lunedì 31 maggio 2021

I commissari al non fare

Dopo undici anni di commissariamento, la sanità in Calabria è al suo peggio. Al peggio di tutta l’Italia, con i Livelli essenziali di assistenza (lea) in caduta libera: l’ultima rilevazione della Corte dei Conti li dà all’ultimo posto in Italia, a quota 125. Ben al di sotto della sufficienza, che si colloca a quota 160.
La Calabria è stata particolarmente sfortunata nelle scelte governative dei commissari – fino alla farsa di un anno fa: incapaci o inutili. Ma è l’istituzione che fa acqua.
Il commissariamento funziona in azienda, con la legge Prodi. L’azienda è un corpo singolo, individuato, articolato, e attivo. Non va nella Funzione Pubblica. Per due motivi. Perché è riserva di funzionari pubblici, non di manager con una carriera e una prospettiva. È gestita da gente cioè che non ha competenze specifiche, se non burocratiche, e non ha stimoli, se non cavarsela senza danno. E perché agisce su un corpaccione informe. Compresa la sanità, che si fa figurare organizzata su criteri aziendali ma è pur sempre un carrozzone.
Portato alla luce critica nella sanità, in Calabria come in Campania, a Massa eccetera, il commissariamento è specialmente funesto dove è più diffuso, nei Comuni, qualora gli organi elettivi siano per un qualche motivo invalidati. Un lungo periodo in questi casi s’impone, diciotto  mesi, di commissariamento, senza mai un risultato positivo che si ricordi – l’attività dei commissari è di bloccare ogni attività.

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