La doppia verità, una storia che non si fa
È
stato un buon padre ed era un uomo buono”,
ha potuto dire Meris Corghi, figlia di Giuseppe, nell’atto di contrizione per
le colpe del padre, uno che aveva ucciso con due colpi di pistola alla tempia
un ragazzo di 14 anni, contro il parere dei partigiani semplici che lui
comandava, solo perché era un seminarista. Si po’ essere buoni e imbecilli (il
seminarista non fu il primo e non fu l’ultimo)? No. Ma l’imbecillità non
c’entra, assicura ancora la figlia Meris, ora buona credente, papà era
“accecato dall’ideologia”. Un’ideologia, dunque, dell’eliminazione, non dell’avversario
ma di chiunque.
È
breve ma impressionante il quadro che Cazzullo fa sul “Corriere della sera”
delle stragi comuniste nel reggiano, tra il 1944 e il 1945 – in aggiunta,
certo, a quelle nazifasciste. Di innocenti, cioè gente che non c’entrava con la
guerra né con la politica, stragi appunto di preti e seminaristi, e di
contadini isolati.
Morto
Giampaolo Pansa, che si prese le ultime contumelie, resistenti quindi fino a
pochissimi anni fa, si può infine
cominciare a parlare della storia e del ruolo del partito Comunista nella storia
della Repubblica. Mas solo in (brevi) articoli di giornale, per accenni. Quante energie deviate o soffocate.
L’Italia
sconta ancora la colpa di essere stata fascista, per vent’anni. E si gloria di
avere avuto la più forte presenza comunista dell’Europa libera, per cinquanta e
forse sessant’anni – la deriva veltroniana e bersaniana, “democristiana” e “capitalista”
(liberalizzazioni a sfare, grande distribuzione, multinazionali,
delocalizzazioni, outsourcing) è l’ultimo atto della lingua di legno, della doppia
verità. Non remoto e forse solo in sonno.
La doppia verità è – sarebbe - un bacino storico
immenso, di eventi, testi, testimonianze, documentabile, accessibile. Ma non
agli storici, per disappetenza – o la storia politica soffre di allergie?
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