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Il racconto dell’odio volto in idillio
Tre solitudini, di personaggi e
trascorsi che si intersecano e si inestricano, ma non si liberano dal
pregiudizio, dalla passione, dalla debolezza. Una storia del migliore
Antonioni, dell’incomunicabilità, anche a dispetto delle migliori intenzioni. Tra
ebrei condannati dalla memoria, fascisti violenti, anche con se stessi, e la
bontà minuta, generosa, che “non può essere”. Una storia di sentimenti buoni e pulsioni
aggressive. Un film violento e idillico insieme, eppure tiene.
Sfortunato all’uscita, alla vigilia
del secondo lockdown, dopo il successo al festival di Venezia, si avvale di tre
superbe interpretazioni. Di Sara Serraiocco, la fatina che attraversa le
turbolenze: è la sua presenza, minuta fisicamente e moralmente, della
vita come viene, a far muovere la difficile guerra di posizione dei pregiudizi.
Di Alessandro Gassman, il protagonista, in un difficile ruolo bifronte, tra il dover essere, del
medico, del buon cittadino, e la passione, la vendetta. Di un esordiente Luca
Zunic, che non sembra recitare lo squadrista picchiatore, a caccia di “giudei”.
In un ambiente inconsueto, che aggiunge realismo e magia alla vicenda: una
Trieste terragna, seppure a bordo d’acqua.
Il racconto è semplice, dell’odio.
Immotivato, dell’odio come avviene. Un chirurgo di nome Segre, solitario, in
lite col padre, ancorché morto, perché da studente di medicina curò i denti dei
nazisti per salvare la pelle nella deportazione, non salva, come potrebbe, il
padre di tre ragazzi vittima di un pirata della strada perché ha tatuata sul petto
la croce runica. Ragazzi con cui viene poi in contatto, bene e male, tra l’essere
una brava persona, benché solitaria, e l’essere “un giudeo”. Tale è per il
bambino innocente. E per questo esca a molta violenza del figlio picchiatore,
nella palestra equivoca di boxe, tra camerati che sono anche aguzzini e usurai.
Mentre la figlia oppone umile la resistenza del dover essere, tra le passioni
opposte.
Mauro Mancini, Non odiare
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