domenica 18 aprile 2021

Moro non era il santino del Pci

Due pagine del “Corriere della sera” non bastano a Guido Bodrato, il superstite della “vecchia guardia” Dc, a dire due cose essenziali per la figura di Moro. Damato, all’epoca attivo cronista politico, le ricorda. Il giorno in cui Moro fu rapito, il 16 marzo, si votava la fiducia al governo Andreotti, l’ennesimo dello stracco “compromesso storico”, che aveva relegato il Pci al ruolo di sostenitore esterno con l’astensione. Per superare questa “conventio ad excludendum”, dice Bodrato, il Pci aveva proposto come ministri degli “indipendenti di sinistra”, dei non comunisti, cioè, eletti dal Pci. E Andreotti rifiutò. No, testimonia Damato, fu Moro a rifiutare: “L’ipotesi dei ministri scelti fra gli «indipendenti di sinistra» eletti nelle liste del Pci era stata già rimossa dalle trattative proprio da Moro, in difformità dalla disponibilità di Zaccagnini e Andreotti a parlarne”. Berlinguer in qualche modo aveva digerito l’esclusione. Ma poi c’era stato di peggio: la lista del governo presentata da Andreotti “conteneva la conferma”, spiega Damato, “di due ministri democristiani di cui i comunisti avevano chiesto l’esclusione. Essi erano Carlo Donat-Cattin e Antonio Bisaglia, in difesa dei qual Moro alla Camilluccia (il luogo dove si negoziò il governo, n.d.r.) disse con fermezza che la Dc non poteva far selezionare i suoi dirigenti da un altro partito, fosse pure il Pci”.
Ce ne vuole per fare di Moro, come fanno i morotei superstiti, e alcuni (ex) comunisti come Veltroni, l’intervistatore dialogante con Bodrato, una icona di Berlinguer, del Pci – ce ne vorrebbe, ce ne dovrebbe volere.
Francesco Damato, I ricordi di Bodrato su Moro, Start Magazine 17 aprile

 

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