sacrificio (“attivi di bilancio”), senza più investimenti, nemmeno i più necessari. Moltiplicando il costo del debito…. - il differenziale (il “ritiro” fa parte del “gioco”: accrescere i rendimenti - ma questo è un altro tema, dei mercati finanziari da due secoli in qua, dell’Europa post-1789, e quindi dell’Occidente e del “mondo”).
La storia è centrata su questi due grandi blocchi: l’Italia post-Mille, il grande prolungato boom fino alla crisi a Seicento inoltrato, e l’economia postunitaria nel mezzo secolo fino alla Grande Guerra. Il fascismo e la Repubblica prendono du brevi capitoli finali – si arriva alla caduta del muro di Berlino ma giusto per dirlo.
Carlo M. Cipolla, Storia facile dell’economia italiana dal Medioevo a oggi, Oscar, pp. 201 € 13
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