Secondi pensieri - 447
zeulig
Assurdo – Si ha bisogno
dell’assurdo, l’uomo ha bisogno dell’assurdo, la ragione non saprebbe come
definirsi, ritrovarsi, se non costeggiando l’assurdo
Fede – Viene con la
preghiera, dicono i papi da qualche tempo. Cioè bisogna credere per avere
(rafforzare, consolidare) la fede? Un processo di autoconvincimento.
È il principio dell’arte, l’immedesimazione. Lo stato passionale.
Delle fede religiosa come di quella amorosa: il trasporto fuori di sé.
Le avanguardie tentano – hanno tentato, per tutto il Novecento – di rompere
questo legame, lo “stato di grazia”, con dissonanze, macchie, eventi invece di “prodotti”,
con invenzioni, macchinari, materiali, deiezioni, ma a nessun effetto, se non
di (temporanea) sorpresa – épater le
bourgeois. Sono gesti-atti-manufatti politici, di una politica che si
pretende estetica, ma non può esserlo – o allora nei limiti (contesti, fini,
effetti) della politica, arte manuale (artigianato) per eccellenza.
C’è arte senza la fede, senza una fede? No. La Dea Ragione perderà
Calvino (Italo) nel mentre che lo sterilizza, in arzigogoli alambiccati. Produce
giochi – esercizi di stile, sciarade, lipogrammi, acrostici, decostruzioni,
postmoderno – e narcisismi. Si dice creazione, in arte, una sorta di abbandono
mistico.
Femminismo – S’intende una
rivendicazione di uguaglianza, nei diritti e nella prassi. Ma una riscoperta, prima
che una rivendicazione: di un’eguaglianza di fatto sotto il diritto
patriarcale, maschilista. “Gli studi degli ultimi trent’anni del Novecento anno
mostrato ampiamente come i ruoli femminili, nel Medioevo, fossero più vari e
complessi di quelli che i maschi ammettevano”, anche “nel loro donneare” – Elena Ferrane, “L’amica
geniale e gentile di Dante”, (“Robinson”, 24 aprile). Tra i poeti cioè
femministi dell’amor cortese. Ferrante cita Matilde di Magdeburgo, Ildegarda di
Bingen, Giuliana di Norwich, Margherita Porete, Angela da Foolino, magistra theologorum. Ma la lista è lunga
– molto c’è negli studi sul latino medievale di Rémy de Gourmont, “Il latino
mistico”: Rosvita di Gandersheim,. Santa Lutgarda, Eleonora d’Aquitania, Eloisa, Virdimura, la dottoressa (in medicina)
ebrea di Catania, Trotula de Ruggiero, Herrad von Landsberg, le tante sante.
Freud – “Imbecille di
genio!” lo scopre Gide nel “Diario” a giugno del 1924: ha liberato il sesso, il
discorso sul sesso, “ma quante cose assurde presso questo imbecille di genio!”.
Che l’essenziale, nota ancora Gide, lascia inesplorato: il desiderio, o la
mancanza di desiderio. Questo soprattutto: “Che avviene quando, per ragioni
sociali, morali, etc., la funzione sessuale si trova portata, per esercitarsi, ad
abbandonare l’oggetto del suo desiderio, quando la soddisfazione della carne non
comporta alcun assenso, nessuna partecipazione dell’essere, e che questo si
divide e una parte di sé resta in ritardo?” Nei rapporti mercantili cui Gide
era aduso ma anche, evidentemente, in altri contesti, anche coniugali o di “innamoramento”.
Materia oscura – Se il 90
per cento dell’universo (massa incalcolabile) è inerte, donde la vita? Ma
qualcosa c’è: è questo Dio?
La materia senza moto, senz’anima, c’è ma non esiste. Lo spirito ha
bisogno anche della materia inerte, ma la materia non esiste senza lo spirito – è l’argilla che il vasaio fa vivere.
La vita è un mistero. Che si forma (conforma) nell’anonimato. In
attesa della scintilla vitale, di una
scintilla. Non di un passaggio (evoluzione): ha bisogno di un salto, un’altra
realtà.
Ortodossia – Esclude, non
include. Respinge, più che avvicinare. Ciò è evidente nella forma politica. Ma
anche, al fondo, in quella religiosa, benché discutibile – l’eresia minaccia il
credo o lo allarga?
È una difesa? È verità – quanto è vera, se è intangibile?
Si può dire l’opposto dell’umanesimo, della condizione umana: che è,
deve essere, aperta. Alla riflessione ma anche alle credenze, seppure con un
minimo di potenziale critico. Una disponibilità scuramente ferace in politica
(indispensabile: la politica è mobile, la fissità la sua morte), e
probabilmente anche nella religione.
Piacere – Si vuole speciale
- unico. Proust Gide trova “gran maestro in dissimulazione”, così come Wilde,
per non voler ammettere la condizione o passione omofila. Che tuttavia, Proust
e Wilde, sono icone della gaytudine. Il proibito è parte de piacere, di un
piacere che ci guadagna a volersi eccezionale.
Vangeli – Ma sono paolini, più che cristologici. Conformati sulla Passione e la
Morte. Cioè sulla rinuncia del temporale: la salvezza non è di questo mondo.
I Vangeli sono una cavalcata
in un mondo possibile di bontà e letizia. Anche trionfale, fino all’ingresso in
Gerusalemme. Poi convergono tutti, compreso Marco, che è il più antico, nel
Cristo paolino, del sacrificio per la salvezza, della salvezza attraverso il
sacrificio. Il simbolo diventa la croce, non più la palma. La gloria passa per
l’ignominia la mortificazione. La carne viene divisa dall’anima. Una ortodossia
si crea, tanto fine (afinata) quanto ingombrante.
Una fine che dovrebbe
sorprednere il Gesù di prima, dall’annuncio a Maria alle parabole, ai miracoli,
con la pace, la giustizia, l’amore. Nulla lasciava presagire la fine in croce, Gesù
non si è posto fin ad allora dentro le polemiche tribali dell’ebraismo. È il
Gesù di san Paolo che entra in queste diatribe, e ne esce vittima. Un agnello sacrificale
che diventa capopopolo, capo di una chiesa, di un’ortodossia.
Virtù – Era la “repubblica
della virtù” quella del Terrore, di Robespierre, 1793-94. Un assolutismo e una
schiavitù. Alle leggi, ma di un ristretto numero, e quasi capricciose. Richiamandosi
alla democrazia diretta, di fatto governata assolutamente, al volere del Capo -
vita associata, commercio, consumo.
La virtù di Machiavelli è il valore, che sconfina nel coraggio,
quello politico come quello fisico. In questo senso, classico, colloquiale, è
anche la virtù di Nietzsche, la forza o “volontà di potenza” come opposta alla
virtù cristiana della rinuncia.
Le quattro “virtù cardinali” del catechismo, che sancisce sant’Ambrogio,
prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, erano di Platone. Assunte come in Platone, senza in questo caso
le sottigliezze classificatorie di Aristotele.
Un tema che non ha stimolato. Contro il “mito virtuista”, in materia
di letteratura e di spettacolo, aveva facile gioco Pareto a prodursi nel 1911
nell’arringa che i mali chiamava analfabetismo, miseria, corruzione, camorra, e
Austria.
zeulig@antiit.eu
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