skip to main |
skip to sidebar
Perché a Wuhan, o il virus dell’incompetenza
La diffusione nel 2003 della
Sars, antenato del Covid-19, è una comica. In un ospedale di Canton “un
corpulento commerciante all’ingrosso di prodotti ittici”, in crisi
respiratoria, si reca in un ospedale, dove “tossì, ansimò, vomitò e sputacchiò
durante l’intubazione infettando decine di operatori sanitari”. Uno dei medici
dell’ospedale ebbe “sintomi para-infuenzali”, ma si “fece un viaggio di tre ore
in autobus per recarsi al matrimonio del nipote a Hong Kong”. All’hotel
Metropole di Hong Kong, dove pernottava, ebbe poi una crisi, propagandando la
malattia lungo il corridoio del nono piano”. Il personale dell’albergo e gli ospiti
ne furono infettati, alcuni provenienti da Singapore e Toronto. Dopo un mese
l’epidemia era ovunque – “il Metropole, divenuto in quell’occasione tristemente
noto, in seguito cambiò nome”.
David Quammen, lo scrittore
divulgatore scientifico, è l’autore di “Spillover”, il “salto tar le specie”,
che nel 2015 codificava la Saras come la tipologia di infezioni, trasmissibili
dagli animali all’uomo, che ora si è realizzata nel Covid-19. Un anno fa, a
pandemia già aperta ci è tornato sopra. Perché siamo arrivati impreparati al
Covid-19?, chiede all’allora direttore dei Cdc americani, Centers for Disease
Control and Prevention. Per difetto di informazioni? Di soldi? “Per mancanza
d’immaginazione” è la risposta. I virus sono stati finora sottovalutati dai
virologi – nel nostro piccolo, dell’Italia, si ricordano anche le riduzioni in
tv del Covid 19 all’influenza, anzi al raffreddore.
La descrizione di come si è
propagato il Covid-19 agli inizi, nelle tre Cine, e poi dalle tre Cine in una
fiat nel mondo, è perfino esilarante: come un contagiato infetta decine, e
quindi centinaia, e quindi migliaia e centinaia di migliaia, in pochi giorni,
nell’ampio mondo. Da uno a tutti gli ospiti di un albergo. Da uno a tutto il pronto
soccorso, personale medico e infortunati. E da questi a tutto l’ospedale e a
decine di famiglie.
La plaquette raccoglie i due
articoli che Quammen ha pubblicato nel maggio 2020 sul settimanale “New Yorke”.
Letto ora, a quasi un anno di distanza, “Perché non eravamo pronti”, il primo
dei due articoli, pubblicato nel numero del “New Yorker” in data 11 maggio, in
uno spirito ancora goliardico, sembra raccapricciante. Non eravamo e non siamo
preparati, o poco – si vedono in giro masse tumultuanti di giovani e
giovanissimi per esempio, e folle di coppie con cane ai giardinetti, del tutto
spensierate. Mentre le terza ondata è perfino più cattiva della prima. Diamo
alla terza ondata, né la prima né la seconda ci hanno resi più previdenti. E una
quarta si preannuncia.
L’incredibile organizzazione di
Singapore contro la Sars nel 2003, che Qammen descrive nel primo articolo, sgomenta
se si confronta con le Asl, il concentrato del sottogoverno, non qualificato e
inqualificabile. La creazione di un ospedale Covid, senza commistione con altre
patologie. L’obbligo per il personale di questo ospedale di non operare altrove. Controlli
continui della temperatura. Detergenti, mascherine, caschi, visiere e ogni
altra forma di protezione. Tracciamento in 24 ore dei contatti di ogni paziente
colpito dal virus, quarantene controllate a sorpresa con telecamera e telefono,
assistenza ai quarantenati. In tre mesi la
Sars fu bloccata. O della Corea alla prima avvisaglia del Covid, con la
mobilitazione dell’industria farmaceutica alla produzione dei dispositivi di
protezione.
La Corea aveva imparato la lezione
dalla Mers, il virus successivo alla Sars, nel 2015. Quando fece la prova generale
del disastro italiano: come a Codogno e a Vo, i contagiati in attesa ai pronto
soccorso e poi anche in reparto contagiano decine, centinaia di altri pazienti
e gli operatori sanitari, con le rispettive famiglie, gli amici, i conoscenti, i
visitatori di altri pazienti. Quando è scoppiato il Covid-19 c’erano gà esperienze
pregresse su cui basarsi, per l’individuazione e per i rimedi.
Il resto è noto, anche se i
sistemi politici faticano a registrarlo. E semplice: “Le infezioni animali
possono diventare infezioni umane, perché gli esseri umani sono animali.
Viviamo in un mondo di virus, e a malapena abbiamo iniziato a capirlo”.
Resta l’ipotesi che Wuhan, la
Cina, sia stata l’epicentro del contagi non per il mercato di animali vivi. Anzi,
il mercato è scagionato. Mentre resta l’ipotesi di un virus da laboratorio, di
una ricerca sfuggita di mano. L’articolo di Quammen, il primo dei due, è quello
che ha portato l’Oms ora a riaprire il dossier
sull’origine del contagio – dopo averlo chiuso in fretta omaggiando la Cina. La
dottoressa Shi, virologa formata in Francia, direttrice di laboratorio all’Istituto
di Virologia di Wuhan, era molto avanti nell’individuazione di quello che sarà
poi il Covid-19. Potrebbe averne provocato la diffusione con una simulazione?
Il secondo articolo è un omaggio
al pangolino, l’animale più indiziato, più del pipistrello iniziale, e in
alternativa all’esperimento sfuggito di mano, quale diffusore del contagio. È il
racconto di un animaletto simpatico, visto dal Camerun, uno dei suoi habitat di
riproduzione, da dove si esporta nel ricco mercato cinese. Ma soprattutto è un
ritratto, più preoccupante che feroce, di questo mondo, di ricchi “comunisti”
che spendono 700 dollari per pranzare a pangolino.
David Quammen, Perché non eravamo pronti, Adelphi, pp.
100 € 5
Nessun commento:
Posta un commento