domenica 30 maggio 2021

La doppia verità, una storia che non si fa

È stato un buon padre ed era  un uomo buono”, ha potuto dire Meris Corghi, figlia di Giuseppe, nell’atto di contrizione per le colpe del padre, uno che aveva ucciso con due colpi di pistola alla tempia un ragazzo di 14 anni, contro il parere dei partigiani semplici che lui comandava, solo perché era un seminarista. Si po’ essere buoni e imbecilli (il seminarista non fu il primo e non fu l’ultimo)? No. Ma l’imbecillità non c’entra, assicura ancora la figlia Meris, ora buona credente, papà era “accecato dall’ideologia”. Un’ideologia, dunque, dell’eliminazione, non dell’avversario ma di chiunque.
È breve ma impressionante il quadro che Cazzullo fa sul “Corriere della sera” delle stragi comuniste nel reggiano, tra il 1944 e il 1945 – in aggiunta, certo, a quelle nazifasciste. Di innocenti, cioè gente che non c’entrava con la guerra né con la politica, stragi appunto di preti e seminaristi, e di contadini isolati.
Morto Giampaolo Pansa, che si prese le ultime contumelie, resistenti quindi fino a pochissimi anni  fa, si può infine cominciare a parlare della storia e del ruolo del partito Comunista nella storia della Repubblica. Mas solo in (brevi) articoli di giornale, per accenni. Quante energie deviate o soffocate.
L’Italia sconta ancora la colpa di essere stata fascista, per vent’anni. E si gloria di avere avuto la più forte presenza comunista dell’Europa libera, per cinquanta e forse sessant’anni – la deriva veltroniana e bersaniana, “democristiana” e “capitalista” (liberalizzazioni a sfare, grande distribuzione, multinazionali, delocalizzazioni, outsourcing) è l’ultimo atto della lingua di legno, della doppia verità. Non remoto e forse solo in sonno.   
La doppia verità è – sarebbe - un bacino storico immenso, di eventi, testi, testimonianze, documentabile, accessibile. Ma non agli storici, per disappetenza – o la storia politica soffre di allergie?

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